Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21735 del 27/10/2016


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Cassazione civile sez. I, 27/10/2016, (ud. 23/03/2016, dep. 27/10/2016), n.21735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI AVELLINO, Elettivamente domiciliato in Roma, corso Vittorio

Emanuele II, n. 18, nello studio del dott. Gian Marco Grez;

rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Emilio Salvia, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.F., G.G. – T.G., QUALE EREDE DI

G.M.A. G.P. – G.A.R., RAPPRESENTATA

DAL PROPRIO AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO A.N.

Elettivamente domiciliati in Roma, via della Frezza, n. 59, nello

studio dell’avv. Emilio Paolo Sandulli, che li rappresenta e

difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

nonchè sul ricorso proposto in via incidentale da:

G.F. – G.G. – T.G., QUALE EREDE DI

G.M.A. – G.P. – G.A.R.,

RAPPRESENTATA DAL PROPRIO AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

A.N. come sopra rappresentati;

– ricorrenti in via incidentale –

contro

COMUNE DI AVELLINO come sopra rappresentato;

– controricorrente a ricorso incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 1299,

depositata in data 15 aprile 2011;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 23 marzo 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

Sentito per il Comune di Avellino l’avv. Salvia;

Sentito per i ricorrenti in via incidentale l’avv. Sandulli;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con sentenza n. 2743 del 2003 il Tribunale di Avellino condannava il Comune di Avellino al pagamento in favore dei signori G.F., anche quale procuratore speciale di G.M.A. (alla quale sarebbe poi subentrato, nel corso del giudizio, l’erede T.G.), G., P. e G.A.R., a titolo di risarcimento danni per l’illegittima occupazione e successiva irreversibile trasformazione di un terreno di loro proprietà, della somma di Euro 948.062,00, nonchè della somma di Euro 40.914,16 a titolo di indennità per l’occupazione legittima, oltre interessi.

1.1 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Avellino e, in parziale accoglimento del gravame avanzato in via incidentale dai proprietari, ha determinato la somma dovuta a titolo di risarcimento dei danni in Euro 793.584,62, oltre rivalutazione monetaria dal 25 gennaio 1993 fino alla data della decisione, oltre interessi.

1.2 – Quanto all’appello principale, disattesa preliminarmente l’eccezione di inammissibilità per tardività sollevata dagli appellati, ha ribadito, avendo per altro ritenuto inammissibile la deduzione dei proprietari circa la qualificazione dell’occupazione come usurpativa, la ricorrenza di un’occupazione espropriativa, in quanto il decreto di espropriazione era intervenuto in data 30 aprile 1997, quando il periodo di occupazione legittima era già scaduto. A tale conclusione la corte partenopea è pervenuta disattendendo la tesi del Comune secondo cui si sarebbe dovuto tener conto delle proroghe legali dell’occupazione succedutesi nel tempo: in particolare, è stata ritenuta inapplicabile la proroga disposta dal D.L. n. 534 del 1987, art. 14 conv. nella L. n. 47 del 1988, in quanto al momento della sua entrata in vigore l’occupazione, dovendosi tener conto non della data del relativo decreto, bensì del momento dell’immissione in possesso, avvenuta in data 25 gennaio 1988, l’occupazione non era in corso.

1.3 – E’ stato poi confermato il giudizio del Tribunale circa la natura edificatoria dell’intera area, in quanto, richiamate le risultanza peritali sul punto, e rilevato che, dopo la decadenza del Piano di recupero dell’Area Disastrata n. 19, era stato adottato il nuovo Piano regolatore Generale in data 30 aprile 1987 (poi approvato il 28 maggio 1991), si è affermato che le aree occupate dovevano considerarsi edificabili sulla base del suddetto piano di recupero, precisandosi, quanto ad alcune particelle destinate a verde attrezzato che, in disparte la difficoltà di individuare la loro estensione, le stesse dovevano considerarsi al servizio di quelle destinate all’edificazione.

1.4 – Quanto alla determinazione del danno, si è tenuto conto dell’abrogazione dei criteri riduttivi di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, determinandosi la somma complessivamente spettante nei termini sopra precisati.

