Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21731 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2020, (ud. 19/09/2019, dep. 08/10/2020), n.21731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7268/2015 proposto da:

R.A., in qualità di titolare della ditta “LIDO BAIA DEL

SOLE”, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ANTONIO DE FEO, ELIO VULPIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende

ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 601/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/03/2015 r.g.n. 2305/2012.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Bari, con sentenza depositata in data 11.3.2014, ha respinto il gravame interposto da R.A., quale titolare della ditta Lido Baia del Sol, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede resa il 6.6.2011, con cui era stato rigettato il ricorso proposto dal R., diretto ad ottenere “l’annullamento dell’atto di irrogazione sanzioni n. (OMISSIS) notificato dall’Agenzia delle Entrate Ufficio Bari (OMISSIS) in data 19/12/2008, in quanto illegittimo, e per l’effetto, l’annullamento della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 79.350,00”;

che la Corte di merito, per quanto ancora rileva in questa sede, ha osservato che “L’appellante non ha mosso alcuno specifico rilievo in merito agli esiti della verifica della Guardia di Finanza, come riportati nel processo verbale di contestazione in atti…. i nuovi difensori dell’appellante, costituitisi con memoria depositata in data 20 febbraio 2014, hanno proposto nuove contestazioni in fatto e nuove eccezioni… estranee all’appellatum, poichè non devolute con l’atto di gravame”; e che “L’espressa clausola di salvezza (“Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore) e la chiara intenzione del legislatore di comminare la sanzione in parola”, ai sensi del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002, “in aggiunta a quelle già in vigore, che si trae dall’uso dell’avverbio “altresì” dopo le parole “si applica”, rendono palese che legittimamente è stata comminata la sanzione impugnata, a nulla rilevando che il Ministero delle Politiche Sociali abbia emesso la distinta sanzione per l’omessa comunicazione, entro gg. 5, al Centro per l’impiego dei nominativi dei lavoratori assunti”; che per la cassazione della sentenza ricorre R.A. articolando cinque motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

che sono state comunicate memorie, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nell’interesse del R.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “Errore in procedendo. L’errata qualificazione come tardiva di una tempestiva deduzione effettuata dall’opponente”, per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che, solo in sede di gravame, il R. avesse dedotto che 18 lavoratori hanno in realtà prestato la loro opera solo il giorno (OMISSIS), e che, invece, in primo grado, avesse “opposto soltanto di aver provveduto a comunicare l’assunzione alla CTI”; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 73 del 2002, per avere la Corte di merito “erroneamente ritenuto al nero dei soggetti, in quanto la prestazione si è protratta oltre la mezzanotte del giorno di assunzione”, senza prendere in considerazione “le quietanze in atti relative al giorno 12 luglio 2003, che sono invece idonee ad escludere che il giorno 13 luglio 2003 alle ore 4 a.m. detti soggetti non risultassero dalle scritture obbligatorie”; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 73 del 2002, art. 3 e dell’art. 2094 c.c., “per avere i giudici di merito erroneamente considerato 5 soggetti dipendenti della deducente senza alcuna prova relativa alla natura subordinata del rapporto”; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 73 del 2002, art. 3 e art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nonchè “del principio del ne bis in idem per l’esistenza di un provvedimento precedentemente emesso sugli stessi fatti dalla Direzione Provinciale di Bari” perchè i giudici di seconda istanza avrebbero erroneamente ritenuto che “La sanzione emessa dal Ministero delle Politiche Sociali riguarda l’omessa comunicazione, entro gg. 5, al Centro per l’impiego dei nominativi dei lavoratori assunti ed è diversa da quella per la sanzione per il lavoro irregolare”; 5) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la mancata applicazione del principio del favor rei, in quanto ritenuta tardiva la deduzione sul punto formulata nel corso del giudizio di appello, poichè la Corte “non poteva esimersi dall’esaminare le eccezioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado, anche se proposte solo nell’atto di costituzione dei nuovi difensori”; al riguardo, si sottolinea, altresì, che “l’Agenzia delle Entrate non ha applicato, al fine della determinazione della sanzione, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 144 del 2005, con cui è stata dichiarata la parziale incostituzionalità del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3” e si lamenta che, “in concreto, l’Agenzia delle Entrate abbia determinato una delle due sanzioni da comparare applicando una disposizione dichiarata incostituzionale e senza tener conto di quanto affermato dalla Corte Costituzionale al fine di rendere conforme alla Costituzione il D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3. Al fine di determinare la sanzione applicabile, e quindi quella più favorevole al reo, l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto determinare la stessa applicando il D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, così come rinveniente dalla declaratoria di illegittimità della Corte Costituzionale”;

che il primo motivo non è meritevole di accoglimento per diversi e concorrenti profili; innanzitutto, la parte ricorrente non ha indicato analiticamente quali norme, e sotto quale profilo, sarebbero state violate il tutto, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate ed altresì con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); inoltre, nel corso dello stesso motivo, si asserisce che le allegazioni relative ai 18 lavoratori assunti per il solo giorno (OMISSIS) non sarebbero tardive, ma già riportate in primo grado, senza che, però, il ricorso venga prodotto (e neppure indicato nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione elencati nel ricorso per cassazione), nè trascritto (solo parte dell’atto di gravame è stato trascritto a pag. 8 del ricorso per cassazione), in violazione del principio (v. art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (cfr., tra le altre, Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente;

