Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21724 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 13/05/2021, dep. 29/07/2021), n.21724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14864/2019 R.G. proposto da:

V.M., titolare della ditta individuale “Massi

Agenzia Scommesse di V.M.” e STANLEYBET MALTA

LIMITED, in persona del suo legale rappresentante pro tempore,

rappresentati e difesi giusta procura speciale in calce al ricorso

dall’avv.to Daniela Agnello, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’avv.to Roberta Feliziani in Roma, Via Crescenzio n. 69;

– ricorrenti –

Contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 4727/21/18, depositata il 5/11/2018, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

13/05/2021 dal Consigliere Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di

Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 4727/21/18, depositata il 5/11/2018, non notificata, la CTR del Lombardia rigettava l’appello proposto da V.M., nella qualità di titolare della omonima ditta individuale “Massi Agenzia Scommesse di V.M.”, e Stanleybet Malta Limited, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 2436/23/2017 della Commissione tributaria provinciale di Milano che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposto dai suddetti contribuenti avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione aveva contestato nei confronti della Stanleybet Malta Limited, esercente attività di bookmaker e della ditta di V.M., titolare della ricevitoria operante come centro di trasmissione dati (CTD), esercente l’attività di raccolta scommesse sportive per conto del bookmaker estero, il mancato pagamento dell’imposta unica su concorsi pronostici e scommesse, oltre sanzioni ed interessi, per operazioni svoltesi nel 2013-2014;

– avverso la suddetta sentenza della CTR, Stanleybet Malta Limited e V.M., nella qualità di titolare della omonima ditta individuale “Massi Agenzia Scommesse di V.M.”, propongono ricorso per cassazione affidato a sette motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria; la ricorrente ha altresì depositato memoria con la quale chiede trattarsi la controversia in udienza pubblica e nella quale si insiste perché sia disposto rinvio pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE;

– la Agenzia delle dogane ha depositato memoria ex art. 380bis 1 c.p.c. insistendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– preliminarmente deve essere disattesa l’istanza di trattazione in pubblica udienza. In adesione all’indirizzo già espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Sez. U, n. 14437 del 5 giugno 2018), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Sez. U, n. 8093 del 23 aprile 2020). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è neppure nuovo nella giurisprudenza di questa Corte e, comunque, è compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza 26 febbraio 2020 in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito;

– con il primo motivo si denuncia, in relazione con art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per non avere la CTR dichiarato l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di Stanleybet per mancata traduzione dell’atto impositivo in lingua inglese, con ciò, ad avviso dei ricorrenti, non mettendo la società Stanleybet nelle condizioni di conoscere i presupposti della pretesa e violando il diritto di difesa di quest’ultima;

– il motivo è infondato;

– come chiarito da questa Corte con condivisibile principio di diritto: “Il vizio dell’atto impositivo emesso in lingua italiana nei confronti di soggetto appartenente alla minoranza linguistica tedesca privo dell’informazione sul diritto di sollevare eccezione di nullità, per la mancata traduzione, ai sensi del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 8, è sanato ove il destinatario abbia comunque promosso, in sede amministrativa o giurisdizionale, un procedimento volto alla difesa dei propri diritti” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26407 del 19/10/2018); nella specie, la CTR si è attenuta al suddetto principio nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento, avendo la Stanleybet Malta Limited proposto tempestivo ricorso avverso quest’ultimo, benché fosse stato notificato a detta società in lingua italiana;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione con art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), per avere la CTR erroneamente ritenuto integrato in capo al CTD il presupposto soggettivo del tributo;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), per avere la CTR ritenuto integrato il presupposto territoriale del tributo;

– i motivi secondo e terzo che vanno esaminati insieme, perché concernono tutti la soggettività e i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse, sono infondati sia in relazione alla posizione del ricevitore che a quella del bookmaker;

– le questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante Cass. 8907-8911/2021, 9079-9081/2021, 9144-9153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9:178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 9528-9537/2021, 9728-9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.”;

– va premesso come sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”. Sicché il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio. E proprio queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– va notato poi che il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– inoltre, ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”;

– questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso; in particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicché, ha specificato, quanto al ricevitore, l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Ne’, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;

– in ogni caso, poi, della sussistenza (evidente in questo caso) di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). E la stessa giurisprudenza penale citata in memoria dalla contribuente (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruoli del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco -con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite-…”;

– sulla base delle suddette considerazioni, la Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha, quindi, dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010. Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;

– a diversa conclusione, invece, deve pervenirsi per le annualità dal 2011. Invero, va osservato che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53 Cost., “giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristalizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010”. A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto;

– considerato che oggetto di rilievo è la posizione del ricevitore e quella del bookmaker, per le annualità 2013-2014, le complessive censure sono infondate;

– invero, non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker. Si è già evidenziato che la Corte costituzionale, con la menzionata pronuncia, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, sicché entrambe svolgono l’attività gestoria delle scommesse. Ed è proprio in tale prospettiva, infatti, che la pronuncia di incostituzionalità della disposizione interpretativa se, da un lato, ha inciso sulla parte della stessa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, d’altro lato, non ha in alcun modo fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione.

Le considerazioni sopra espresse costituiscono i profili di fondo sulla cui linea deve ritenersi che le ragioni di censura prospettate- con riguardo alla posizione del bookmaker che del ricevitore, trattandosi di periodi di imposta a decorrere dal 2011 – sono infondate; in particolare:

– è infondato il secondo motivo di ricorso con cui si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte;

– è infondato il terzo motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia;

– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi del diritto dell’Unione Europea di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento alla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), per non avere la CTR disapplicato il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3; si formula, altresì, proposta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, comma 3, alla Corte di Giustizia;

– la censura è infondata;

– al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte di giustizia 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17). Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: ne consegue che, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte di giustizia 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07);

– il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”;

– la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte di giustizia in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte di giustizia 1 dicembre 2011, causa C253/09, punto 83);

– in questo contesto, la normativa italiana, come già segnalato, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (di Corte di giustizia, causa C-788/18, punto 21), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”. Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale con la sentenza n. 27/18, a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione (…)”; la statuizione è chiara, giacché la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte di giustizia, 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria;

– con riferimento, infine, alla questione della violazione del principio dell’affidamento, la stessa è stata prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente” la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione. Nessun legittimo affidamento e’, invece, configurabile: non lo è in relazione alla posizione del ricevitore, che già rispondeva per il periodo antecedente all’entrata in vigore della norma interpretativa, tanto è vero che è stato coinvolto dalla pronuncia di illegittimità costituzionale della quale si è dato conto; ma neanche lo è con riguardo al bookmaker estero privo di concessione, il quale, lo si è già rimarcato, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa;

-non sussiste, per tali ragioni, alcun presupposto per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte: le questioni sollecitate in memoria, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte di giustizia, in causa C-375/17, cit., punto 67);

– in memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente Stanleybet Malta, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale la ricorrente si sarebbe venuta a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale;

– la linea difensiva seguita dalla ricorrente Stanleybet Malta, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione;

– le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione;

– la ricorrente Stanleybet Malta, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto impositivo dell’imposta in esame;

– la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4bis, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che la ricorrente era stata “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni…e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”;

– il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla ricorrente Stanleybet Malta, tuttavia, non implica la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione nella quale la ricorrente ha dovuto operare;

– a parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati;

– con il quinto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della Dir. 2006/112/CE, art. 401, per non avere la CTR disapplicato la disciplina normativa di cui al D.Lgs. n. 504 del 1998 in ragione della sua contrarietà al divieto di mantenere o introdurre imposte sul valore d’affari diverse dall’imposta sul valore aggiunto armonizzata;