1.5 – In ordine all’indennità di occupazione, si è rilevato che l’eccezione di incompetenza del giudice di primo grado non era stata tempestivamente dedotta, ragion per cui, sulla sua determinazione, non avendo i proprietari sollevato alcuna contestazione, si era formato il giudicato.

1.6 – Sono stati infine liquidate le spese di primo grado in maniera aderente agli importi nuovamente determinati, anche in relazione a specifiche doglianze dei G. in ordine all’inadeguatezza per difetto della liquidazione effettuata in primo grado.

1.7 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Avellino propone ricorso, affidato a sette motivi, cui i proprietari ( G.A.R. rappresentata dal proprio amministratore di sostegno A.N.) resistono con controricorso e interpongono ricorso incidentale, con due motivi, illustrati da memoria e resistiti da controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Preliminarmente deve disattendersi l’eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso: come emerge dall’esame degli atti, consentito dalla natura procedurale della questione, un primo tentativo di notifica presso il procuratore della controparte costituito in grado di appello, effettuato nella data – pacificamente ritenuta tempestiva – del 25 luglio 2011, non ebbe buon fine, in quanto erroneamente si ritenne che l’avv. Paolo Emilio Sandulli avesse trasferito altrove il proprio studio. Avendo quest’ultimo notificato in data 22 agosto 2011 un atto al difensore del Comune di Avellino, con il quale ribadiva l’indirizzo del proprio studio in (OMISSIS), la ripresa del procedimento notificatorio, avvenuta in termini ragionevolmente contenuti e poi conclusasi con il perfezionamento, tenuto conto della unitarietà del procedimento stesso, consente di affermare che con la prima consegna all’Ufficiale Giudiziario, entro il termine previsto dall’art. 325 c.p.c., ed in assenza di qualsiasi profilo di colpa in capo al notificante, il ricorso sia stato tempestivamente proposto (Cass., 25 settembre 2015. N. 19060; cass., 19 novembre 2014, n. 24641; Cass., 11 settembre 2013, n. 20830; Cass Sez. Un., 24 luglio 2009, n. 17352).

2.a – Parimenti infondate sono le eccezioni relative all’inammissibilità del ricorso incidentale: la prima, in quanto postula una competenza per territorio dell’ufficio postale che non trova alcun riscontro nella L. n. 53 del 1994, art. 1, della quale si è avvalso, a tanto debitamente autorizzato, il difensore di controparte; la seconda, che assume la tardività del ricorso incidentale, rispetto alla data di notifica della sentenza, in netto contrasto con il principio secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove 1′ impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (Cass., 16 novembre 2015, n. 23396; Cass., 9 dicembre 2014, n. 25848; Cass., 7 agosto 2013, n. 18752; Cass., Sez. Un.,27 novembre 2007, n. 24627); la terza, infine, in quanto assume come dies a quo la data del 25 luglio 2011, nella quale, come sopra evidenziato, la notificazione del ricorso principale non si perfezionò.

2.1 – Con il primo motivo il Comune di Avellino, denunciando violazione del D.L. n. 534 del 1988, art. 14 e della L. n. 158 del 1991, art. 22 sostiene che erroneamente sarebbe stata affermata la natura illegittima dell’occupazione, essendo il decreto di espropriazione intervenuto prima della scadenza del periodo di occupazione legittima, da calcolarsi anche sulla base delle proroghe disposte dalla richiamate disposizioni.

2.2 – Con il secondo mezzo si deduce violazione degli artt. 99, 112 e 116 c.p.c., in relazione al riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, oltre al decreto di esproprio del 24 gennaio 1997, anche a un successivo decreto, desunto dalle relazioni peritali, del 30 gennaio 1997.

3 – Dette censure, da esaminarsi congiuntamente per lo loro intima correlazione, sono fondate.

