Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21729 del 06/09/2018
Cassazione civile sez. VI, 06/09/2018, (ud. 22/02/2018, dep. 06/09/2018), n.21729
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Presidente –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13709/2017 proposto da:
N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI
268/A, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI,
rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1454/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 23/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 22/02/2018 dal Consigliere Dott. PIETRO CAMPANILE.
Fatto
RILEVATO
che:
N.S. propone ricorso avverso il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza di primo grado in data 8 ottobre 2015, di reiezione del ricorso contro il provvedimento della Commissione Territoriale di diniego della protezione internazionale;
in particolare, è stato confermato il giudizio di inattendibilità in merito alle vicende poste a supporto della richiesta, avendo il predetto affermato di provenire dal distretto di Gujranwala, in Pakistan, di essere di religione sciita e di aver subito delle minacce da esponenti di un gruppo avversario, che avrebbero anche ucciso un proprio cugino, a causa dell’intenzione del padre di costruire una moschea nel villaggio;
è stato rilevato, a tale riguardo, che l’unico documento prodotto era il certificato di morte del cugino, senza che fossero comprovate le ragioni del decesso; che il richiedente aveva dimostrato una scarsa conoscenza della religione che dichiarava di professare e che non solo appariva singolare che a lui soltanto fossero state rivolte minacce, ma, soprattutto, che il padre fosse rimasto in Pakistan senza rischiare la vendetta del gruppo avversario;
è stato posto in evidenza che non erano emersi, quanto alla protezione sussidiaria, elementi tali da far ritenere l’esistenza di pericoli specifici per il richiedente e che non ricorrevano gli estremi per la protezione umanitaria, in quanto la regione di provenienza del predetto non era interessata da una situazione di conflitto o di violenza generalizzata;
per la cassazione di tale decisione N.S. propone ricorso, affidato a due articolati motivi;
la parte intimata non svolge attività difensiva.
Diritto
CONSIDERATO
che:
il Collegio ha disposto, in conformità al decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata;
il ricorso, con il quale si deduce violazione della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 11 e 32, L. n. 286 del 1998, artt. 5 e 6, nonchè vizio di motivazione, è inammissibile;
Invero, a tacere della proposizione in maniera indistinta delle questioni inerenti alla violazione di legge e al vizio di motivazione, deve rilevarsi che, secondo un orientamento consolidato di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 30679 del 2017) la netta valutazione di non credibilità del ricorrente con riferimento alle vicende narrate, peraltro ampiamente motivata, elimina il dovere di cooperazione istruttoria del giudice del merito. Ne consegue l’inammissibilità delle censure che appaiono piuttosto rivolte, per altro in maniera estremamente generica, ad una rivalutazione attraverso materiale istruttorio dimesso nel giudizio di merito, di tale giudizio di fatto.
Deve poi ribadirsi, in relazione al mancato esercizio da parte del giudice dei propri poteri istruttori officiosi, che, se è vero che le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, è del pari vero che tale valutazione deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona od alla vita, risultando tale premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel paese di origine (Cass., n. 18231 del 2012).
Non avendo la parte intimata svolto attività difensiva, non si provvede al regolamento delle spese.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2018