Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2174 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 24/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Q.W. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA ARCHIANO 1, presso l’avvocato VECCHIONI VINCENZO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEMARCHI GIANCARLO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L.T., PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE APPELLO DI

GENOVA;

– intimati –

e sul ricorso n. 11901/2006 proposto da:

F.L.T. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso

l’avvocato CONTALDI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati GREGO ENRICO, GREGO MAURO, BARBAGELATA PAOLO, giusta

procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Q.W.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2009 dal Consigliere Dott. FELICETTI Francesco;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

MARIO CONTALDI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,

l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale;

per l’assorbimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il tribunale di Chiavari, con sentenza del 31 dicembre 2004, pronunciò – rigettata un’eccezione di avvenuta riconciliazione dei coniugi dopo la separazione – la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Q.W. e F.L.T., ponendo a carico di quest’ultimo un assegno divorzile di Euro 4.500,00 mensili, oltre spese mediche straordinarie. La Q. propose appello con citazione notificata in data 11 febbraio 2005, depositata il giorno 18 febbraio 2005 in cancelleria. L’appellato si costituì eccependo l’inammissibilità del gravame, proposto con citazione invece che con ricorso, oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c. e proponendo appello incidentale condizionato chiedendo la riduzione dell’assegno. La Corte di appello di Genova, con sentenza 9 gennaio 2006, notificata il 9 febbraio 2006, dichiarò inammissibile l’appello. La Q. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 3 marzo 2006 al F. il quale resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato notificati il 12 aprile 2006. Il F. ha anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 12 e dell’art. 737 c.p.c. e segg.. Si deduce al riguardo che la Corte di appello ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello perchè proposto oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c., per essere stato fatto con citazione – anzichè con ricorso – notificata entro il termine di cui all’art. 325 c.p.c., ma depositata in cancelleria dopo la scadenza di tale termine. Si da atto che la sentenza si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte in proposito, censurandosi il relativo orientamento. Secondo la ricorrente l’art. 4, comma 12, statuendo che il ricorso “è deciso in Camera di consiglio”, prevederebbe che l’appello debba essere,-proposto con citazione, secondo le regole generali, mentre la decisione dovrebbe avvenire in “Camera di consiglio”, senza che debba farsi luogo al procedimento di cui all’art. 737 c.p.c. e segg., non richiamati dall’art. 4. Deduce che tale procedimento sarebbe incompatibile con l’appello, non regolando nè l’appello incidentale, nè il regime delle domande istruttorie, nè quello delle eccezioni processuali, nè la domanda inibitoria; essendo deciso con rito sommario e, di regola, con decreto motivato non ricorribile; non essendo previsti termini minimi per la comparizione del convenuto. Sarebbe incongruo, ancora, ritenere che dopo un processo svoltosi in primo grado con rito ordinario – possa far seguito un appello con rito camerale. La Corte d’appello avrebbe pertanto errato nel ritenere diversamente, tanto più che il procedimento dinanzi ad essa si era svolto con rito ordinario, senza che si facesse luogo al mutamento del rito. Si deduce che, comunque, se mai si sarebbe dovuto far luogo ad una pronuncia d’improcedibilità ex art. 348 c.p.c..

Si prospetta, in caso di mancato accoglimento del primo motivo, questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 12 con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost..

3. Va pregiudizialmente rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso prospettata dal controricorrente sotto il profilo della mancanza di autosufficienza, per essere esso limitato alla censura dell’inammissibilità dell’appello pronunciata dalla sentenza impugnata, senza la riproposizione delle censure di merito per l’eventualità che questa Corte ritenesse di poterle decidere ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Nel caso, infatti, in cui – come nella specie – la Corte di appello abbia dichiarato l’appello inammissibile, il ricorrente non è tenuto a riformulare nel ricorso le censure di merito proposte con l’atto di appello, non essendo ciò previsto dall’art. 366 c.p.c.; il quale indica il contenuto del ricorso per Cassazione.

4. Passando all’esame del ricorso, il primo motivo è infondato.

Questa Corte, già con la sentenza n. 4876 del 1991 delle sezioni unite – e poi costantemente (da ultimo Cass. 10 agosto 2007, n. 17645; 24 luglio 2007, n. 16334; 10 marzo 2006, n. 5304; 15 gennaio 2003, n. 507) – ha affermato che la L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 12 come sostituito dall’art. 8 della nuova legge, secondo cui “l’appello è deciso in Camera di consiglio”, si deve interpretare come introduttivo per l’appello del rito camerale, nel senso che tale rito riguarda l’intero giudizio d’impugnazione, con inclusione dell’atto e delle modalità di proposizione del gravame, e non soltanto la fase decisoria, considerando che una siffatta delimitazione, ancorchè potenzialmente ricavabile dal dato letterale, risulterebbe in aperto contrasto con la “ratio legis”, inequivocamente individuabile nell’adozione di un modello processuale più snello e rapido rispetto a quello del rito ordinario (in tale senso anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 543 del 1989). Il legislatore, proprio per tale finalità, una volta adeguatamente istruita la causa in primo grado con il rito ordinario, ha ritenuto opportuno prevedere, per il grado successivo, il passaggio allo schema del processo camerale e, a fronte di tale scelta, la logica del sistema processuale e la “ratio” della scelta comportano che tale schema debba ritenersi adottato sin dall’atto introduttivo e per l’intera fase dell’impugnazione, giacchè l’adozione dello schema camerale, come potrebbe suggerire la lettera della norma, solo per il momento finale della decisione esprimerebbe un’opzione, oltre che anomala, inconciliabile con le menzionate esigenze.