che, infine, il motivo appare articolato in modo esplorativo e teso ad ottenere un nuovo esame del merito, in particolare, laddove (pagg. 10 e 11 del ricorso) si afferma che “la problematica evidenziata nell’atto di appello consisteva nel verificare la correttezza o meno del ragionamento seguito dall’Agenzia delle Entrate e quindi se fosse corretto ritenere che per giornata lavorativa debba intendersi quella di calendario e non quella solare decorrente dall’inizio del turno”;

che neppure il secondo motivo può essere accolto, in quanto le censure veicolate attengono, nella sostanza, alla dedotta mancata considerazione, da parte dei giudici di merito, di “quietanze relative al giorno 12 luglio 2003”, pretesamente “idonee ad escludere che il giorno 13 luglio 2003, alle ore 4 a.m. detti soggetti non risultassero dalle scritture obbligatorie”; ma tali quietanze non sono state prodotte, nè indicate tra i documenti allegati al ricorso per cassazione e, pertanto, anche per questo mezzo di impugnazione valgono le medesime considerazioni svolte in ordine al primo motivo;

che il terzo motivo è da disattendere per carenza di specificità relativamente alla doglianza che investe la dedotta violazione della L. n. 73 del 2002, art. 3, mancando specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità; inoltre, come correttamente messo in rilievo dai giudici di merito, il ricorrente si è sottratto al dovere di dimostrare la regolare iscrizione nel libro matricola di venti lavoratori (v. Cass. n. 26873/2009), non ha versato i contributi per i diciotto in sovrannumero e, per gli altri cinque lavoratori di cui si tratta non ha provveduto a contestare quanto accertato dalla Guardia di Finanza nel verbale redatto in data 8.9.2003;

che il quarto motivo non è fondato, poichè i giudici di seconda istanza hanno spiegato in motivazione con argomentazioni condivisibili e scevre da vizi logico-giuridici che i due provvedimenti sanzionatori emessi a carico della ditta di cui è titolare il R. attengono a sanzioni diverse e che diverso è il titolo su cui si fondano (v. pagg. 4-6 della sentenza impugnata); peraltro, a pag. 19 del ricorso, si afferma che “Risulta per tabulas che il Ministero del Lavoro non abbia contestato per tutte le posizioni oggetto del verbale “l’omessa comunicazione” ritenendo che, in relazione ad alcuni rapporti, non vi fosse la necessità della comunicazione”, senza che tale verbale venga prodotto, nè indicato tra i documenti allegati al ricorso per cassazione, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

che il quinto motivo è invece da accogliere, in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto rilevare d’ufficio che l’Agenzia delle Entrate aveva determinato la sanzione applicata al R. ai sensi del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, senza tenere conto della pronunzia di illegittimità costituzionale parziale della norma, dichiarata dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 144 del 2005, ai sensi della quale “E’ costituzionalmente illegittimo, con riferimento all’art. 24 Cost., D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3 (recante: Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), nella parte in cui, prevedendo per il datore di lavoro che abbia assunto lavoratori irregolarmente una sanzione pari allo stipendio a questi dovuto sin dall’inizio dell’anno in cui è stata accertata la violazione, non ammette la possibilità di provare che il rapporto di lavoro abbia avuto inizio successivamente al primo gennaio dello stesso anno”; ne consegue che l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto determinare la sanzione irrogata tenendo conto delle giornate effettivamente lavorate e non dall’1.1.2003, come, invece, è avvenuto nella fattispecie, in contrasto con l’art. 24 della Carta costituzionale e senza considerare che la nuova disciplina non contiene alcuna presunzione di prova, posta a carico del datore, come, invece previsto dalla disciplina previgente;

che, peraltro, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte (v., tra le molte, Cass. n. 17972/2013), “In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il principio del favor rei di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, è applicabile, anche d’ufficio ed in ogni stato e grado del giudizio, secondo il successivo art. 25, comma 2, alle infrazioni commesse anteriormente alla data della sua entrata in vigore (1.4.1998), a condizione che vi sia un procedimento ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia definitivo”; e la L. n. 73 del 2002, di conversione del D.L. n. 12 del 2002, aveva stabilito che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, fosse altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti CCNL, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione; infine dello stesso art. 3, comma 5, aveva previsto l’applicazione del principio del favor rei affermato dal D.Lgs. n. 472 del 1997, in base al quale, salvo il caso in cui il provvedimento di irrogazione della sanzione sia definitivo, deve applicarsi la legge più favorevole, se quella in vigore al momento della commissione della violazione e le successive stabiliscano sanzioni di entità diverse;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto – rigettati gli altri motivi -, con rinvio, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, a quanto innanzi affermato.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso; rigettati gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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