Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21726 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. I, 08/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 08/10/2020), n.21726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21035/2018 proposto da:

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), domiciliato in Roma, Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

N.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso la

Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Roberto Denti, del foro di Como, in forza di

procura speciale allegata al controricorso;

-controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di MILANO, depositata il

19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 19 gennaio 2018, pronunciando sull’appello proposto da N.A., in parziale riforma dell’ordinanza D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, emessa dal Tribunale di Milano in data 16 gennaio 2017, ha riconosciuto all’appellante, cittadino pakistano, il diritto ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Il Collegio di merito, confermata la decisione di primo grado quanto all’esclusione dei presupposti per il riconoscimento della protezione maggiore – sub specie dello status di rifugiato, per non essere la vicenda dell’appellante connotata da atti di persecuzione diretta e personale rapportabili alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, o della protezione sussidiaria, non emergendo elementi sufficienti a fondare il convincimento che l’appellante, ritornando in patria, potesse correre il rischio effettivo di subire un danno grave alla persona nell’accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha stimato che ricorressero, invece, i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Ciò perchè, avuto riguardo al catalogo aperto delle situazioni di vulnerabilità soggettiva meritevoli di protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, era da ritenersi che l’appellante avrebbe potuto subire ripercussioni psico-fisiche dannose nel caso di rigetto della domanda di protezione umanitaria, derivanti dalla perdita del lavoro di apprendista che svolgeva stabilmente in (OMISSIS), in considerazione, oltretutto, della precaria situazione della sua famiglia, lasciata in Pakistan, e delle condizioni socio-politiche e di vita di quel paese, abbandonato da oltre un triennio.

3. Il ricorso del Ministero dell’Interno insta per la cassazione della suddetta sentenza con un solo motivo.

4. N.A. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’impugnante denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione al diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, che sarebbe stato riconosciuto dal giudice censurato dando rilievo alla generica situazione socio-politica e di vita esistente in Pakistan, paese di origine del richiedente, e al buon inserimento lavorativo da questi raggiunto in Italia, senza nulla argomentare in ordine al profilo dell’accertamento del grave rischio corso dallo straniero di concreta compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio.

2. L’esame della censura porta all’accoglimento del motivo, per le ragioni di seguito esposte.

3. Deve osservarsi che la Corte di appello si è limitata all’astratto richiamo dei presupposti che legittimano il riconoscimento della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis alla stregua del dictum delle Sezioni Unite, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062), senza nulla riferire degli specifici indicatori fattuali comprovanti la situazione di personale e concreta vulnerabilità del richiedente, in quanto esposto al grave rischio di subire, in caso di rimpatrio, la lesione dei suoi diritti primari a cagione di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti fondamentali della persona umana, quali quelli integranti la sua stessa dignità.

3.1. Al riguardo va richiamato il diritto vivente (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, cit), cui si deve l’enunciazione del principio secondo il quale: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”; principio che è stato spiegato affermando che: “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, prendendosi, altrimenti, in considerazione: “… non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

3.2. Ciò sta a significare che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Sez. 1, n. 13079 del 15/05/2019, Rv. 654164), tanto comportando la necessità di apprezzare il rischio dello straniero di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, alla stregua di una considerazione globale e unitaria dei singoli elementi fattuali accertati (Sez. 1, n. 7599 del 30/03/2020, Rv. 657425).

3.3. Va, dunque, ribadito che non è possibile accordare la protezione umanitaria in ragione della considerazione atomistica dell’integrazione sociale e lavorativa raggiunta dal richiedente in Italia (Sez. 6, n. 25075 del 23/10/2017) ovvero della condizione di indigenza da questi accusata – la quale, peraltro, deve essere: “l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza, in conformità al disposto degli artt. 2, 3 e 4 della CEDU” (Sez. 6, n. 28015 del 23/11/2017; Sez. 6, n. 26641 del 21/12/2016, Rv. 642778) e che i seri motivi di carattere umanitario, che ne legittimano la concessione, possono positivamente riscontrarsi soltanto: “nel caso in cui, all’esito del giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente” (Sez. 1, n. 2563 del 4/02/2020).

4. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata affinchè la Corte di merito, in diversa composizione, in sede di rinvio ripeta il giudizio in fatto circa l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al permesso per motivi umanitari al lume del principio di diritto enunciato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

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