Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21731 del 26/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21731 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA
sul ricorso 15875-2011 proposto da:
COSENZA MATTEO C.F. CSNMTT52C08F631U, elettivamente
domiciliato

in

ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 75,

presso lo studio dell’avvocato MARIO LACAGNINA, che
lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
2962

– I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA n.

29 presso

Data pubblicazione: 26/10/2015

l Avvocatura Centrale dell Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati ALESSANDRO RICCIO, LUIGI
CALIULO, SERGIO PREDEN ed ANTONELLA PATTERI, giusta
delega in atti;
– controri corrente –

– I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso
l Avvocatura Centrale dell Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN,
ANTONELLA PATTERI e GIUSEPPINA GIANNICO, giusta
delega in atti;
– ricorrente successivo contro

IMPAGNATIELLO ANTONIO C.F. MPGNTN49L04E885H, NENNA
POMPEO

SIPONTO C.F.

NNNPPS48M31E885P,

BISCEGLIA

MATTEO C.F. BSCMTT48A01F63IF, elettivamente
domiciliatoi in ROMA, VIA GIOVANNI ANTONELLI 50,
presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE TRIVELLINI,
che li rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrenti al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 1112/2009 della CORTE
D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/06/2010 R.G.
N.535/2006;

e sul ricorso successivo senza n.r.g.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/06/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato RITA PUGLIESE per delega LACAGNINA
MARIO;

è comparso l’Avvocato RAFFAELE TRIVELLINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
il rigetto di entrambi i ricorsi.

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN;

Udienza 24 giugno 2015
Presidente Roselli
Relatore Doronzo
R.G. n. 15875/11
Cosenza dINPS
INPS c/ Impagnatiello+2

Svolgimento del processo
1.- La Corte d’appello di Bologna, con sentenza emessa in data 18
giugno 2010, in riforma della sentenza resa dal giudice di primo grado
ed in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dall’
Inps, ha rigettato la domanda proposta da Matteo Cosenza nei
confronti dell’Istituto, avente ad oggetto il riconoscimento della
maggiorazione contributiva prevista dall’art. 13, comma 8°, 1. n.
257/1992 e successive modifiche, in conseguenza di esposizione
all’amianto. Ha invece rigettato l’appello incidentale proposto dal
Cosenza e dagli altri ricorrenti in primo grado, Antonio Impagnatiello,
Pompeo Siponto Nenna e Matteo Bisceglia, tutti lavoratori alle
dipendenze della Enichem, avente ad oggetto il capo della sentenza
con cui erano state compensate le spese del processo.
2. – Contro la sentenza, il Cosenza propone ricorso per cassazione
sostenuto da due motivi, cui resiste con controricorso l’Inps, il quale
spiega autonomo e successivo ricorso, fondato su un unico motivo, cui
resistono con controricorso l’Impagnatiello, il Nenna e il Bisceglia. Le
parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi in quanto si tratta di
impugnazioni contro la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.)
1.- Con il primo motivo il Cosenza censura la sentenza per “violazione
e falsa applicazione degli artt. 11 e 12, capo 1, c. c. in relazione
all’omessa considerazione dell’operatività dell’art. 13, comma 8°,
legge n. 257/1992 rispetto alla sopravvenuta legge 136/2003”. In
sintesi, deduce che la legge 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8°,
nonché il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, artt. 24 e 31,
nella parte in cui riconoscono la rivalutazione contributiva
previdenziale per esposizione ultradecennale all’amianto dei
lavoratori, non richiedono il superamento di un limite-soglia di
esposizione. Non può inoltre trovare applicazione la norma di cui
all’art. 47 d.l. n. 269/2003, convertito in legge 326/2003, che ha
invece espressamente introdotto il limite-soglia, stante il principio di
irretroattività della legge.
2.- Con il secondo motivo il Cosenza denuncia l’omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio. Lamenta che la sentenza impugnata ha omesso di motivare
o, comunque, ha contraddittoriamente motivato in ordine al mancato
accoglimento della richiesta di rinnovo della c.t.u. o di chiarimenti,
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Presidente Roselli
Relatore Doronzo
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Cosenza c11NPS
INPS c/ Irnpagnatiello+2