Il suddetto principio implica, come ineludibile corollario, che l’appello va proposto con ricorso e non con citazione, nel termine di trenta giorni dalla notificazione (o nell’anno dalla pubblicazione, in difetto di notifica) e che, dovendosi l’atto d’appello proporsi nel rito camerale, con ricorso da depositarsi in cancelleria, i termini sono osservati qualora entro gli stessi sia avvenuto il deposito del ricorso in cancelleria, costituendo la notifica del ricorso medesimo e del decreto di fissazione dell’udienza atti esterni e successivi rispetto alla fattispecie processuale prevista come introduttiva del gravame – integrata, come si è detto, dal deposito del ricorso – diretti unicamente ad instaurare il contraddittorio. Qualora l’appello sia proposto con citazione, tuttavia, lo stesso è valido, per il principio della conservazione, a condizione però che il deposito sia avvenuto in cancelleria nel suddetto termine (da ultimo Cass. 7 marzo 2008, n. 6196).

Quanto alle censure d’incongruenza ed anche d’incostituzionalità, formulate con il motivo, in relazione alla su detta interpretazione della normativa in questione, esse debbono ritenersi manifestamente infondate. Al riguardo è sufficiente richiamare quanto affermato dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza n. 543 del 1989, circa la legittimità della scelta legislativa del rito camerale anche per giudizi di natura contenziosa, il rispetto anche in esso del diritto di difesa e, in particolare, del contraddittorio e del diritto alla prova, nonchè del diritto all’assistenza da parte del difensore. La medesima sentenza ha parimenti affermato l’applicabilità, nel rito camerale, delle norme sulla specificità dei motivi di appello e sulla proponibilità dell’appello incidentale. Questa Corte, poi, con varie decisioni, ha a sua volta già precisato come, nell’ambito di detto rito, pur non essendo applicabili talune norme del rito ordinario, risultino assicurati il diritto di difesa, il contraddittorio, il diritto alla prova (Cass. 12 gennaio 2007, n. 565; 27 maggio 2005, n. 11319; 19 febbraio 2000, n. 1916).

3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli art. 91 e 92 c.p.c., in relazione alla compensazione delle spese, in quanto disposta in base alla reciproca soccombenza virtuale, che non poteva essere motivo di compensazione, stante la declaratoria d’inammissibilità dell’appello. Il motivo viene formulato essenzialmente per negare ogni valore all’esame del merito compiuto dalla Corte d’appello.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello, pur essendo addivenuta a una pronuncia d’inammissibilità, ha esaminato sia il ricorso principale che quello incidentale “funzionalmente a una ponderata statuizione sulle spese del grado, non circoscritta alla questione pregiudiziale”, compensando le spese in relazione “alla reciproca soccombenza, ancorchè virtuale, nonchè degli elementi di obbiettiva complessità della causa”.

In effetti, avendo pronunciato l’inammissibilità dell’appello principale, la Corte non poteva esaminarlo nel merito, nè poteva esaminare quello incidentale, sia pure ai soli fini della compensazione delle spese. Tuttavia la ricorrente, essendo parte totalmente soccombente nel giudizio d’appello, non ha interesse a impugnare la statuizione di compensazione delle spese non potendo ottenere una pronuncia più favorevole, nè potendo essere, stante la confermata inammissibilità dell’appello, in alcun modo pregiudicata dalle valutazioni sul merito, in quanto prive di valenza decisoria.

4. Con il ricorso incidentale si denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per essere stata erroneamente disposta la compensazione delle spese in relazione a una soccombenza virtuale insussistente e con riferimento ad una complessità della causa che, a sua volta, attenendo al merito, non poteva essere presa in considerazione, stante la dichiarata inammissibilità del gravame.

Essendo il ricorso definito espressamente (pag. 6 del controricorso e nelle conclusioni (pag. 23), come “condizionato”, esso, in mancanza dell’accoglimento del ricorso principale, non può essere preso in esame e va dichiarato assorbito.

Al rigetto del ricorso principale consegue la condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di Euro tremiladuecento/00, di cui Euro duecento/00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di Q.W. e F.L..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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