3.1 – Deve preliminarmente rilevarsi che non può prescindersi, ai fini di valutare la natura, legittima o meno, dell’occupazione in esame, dal decreto di espropriazione emesso dal Comune di Avellino in data 24 gennaio 1997, in relazione al quale, avendo la stessa Corte di appello dato atto della rituale produzione, non risultano avanzati congrui rilievi circa la sua pertinenza (anche sotto il profilo delle particelle catastali interessate) alla procedura in esame, la sua autenticità e la sua validità.

3.2 – il D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, comma 2, convertito nella L. n. 47 del 1988, così dispone: “Per le occupazioni d’urgenza in corso, la scadenza del termine, di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 2 già prorogato dal D.L. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1, comma 5- bis convertito, con modificazioni, dalla L. 10 marzo 1985, n. 42, concernente precedente proroga delle occupazioni d’urgenza, è ulteriormente prorogata di due anni”.

3.3 – Vale bene premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la proroga di due anni disposta dal D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14 (convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1988, n. 47) trova applicazione in ogni caso di occupazione d’urgenza in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge, sia che l’occupazione fosse già stata prorogata una volta in base al D.L. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1, comma 5 bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. 1 marzo 1985, n. 42), sia che questa fosse in corso ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20 ma non ancora prorogata (Cass., 19 agosto 2004, n. 16204).

3.4 – Giova altresì ricordare che, a differenza della L. n. 385 del 1980, del D.L. 28 luglio 1981, n. 396, convertito in L. 25 settembre 1981, n. 535, del D.L. 29 maggio 1982, n. 298, convertito in L. 29 luglio 1982, n. 481, e della L. 23 dicembre 1982, n. 943, con cui fu elevato in via generale ed astratta il termine massimo di durata dell’occupazione d’urgenza, attribuendosi alla Pubblica Amministrazione il potere di disporre la proroga dei termini delle occupazioni in corso entro i nuovi limiti temporali, il D.L. n. 901 del 1984 e, per quanto in questa sede interessa, il D.L. n. 534 del 1987, come pure la L. n. 158 del 1991, incisero in maniera diretta ed immediata sulla durata dei periodi di occupazione temporanea, così come concretamente determinata dall’autorità amministrativa, differendone nel tempo la scadenza, la cui posticipazione operava pertanto automaticamente, senza che risultasse necessaria a tal fine l’emanazione di uno specifico provvedimento amministrativo (Cass., 15 novembre 2004, n. 21621; Cass., 14 febbraio 2003, n. 2210; Cass., 9 dicembre 1998, n. 12382). L’operatività della proroga legale non era per altro esclusa dall’irreversibile trasformazione del fondo occupato, eventualmente intervenuta prima della scadenza del termine inizialmente fissato, in quanto l’acquisto a titolo originario della proprietà in favore dell’Amministrazione, per effetto del fenomeno dell’accessione invertita, si verifica soltanto alla data di scadenza dell’occupazione legittima, con la conseguenza che, fino a quando il termine originario o prorogato non sia spirato, il proprietario, al quale l’area continua ad appartenere, null’altro può pretendere se non la corresponsione dell’indennità di occupazione, restando sempre possibile l’emanazione del decreto di espropriazione (cfr. Cass., 15 gennaio 2010, n. 556; Cass., 27 febbraio 2003, n. 2962).

Com’è noto, il differimento previsto dalle citate disposizioni trovava giustificazione nell’opportunità di consentire il completamento delle opere dichiarate di pubblica utilità e l’emissione del decreto di espropriazione entro la scadenza del termine di efficacia del decreto di occupazione, in modo da evitare l’insorgenza dell’obbligo di risarcire il danno subito dai proprietari dei fondi occupati, in attesa dell’approvazione della nuova disciplina dell’indennità di espropriazione, resa necessaria dalla dichiarazione d’illegittimità costituzionale della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, commi 5, 6 e 7, nella parte in cui estendeva alle aree edificabili il criterio di liquidazione fondato sul valore agricolo medio (cfr. Corte cost., sent. n. 5 del 1980), e della L. n. 385 cit., art. 1 il quale riproduceva le norme già dichiarate illegittime (cfr. Corte cost., sent. n. 223 del 1983; Cass., 3 luglio 2014, n. 15258, in motivazione).