4.

nonché in ordine alle prove orali. Assume invero che, in relazione alle
mansioni concretamente svolte e non adeguatamente valutate dal
consulente tecnico di ufficio, la sua esposizione all’amianto era stata
senz’altro superiore al valore soglia e si era protratta anche oltre il
periodo di tempo indicato dal c.t.u.
3. – Il ricorso dell’INPS è fondato su un unico motivo, con il quale si
deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui, dopo aver disposto
una consulenza tecnica d’ufficio che aveva determinato i periodi di
esposizione all’amianto dei lavoratori Impagnatiello, Bisceglia e
Nenna in misura diversa ed inferiore rispetto a quanto statuito dal
tribunale, non ne ha tratto le dovute conclusioni procedendo a
rideterminare i periodi suscettibili di rivalutazione contributiva.
Lamenta perciò una contraddittoria e comunque insufficiente
motivazione.
Il primo motivo del ricorso del Cosenza è infondato.
Questa Corte ha chiarito in numerose decisioni (cfr. tra le tante Cass.,
11 luglio 2002, n. 10114; Cass. 1° agosto 2005, n. 16118; Cass., 6
febbraio 2007, n. 2580, ed ivi ampi richiami; Cass., ord. 30 luglio
2010, n.17916) che l’attribuzione dell’eccezionale beneficio di cui alla
legge 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, nel testo risultante
dalle modifiche apportate dal D.L. 5 giugno 1993, n. 169, art. 1,
comma 1, e dalla successiva legge di conversione 4 agosto 1993, n.
271, presuppone l’assegnazione ultradecennale del lavoratore a
mansioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo e
personale rischio morbigeno, a causa della presenza nei luoghi di
lavoro di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori
limite indicati nella legislazione di prevenzione di cui al D.Lgs. 15
agosto 1991, n. 277, artt. 24 e 31 e successive modifiche. È la stessa
legge n. 257 del 1992 a dare fondamento normativo all’esigenza di una
esposizione superiore a una determinata “soglia” stabilendo con
specifica disposizione (art. 3 poi sostituito dalla L. 24 aprile 1998, n.
128, art. 16 – che richiama e in parte modifica i valori indicati nel
D.Lgs. n. 277 del 1991) il limite di concentrazione al disotto del quale
le fibre di amianto devono considerarsi “respirabili” nell’ambiente di
lavoro e mostrando così di ritenere insufficiente, agli effetti del
beneficio da attribuire ai lavoratori “esposti all’amianto” (che non
abbiano contratto malattia professionale), la presenza della sostanza in
quantità tale da non superare il limite anzidetto e da non rappresentare
per tale ragione un concreto pericolo per la salute.

