Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21732 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 25/05/2021, dep. 29/07/2021), n.21732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10371/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura

generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12 è domiciliata.

– ricorrente –

Contro

LG Fullservice s.r.l. già s.a.s. in persona del legale

rappresentante, F.I. e G.L.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 1743/10/14, depositata il 10.10.2014.

Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 25.5.2021 dal

Consigliere Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 1743/10/14, depositata il 10.10.2014, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto da LG Full Service s.a.s. e dai soci F.I. e G.L. annullando l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto alla verifica della dichiarazione relativa all’anno 2006 e recuperato a tassazione maggiori imposte a titolo di Irpef, Irap ed Iva sull’assunto dell’indeducibilità, per difetto di inerenza, dei costi risultanti da una fattura emessa dalla ditta Watch Staff di Gi.Gi. (quale onere per consulenza ricevuta) risultata priva dei requisiti oggettivi e soggettivi per l’esercizio dell’attività economica.

Affermava la CTR che la produzione delle ricevute dei pagamenti periodici e le dichiarazioni degli ex dipendenti circa l’effettività dello svolgimento delle prestazioni offerte, consentivano di affermare che l’operazione si era verificata e che era stato osservato il principio di competenza territoriale e quello di inerenza.

Avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Gli intimati non hanno spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5.

Lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto provata l’effettività e l’inerenza della prestazione non essendo sufficienti a tal fine le presunte quietanze sottoscritte dall’operatore interessato e le dichiarazioni dei dipendenti della società sullo svolgimento delle prestazioni.

La censura è inammissibile.

In via generale va rammentato che alla fattispecie in esame si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che, interpretato alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, consente di denunciare in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Per altro verso, poi, con la novella è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. sez. un. 07/04/2014 n. 8053).

Alla luce di questa doverosa premesso va rilevato che il primo motivo di ricorso denuncia sostanzialmente una insufficiente motivazione e non un omesso esame di un fatto decisivo nei termini sopra ricordati; la censura si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. Cass. 22/01/2013 n. 1472 ed ivi ampi richiami di giurisprudenza).

2. Con il secondo motivo l’ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 17, 21, 23 e 54, nonché degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la CTR, nel prendere in esame la documentazione prodotta dal contribuente, non aveva correttamente applicato l’art. 109 del Tuir e considerato decisive circostanze irrilevanti ai fini del giudizio, con particolare riferimento al disconoscimento di costi per difetto di inerenza/afferenza, certezza e determinabilità.

La censura non è fondata.

L’art. 21, al comma 2, lett. g), prescrive che la fattura debba indicare, tra l’altro, la “natura, qualità e quantità dei beni e servizi oggetto dell’operazione”. Tale norma è in linea con il principio contenuto nella Dir. 2006/112/CE del Consiglio UE, art. 226, punto 6 (di contenuto analogo alla corrispondente norma della sesta Dir. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977), che prescrive l’indicazione della quantità e natura dei beni ceduti o l’entità e la natura dei servizi resi, in uno con la specificazione della data (di cui all’art. 226, punto 7); ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione.

Ciò posto, e fermo restando che neanche la fattura regolarmente compilata rappresenta prova inconfutabile della sussistenza dell’operazione effettuata, ma solo elemento per consentire le verifiche da parte dell’amministrazione finanziaria, la giurisprudenza unionale ha dovuto affrontare la questione della portata dell’inosservanza di tali norme impositive degli obblighi formali, di solito concretantesi nell’incompleta, imprecisa o parzialmente erronea descrizione in fattura. Argomentando in base al diritto dei soggetti passivi di detrarre l’I.v.a. dovuta o versata a monte per i beni acquistati o per i servizi loro prestati, così come sancito dalla Dir. 2006/112/CE, art. 178, che costituisce un principio fondamentale del sistema, e al principio di neutralità dell’I.v.a., che esige che la sua detraibilità a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi, la corte di giustizia UE ha concluso nel senso che l’inosservanza di tali obblighi formali non comporta l’automatica indetraibilità dell’I.v.a. In tal senso, l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dalla Dir. 2006/112/CE, art. 219, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’I.v.a. l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere o no la detrazione richiesta (così Corte giust. UE, 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliàrios e Turisticos SA v Autoridade Tribudria e Aduaneira).

Tanto premesso il giudice di appello ha correttamente evidenziato che le carenze documentali rilevate costituiscono presunzioni che consentono all’Ufficio di sostenere la indetraibilità del costo relativo e rovescia sul contribuente l’onere di dimostrare la sua inerenza e competenza.

La commissione regionale, accertata la genericità delle fatture, ha tuttavia evidenziato che i contribuenti avevano provato entità, natura ed epoca delle operazioni. “A questo fine la produzione delle ricevute dei pagamenti periodici (intervenuti nel corso del 2006 e per l’importo complessivo della fattura) e la produzione delle numerose dichiarazioni degli ex dipendenti circa l’effettività dello svolgimento delle prestazioni offerte dal Gi. e ricevute dalla Full Service s.a.s consentono di affermare che l’operazione oggetto del contenzioso si è oggettivamente verificata e la sua esecuzione è stata sufficientemente provata, rispondendo all’esigenza dell’osservanza del principio di competenza territoriale (prestazione svoltasi ed esauritasi nel 2006, come da ricevute) e di quello dell’inerenza (prestazione attinente l’attività della società, documentata dalle dichiarazioni degli ex dipendenti)”.

La sentenza impugnata si sottrae, dunque, alla censura.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Nulla sulle spese in assenza di costituzione di parte intimata.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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