Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21741 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 15/02/2017, dep.20/09/2017),  n. 21741

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. k55z±92012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Vignola Nobile S.p.A., rappresentata e difeso dagli Avv. Luigi

Rotondi e Valeria Freda, con domicilio eletto in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 271/04/2012, depositata il 3 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 febbraio 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

uditi gli Avv. Barbara Tidore e Luigi Rotondi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Fuzio Riccardo, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale della Campania (Ctr), confermando la sentenza di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento con il quale fu recuperata a tassazione l’Iva sugli acquisti effettuati dall’impresa in sospensione di imposta nell’anno 2004, ciò sulla base del rilievo che non fu presentata la dichiarazione Modello Unico 2004 riguardante l’annualità 2003, nella quale il diritto era sorto.

Contro la sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui la contribuente ha reagito con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censura la decisione per avere assimilato due fattispecie diverse, precisamente quella dell’omesso riporto nella dichiarazione successiva di un credito Iva riportato nella dichiarazione relativa all’annualità il diritto era sorto e quella oggetto di causa, in cui la dichiarazione omessa riguardava l’anno di nascita del diritto, poi utilizzato in detrazione con la dichiarazione successiva.

Il motivo è inammissibile: il vizio di motivazione può riguardare solo la motivazione del giudizio di fatto, laddove è di assoluta evidenza che la valutazione della Ctr oggetto di censura esprime un giudizio di diritto. Secondo il costante pacifico insegnamento di questa Corte i relativi vizi o costituiscono errori in iudicando censurabili ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 oppure, se attengono propriamente e soltanto alla motivazione, non danno luogo a cassazione della sentenza, ma a correzione della motivazione in diritto ex art. 384 c.p.c., u.c. (Cass. n. n. 19618/2003; n. 6328/2008; n. 7050/1997).

Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8. Si rimprovera alla Commissione tributaria regionale di non aver tenuto conto che la dichiarazione annuale Iva costituisce adempimento indispensabile per il corretto utilizzo del plafond.

Il terzo motivo deduce (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30. Si sostiene che secondo consolidata giurisprudenza qualora il contribuente abbia omesso la dichiarazione relativa al periodo nel quale il credito è maturato, non risulta perfezionato il procedimento attraverso il quale legge prevede che il diritto possa essere fatto valere in detrazione nell’anno successivo. In questo caso il contribuente non perde il credito, ma dovrà attivare la procedura di rimborso, fornendo la prova degli elementi costitutivi del medesimo.

Ai fini di una migliore comprensione dei motivi, da esaminare congiuntamente, è bene premettere che, in punto di fatto, è avvenuto che l’amministrazione Finanziaria ha verificato che la società ha utilizzato nel 2004 un plafond per acquisti in sospensione di imposta, senza avere presentato la dichiarazione per l’anno 2003. Si è poi appurato che il plafond derivava dal conferimento nella società (atto del 18 dicembre 2003) della ditta individuale Vignola Sabatantonio, il che aveva comportato, appunto, l’acquisizione del plafond relativo all’impresa conferita.

Non sono state oggetto di contestazione nè la giuridica possibilità che nel caso di trasferimento di un complesso aziendale sia possibile trasferire all’avente causa il diritto di utilizzo del plafond maturato in capo all’avente causa; nè che tale trasferimento, espressamente previsto in casi di affitto di azienda (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 4), possa conseguire anche nel caso di trasferimenti di complessi aziendali che si realizzano sulla base di conferimento o di trasformazioni soggettive dell’impresa (fusioni o scissioni).

E pur vero che, ai fini del trasferimento del plafond unitamente all’azienda, vi sono dei requisiti riguardanti il contenuto dell’atto (cfr. D.P.R. n. 633 del 1972 cit., art. 8, comma 4) e oneri di apposita comunicazione all’Ufficio Iva territorialmente competente. Ma neanche su questi aspetti ci sono state contestazioni da parte del Fisco, il cui unico addebito riguarda la mancata presentazione della dichiarazione relativa all’anno 2003. Si sostiene che in considerazione della data del conferimento e dell’avvenuto trasferimento del credito Iva, sulla base della Circ. n. 144/E del 9 giugno 1998, la conferitaria avrebbe dovuto presentare la dichiarazione Iva relativa all’anno 2003 per sè e per il conferente, laddove tali adempimenti furono invece omessi.

Tale omissione, secondo la tesi dell’Amministrazione Finanziaria, impediva di utilizzare il plafond maturato dal conferente nell’anno 2003 per effettuare acquisti in sospensione di imposta nell’anno successivo. La società si è difesa deducendo di avere regolarmente presentato la dichiarazione Iva per l’anno 2004, annualità in cui è stato utilizzato il beneficio dell’acquisto in sospensione di imposta.