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La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 5/2000, ha ritenuto non
fondata la questione di costituzionalità dell’art. 13, comma 8°sollevata anche sotto il profilo che la mancata determinazione del
fattore rischio, cioè della misura di esposizione rilevante, avrebbe
portato, in violazione dell’art. 3 Cost. a trattare in maniera uniforme
situazioni di concreto pericolo e non – proprio in base ad una
interpretazione della norma secondo cui, per la rilevanza
dell’esposizione, è necessario il superamento di una specifica soglia di
rischio (quella appunto indicata dal d.lgs. n. 277 del 1991), tale da
connotare le lavorazioni di effettive potenzialità morbigene.
Le successive decisioni del giudice delle leggi in materia (cfr. C.Cost.
n. 127/2002 e n. 369/2003) hanno confermato la necessaria rilevanza
di un’esposizione “qualificata” al rischio.
Tale orientamento può dirsi ormai consolidato (Cass., 11 gennaio
2007, n. 400; Cass. 26 febbraio 2009, n. 4650; Cass., ord. 30 luglio
2010, n. 17916; Cass., 23 marzo 2015, n. 5755). Esso corrisponde
all’esigenza di individuare una soglia di esposizione a rischio che
valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all’amianto, che
non presenti gli elementi di delimitazione del rischio invece
rappresentati, nella previsione dell’art. 13, sesto comma 1. cit., dal
particolare tipo di lavorazione (svolgimento del lavoro nelle cave o
nelle miniere di amianto) e, in quella del settimo comma, dalla
verificazione di una malattia professionale correlata all’esposizione.
Il riferimento al (1.1g. 277/1991 e succ. mod. per l’individuazione della
soglia integra così la portata precettiva dell’art. 13, ottavo comma 1.
257/1992.
La correttezza di quest’opzione interpretativa appare, infine,
confermata dall’art. 47 d.l. 269/2003 conv. in 1. 326/2003 (che fissa la
soglia di esposizione necessaria per il beneficio in 100 fibre/litro), la
cui portata è stata ulteriormente precisata dalla L. n. 350 del 2003, art.
3, comma 132, la quale, se ha modificato ratione temporis la portata e
la misura del beneficio contributivo accordato, ha, da un lato,
confermato la necessità, anche con riferimento al periodo pregresso, di
una soglia di esposizione quantitativamente precisata (cfr. Cass., 8
novembre 2004, n. 21257; Cass., 11 gennaio 2007, n. 400), dall’altro,
precisato la fattispecie costitutiva, nel senso che essa richiede, per
l’acquisizione del beneficio previdenziale, l’esposizione all’amianto in
concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro, come
valore medio su otto ore al giorno, concentrazione che corrisponde a
quella di 0,1 fibre per centimetro cubo espressa, con diversa unità di
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misura, dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24 (cfr. ad es. Cass. n.
400/2007, cit.; Cass., 26 febbraio 2009, n. 4650; Cass., n. 17916/2010,
cit.).
In definitiva, la circostanza che il legislatore del 2003 abbia
espressamente fatto riferimento ad una precisa soglia di esposizione
alle fibre di amianto si pone nel solco della previsione di una soglia di
esposizione quantitativamente precisata, già ritenuta in via
interpretativa (Cass. 11 gennaio 2007, n. 400; v. pure Cass., 13 luglio
2007,n. 15751).
5. – Il secondo motivo è inammissibile. L’accertamento della
sussistenza di un’esposizione significativa nei sensi sopra precisati
deve essere compiuto dal giudice di merito avendo riguardo alla
singola collocazione lavorativa, verificando cioè, nel rispetto del
criterio di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., se colui
che ha fatto richiesta del beneficio abbia non solo indicato e provato la
specifica lavorazione praticata, ma abbia anche dimostrato che
l’ambiente nel quale questa si svolgeva presentava una concentrazione
di polveri di amianto superiore ai valori limiti sopra indicati (vedi da
ultimo Cass., 10 agosto 2005, n. 16118).
Il giudice del merito ha ritenuto insussistente la prova di un’
esposizione qualificata del ricorrente in ragione delle mansioni svolte
e degli accertamenti compiuti dal consulente tecnico d’ufficio, il quale,
alla stregua dei dati acquisiti, esposti nella relazione e negli altri atti
allegati all’elaborato peritale, è pervenuto alla conclusione che i limiti
di legge stabiliti con il decreto legislativo n. 277/1991, rapportati ad
un livello di azione di 0,1 fibre per centimetro cubo, non siano stati
superati in relazione alla posizione del Cosenza. Tale accertamento,
che appare compiuto e coerente sul piano logico-giuridico, è
incensurabile in sede di legittimità, avendo il giudice accolto le
conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio facendole proprie,