3.5 – Tanto premesso, la questione interpretativa che il ricorso in esame pone riguarda l’applicabilità o meno della proroga disposta dal richiamato D.L. n. 534 del 1987 al procedimento espropriativo in esame.

Come evidenziato in narrativa, il decreto di occupazione venne emesso in data 23 dicembre 1987, mentre l’immissione in possesso avvenne il successivo 25 gennaio 1988.

La tesi sostenuta dal Comune ricorrente, secondo cui, in virtù del provvedimento sopra menzionato, entrato in vigore il primo gennaio 1988, i termini della disposta occupazione debbono intendersi prorogati, appare condivisibile.

Conforta, in tal senso, il tenore letterale della disposizione, che non si riferisce, come opinato dalla corte distrettuale, alla concreta durata dell’occupazione, da determinarsi – come si dirà – sulla base della decorrenza iniziale del verbale di immissione in possesso, ma al termine “di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 2”.

Tale norma, com’è noto, prevedeva che l’occupazione potesse “essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione del possesso”.

Appare allora evidente che il decreto di occupazione, già efficace al momento dell’entrata in vigore del citato provvedimento di proroga (efficacia condizionata proprio alla realizzazione, entro tre mesi, della materiale occupazione), segnava il momento rilevante, dal punto di vista giuridico, del sub-procedimento di occupazione temporanea di urgenza, che, quindi doveva considerarsi in corso alla data del 1 gennaio 1988. La proroga disposta dal Decreto n. 534 del 1987, art. 14, si riferiva proprio al termine quinquennale, già fissato nel decreto, e, per l’appunto, prorogato di due anni, laddove la data del verbale di immissione in possesso, come già specificato, costituiva il termine iniziale per il calcolo della durata, in concreto, dell’occupazione.

In virtù dell’interpretazione testè resa del D.L. n. 534 del 1987, art. 14, comma 2, il termine di cinque anni indicato nel decreto di occupazione risulta prorogato di due anni per effetto della proroga prevista da detta norma, nonchè di un ulteriore biennio per effetto della proroga disposta dalla L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22.

Il decreto di espropriazione del 24 gennaio 1997 risulta, pertanto, emesso prima della scadenza del periodo di occupazione legittima, che si sarebbe verificata in data 25 gennaio 1997, ossia entro il nono anno dalla data del verbale di immissione in possesso del 25 gennaio 1988 (con riferimento a tale termine iniziale, v. Cass., Sez. Un., 21 novembre 1998, n. 11773; Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 499; Cass., 22 aprile 2002, n. 5851).

4 – Le ulteriori censure proposte nel ricorso principale, dalla terza alla quinta, nonchè la sesta e la settima, rimangono assorbite, in quanto relative, le prime, alla determinazione della somma spettante a titolo di risarcimento.

4.1 – Quanto all’ammissibilità della domanda concernente l’indennità di occupazione, contestata nell’ambito del sesto motivo, deve in ogni caso richiamarsi il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di determinazione dell’indennità di esproprio, la circostanza che sia prevista la competenza della Corte di Appello da esercitarsi in unico grado (L. n. 865 del 1971, art. 19), non esclude la preclusione nel rilievo della incompetenza per materia oltre la prima udienza di trattazione fissato dall’art. 38 c.p.c., comma 1, in quanto tale norma, essendo contenuta nel libro primo del codice, ha natura generale e della stessa non è dato cogliere indicazioni eccettuative (Cass., 12 ottobre 2007, n. 21434).

5 – Infondato è il ricorso incidentale, con il quale gli espropriati ripropongono il tema della ricorrenza di una occupazione usurpativa.