I motivi sono fondati. La possibilità del recupero dell’imposta a credito, in caso di dichiarazione omessa o di presentazione della stessa oltre i novanta giorni dalla scadenza del termine, ha creato parecchi problemi per le diverse interpretazioni fornite da prassi e giurisprudenza fino a tutto il 2016. I dubbi e le perplessità si riferivano sia alla legittimità e modalità di recupero dell’Iva da parte del contribuente (“indebito oggettivo” o “ripresa del credito” in una dichiarazione successiva a quella omessa), sia all’azione che poteva esperire l’Amministrazione finanziaria (“avviso di accertamento” o “procedura automatizzata” conseguente a controllo formale).

Le questioni possono dirsi in parte risolte a seguito di un recente intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno posto i seguenti principi:

-è possibile riportare a nuovo un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, se e nella misura in cui sia dimostrata l’effettività dello stesso credito;

-è consentito chiedere il rimborso con la procedura prevista per l’indebito oggettivo come, peraltro, già ammesso dall’Amministrazione finanziaria;

-l’Ufficio può disconoscere il credito IVA riportato a nuovo con la procedura automatizzata dell’iscrizione a ruolo, senza che sia necessario procedere alla notifica di un avviso di accertamento, fatta salva, nel successivo giudizio d’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione a cura del contribuente che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passio d’imposta, assoggettati ad Iva e finalizzati a operazioni imponibili (Cass., S.U. n.17757 e 17758 del 2016).

Al fine di comprendere la ratio della decisione della Ctr, è bene ricordare in sintesi come possano darsi in materia due fattispecie diverse: una è quella della omissione della dichiarazione relativa all’annualità nella quale il diritto alla detrazione è sorto. In tale caso la giurisprudenza prevalente precisava che detto credito poteva essere fatto valere solo attraverso la procedura di rimborso e non computandolo direttamente in detrazione nella dichiarazione relativa all’anno successivo (possibilità ora consentita secondo le Sezioni Unite); l’altra è quella dell’omesso riporto nella dichiarazione annuale successiva di un credito già esposto nella dichiarazione relativa all’anno in cui esso è sorto.

La sentenza ha fatto applicazione dei principi giurisprudenziali riferiti a tale seconda eventualità, non considerando che nella specie la dichiarazione omessa era proprio quella nella quale il credito era sorto, per cui il diritto di detrazione era sì esercitabile, ma nei limiti e alle condizioni sopra stabiliti in base al nuovo orientamento inaugurato dalle Seziono unite. E cioè fatto salvo, da un lato, il potere dell’Amministrazione finanziaria di procedere con “avviso di accertamento” o “procedura automatizzata” conseguente a controllo formale; dall’altro, riconoscendo al contribuente, la possibilità di provare la sussistenza del credito il credito in sede di impugnazione dell’avviso o della cartella mediante idonea documentazione.

Ciò posto è evidente che la Ctr non si è attenuta a tali principi, perchè ha annullato l’avviso senza valutare se vi fossero i presupposti sostanziali per l’esercizio del diritto di detrazione.

Quanto alla sentenza di questa Suprema corte (Cass. n. 4556/2015), richiamata nel contro ricorso, secondo cui il plafond è una grandezza della dichiarazione d’Iva relativa all’anno successivo, ossia all’anno in cui è stato utilizzato il beneficio, il principio ivi enunciato non giova alla tesi della contribuente, come risulta dal testo integrale della massima tratta dalla pronuncia: “in tema d’IVA, il “plafond” di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 1, lett. c), rappresenta un semplice limite quantitativo monetario pari all’ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni utilizzabile nell’anno successivo per effettuare acquisti in sospensione d’imposta, sicchè l’avviso di accertamento relativo al recupero a tassazione dell’imposta non versata, per la carenza o lo sforamento di detto limite, deve essere emesso entro il termine di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 1, che decorre non dall’anno di imposta in cui il “plafond” si è formato, ma da quello in cui esso viene utilizzato per operare in regime di sospensione di imposta”.

Dal fatto che il termine per l’accertamento decorra dall’anno di utilizzazione e non dall’anno di formazione non si può trarre alcun argomento che sostenere che il plafond disponibile alla fine del 2003 non dovesse essere riportato nella dichiarazione relativa a tale annualità di imposta, con le conseguenze sopra indicate in ordine alla reciproca posizione del Fisco e della contribuente.

Si giustifica quindi la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria della Campania, la quale provvederà a nuovo esame attenendosi al principio di cui sopra.

PQM

 

accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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