disattendendo motivatamente le conclusioni del consulente di parte
ricorrente (pag. 11) e così assolvendo l’obbligo di motivazione con
l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, cui ha aderito
per le critiche ed argomentate ragioni esposte (a pagg. 11 e 12 della
sentenza), senza che occorra la confutazione dettagliata delle contrarie
argomentazioni della parte, da ritenersi implicitamente disattese (Cass.
29 agosto 2005, n. 17420). Peraltro, la parte non ha indicato specifiche
carenze o deficienze diagnostiche riscontrabili nella perizia,
affermazioni illogiche o scientificamente errate in essa contenute, né
ha individuato omissioni di accertamenti strumentali imprescindibili
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per la formulazione di una corretta conclusione tecnica, non essendo
sufficiente la mera prospettazione di una difformità tra le valutazioni
del consulente e quelle auspicate dalla parte. Al di fuori di tale ambito,
infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero
dissenso diagnostico, non attinente a vizi del processo logico, che si
traduce in una inammissibile richiesta di revisione nel merito del
convincimento del giudice (Cass. 21 agosto 2007, n. 17779; Cass. 17
aprile 2004 n. 7341; Cass. 28 ottobre 2003 n. 16223).
Quanto alla parte della censura relativa alla mancata ammissione delle
prove orali e in particolare delle “prove orali richieste dopo il
deposito della c.t.u.”, essa viola il principio di autosufficienza, in
difetto dell’integrale trascrizione delle prove e della specifica
indicazione dell’atto difensivo o del verbale di causa in cui esse
sarebbero state dedotte, nonché dei dati per un loro facile reperimento
nel presente giudizio (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass., 30 luglio
2010, n. 17915; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).
6. Anche il ricorso dell’Inps non merita accoglimento. Il motivo
difetta di autosufficienza, nella parte in cui il ricorrente non riporta
agli esatti termini del motivo di doglianza sottoposto alla Corte
territoriale, la quale non affronta la questione relativa ai periodi per i
quali è stato accertato il diritto alla rivalutazione contributiva ed alla
loro difformità rispetto a quanto accertato nella sentenza impugnata.
Era pertanto onere del ricorrente specificare dove e quando la
questione sarebbe stata sottoposta al giudice del gravame, così come
era necessario trascrivere il contenuto della memoria difensiva del
Bisceglia, al fine di verificare l’assenta mancanza di un appello
incidentale volto ad includere ulteriori periodi di esposizione rispetto a
quelli accertati dal primo giudice. Tale inadempimento impedisce
anche di apprezzare il dedotto vizio di insufficienza o contraddittorietà
della motivazione.
Infine, deve aggiungersi che l’Inps si limita a trascrivere brevi e
disarticolati stralci della consulenza tecnica d’ufficio, su cui fonda la
sua censura, e ciò costituisce ragione di inammissibilità ai sensi
dell’art. 366, comma 1°, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass., 17 luglio 2014, n.
16368; Cass., 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass., 13 giugno 2007, n.
13845).
Il suo ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
7. Poiché il giudizio è stato introdotto in data 10/2/2003, come risulta
dall’impugnata sentenza, e dunque prima della riforma dell’art. 152
disp. att. c.p.c., disposta con d.l. 30 settembre 2003,n. 269, convertito,
5

con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003,n. 326, non deve
adottarsi alcun provvedimento sulle spese relativamente al ricorso
proposto dal Cosenza, non apparendo la lite temeraria e
manifestamente infondata. Quanto alle spese relative al ricorso
incidentale, proposto dall’Inps nei confronti dell’Impagnatiello, del
Bisceglia e del Nenna, esse vanno poste a carico dell’Istituto, nella
misura indicata in dispositivo ed in applicazione del criterio della
soccombenza.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiarati
inammissibile quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del
presente giudizio con riguardo al ricorso principale; condanna l’Inps
al pagamento, in favore dei controricorrenti Impagnatiello, Bisceglia e
Nenna, delle spese del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per
esborsi e € 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge, da distrarsi in favore dell’avvocato Raffaele Trivellini,
anticipatario.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2015
Il Presidente

Udienza 24 giugno 2015
Presidente Roselli
Relatore Doronzo
R.G. n. 15875/11
Cosenza c/INPS
INPS e/ Impagnatiello+2

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