5.1 – Deve premettersi che le ragioni poste nella sentenza impugnata alla base della declaratoria di inammissibilità di tale deduzione, in quanto nuova, non sono più attuali, essendo ormai scomparsa ogni significativa differenza fra le figure dell’occupazione “espropriativa” ed “usurpativa”, dopo la nota decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 735 del 2015, ed essendosi già affermato che “nel giudizio di risarcimento del danno derivante dalla occupazione e trasformazione irreversibile di un fondo senza titolo, la qualificazione in primo grado della domanda risarcitoria come di accessione invertita (o occupazione cd. acquisitiva) non esclude l’ammissibilità di una riqualificazione della stessa in occupazione usurpa-tiva da parte dell’attore in sede di appello, atteso che la presenza o meno della dichiarazione di pubblica utilità non è in grado di differenziare le due forme di illecito, entrambe a carattere permanente ed improduttive di effetti giuridici, poichè non comporta l’acquisizione del bene occupato alla mano pubblica, nè incide sulla “causa petendi” giuridicamente significativa, rappresentata in entrambi i casi dalla occupazione illegittima” (Cass., 9 aprile 2015, n. 7137).

5.2 – I ricorrenti in via incidentale ribadiscono sotto due profili la ricorrenza di un’occupazione illegittima, per carenza di una valida o persistente dichiarazione di pubblica utilità: a), per omessa indicazione dei termini previsti dalla L. n. 2359 del 1865, at. 13 nella Delib. G.M. n. 3045 del 1987; b), per decadenza della stessa dichiarazione di pubblica utilità per decorso del termine decennale del Piano di Zona.

5.3 – Tali deduzioni non possono essere condivise, poichè, quanto al primo aspetto, deve richiamarsi il principio secondo cui la mancata indicazione dei termini entro i quali debba esser compiuta l’espropriazione e debbano essere iniziati i lavori, in violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13 non comporta carenza del potere espropriativo con riferimento alle opere previste dalla L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1 in cui la dichiarazione di pubblica utilità è implicita nell’approvazione del progetto dell’opera pubblica, e la previsione ex lege del termine triennale per 1′ inizio dei lavori rende superflua la fissazione del termine di cui all’art. 13 (Cass., 19 febbraio 2009, n. 4027; Cass., Sez. Un., 22 novembre 1996, n. 10327; Cons. St, 27 ottobre 2003, n. 6631).

5.4 – Deve poi rilevarsi che la dichiarazione di pubblica utilità connessa all’approvazione dei Piani di Zona, come quello in esame, ha la durata di diciotto anni, in quanto il termine originario di dieci anni di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167, art. 9, è stato aumentato a quindici anni dal D.L. 2 maggio 1974, n. 115, art. 1, conv. in L. 27 giugno 1974, n. 274, mentre un’ulteriore proroga di tre anni è stata assicurata dalla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 51 (Cass. Sez. Un., 13 febbraio 2007, n. 3041), non risultando, per l’altro, l’indicazione da parte dell’Amministrazione, di termini inferiori rispetto a quelli indicati dalla legge (cfr., al riguardo, Cass., 28 ottobre 2011, n. 22526). Non appaiono condivisibili i rilievi dei ricorrenti in via incidentale circa l’autonomia funzionale, da cui discenderebbe una diversa efficacia, del Piano di zona previsto dalla L. n. 219 del 1981, art. 28, comma 2, lett. a), rispetto al c.d. P.e.e.p., dovendosi innanzitutto rilevare che tale norma contiene un rinvio esplicito alla L. n. 685 del 1971 (“Per sopperire alle immediate esigenze di ricostruzione i comuni stessi adottano o confermano tra i seguenti piani esecutivi necessari: a) il piano di zona redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, dimensionato sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la realizzazione di edifici residenziali distrutti e non ricostruibili in sito”), laddove sulla dedotta carenza di “omogeneità funzionale” debbono comunque far premio le medesime cadenze temporali, all’evidenza incidenti allo stesso modo sulla durata dell’efficacia.

5.5 – Alla luce di quanto sopra evidenziato, la questione circa la validità o meno della declaratoria di inammissibilità della questione, in quanto ritenuta nuova, è affatto priva di decisività.

6 – Il ricorso incidentale condizionato proposto dagli espropriati rimane assorbito sulla base di quanto rilevato in merito al sesto motivo del ricorso principale.

7 – In definitiva, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli affinchè applichi, in diversa composizione, i principi sopra affermati, provvedendo, altresì, in merito al regolamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il sesto, assorbiti gli altri. Rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016

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