– il motivo è infondato in quanto muove dall’erroneo presupposto che l’imposta unica nazionale sulle scommesse possa configurarsi come avente anch’essa natura di imposta sul valore di affari, da assimilarsi all’imposta sul valore aggiunto, con conseguente operatività del divieto di cui alla Dir. 2006/112/CE, art. 401; invero, la Corte di giustizia (sentenza 7 agosto 2018, nella causa C-475/17, Viking Motors AS) ha chiarito che ” Per valutare se un’imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di imposta sul volume d’affari, ai sensi della direttiva IVA, art. 401, occorre in particolare verificare se essi abbiano l’effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune dell’IVA, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo le transazioni commerciali in modo analogo all’IVA (punto 36) A tale proposito, la Corte ha precisato che in ogni caso devono essere considerati gravanti sulla circolazione dei beni e dei servizi allo stesso modo dell’IVA le imposte, i diritti e le tasse che presentano le caratteristiche essenziali dell’IVA, anche se non sono in tutto identici ad essa (punto 37) Per contro, è stato dichiarato che la sesta direttiva, art. 33, non osta al mantenimento o all’introduzione di un’imposta che non presenti una delle caratteristiche essenziali dell’IVA (sentenza del 3 ottobre 2006, Banca popolare di Cremona, C-475/03, EU:C:2006:629, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). Lo stesso vale per la direttiva IVA, art. 401. (punto 38) Risulta dalla giurisprudenza che tali caratteristiche sono quattro, ossia: l’IVA si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti; viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza; gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo di produzione e di distribuzione sono detratti dall’IVA dovuta, cosicché il tributo si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e, in definitiva, il peso dell’imposta va a carico del consumatore finale (punto 39)”; alla luce di tali principi, l’imposta unica nazionale sulle scommesse non presenta siffatte caratteristiche in quanto: 1) concerne esclusivamente l’ambito delle operazioni relative all’esercizio delle scommesse; 2) si calcola sulla cifra pagata dallo scommettitore secondo aliquote differenziate in relazione all’importo della singola giocata e non già proporzionalmente al prezzo della prestazione; 3) è calcolata senza applicazione di qualsiasi meccanismo di detrazione dell’imposta proprio dell’Iva e senza la previsione di alcuna deduzione degli acquisti di beni e servizi effettuati nello stesso periodo; 4) non è riscossa in tutte le fasi di produzione e di distribuzione non essendo essa applicata alle fasi a monte dell’erogazione al consumatore del servizio “scommessa”;

– la CTR si è attenuta ai suddetti principi avendo escluso che, con riguardo all’imposta unica nazionale sulle scommesse, operasse il divieto di cui alla Dir. 2006/112/CE, art. 401;

– con il sesto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, della L. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1 e art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per non avere la CTR applicato l’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza;

– il motivo è infondato;

– la stessa Corte costituzionale ha dato conto della sussistenza della incertezza normativa oggettiva solo quanto al periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (aggiungendo che essa era stata espressamente riconosciuta dall’allora Agenzia autonoma dei monopoli di Stato) e non già- come nella specie- per il periodo successivo alla legge di interpretazione autentica n. 220/10;

– con il settimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12, 15 e degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la CTR disposto la liquidazione delle spese in favore dell’Agenzia delle dogane, rappresentata in giudizio da un proprio funzionario delegato, in mancanza di documentazione di spese vive e di deposito di apposita nota e, in subordine, per non avere disposto la compensazione delle spese, avuto riguardo alla complessità e peculiarità della materia trattata;

– il motivo è inammissibile;

– ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2-sexies “Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 53 se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto”; la norma citata prevede la liquidazione delle spese a favore dell’ufficio tributario, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e, a favore dell’Ente locale, se assistito da propri dipendenti, a cui si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato. Lo specifico riferimento alle spese processuali ed alla riduzione percentuale dei soli onorari di avvocato conferma il diritto dell’Agenzia alla rifusione sia dei costi affrontati, sia dei compensi spettanti per l’assistenza tecnica fornita in giudizio dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo, ai sensi dell’art. 15 cit. (v. Cass., sez. 5, n. 23055 del 2019); nella specie, i ricorrenti, in difetto del principio di autosufficienza, non hanno precisato, a fronte di una incontestata assistenza tecnica svolta in favore dell’Agenzia delle dogane dai propri funzionari, quali fossero, avuto riguardo all’importo totale delle spese liquidato per il grado di appello (Euro 6.693,75), le voci relative alle “spese vive” asseritamente non documentate; infatti come affermato da questa Corte “E’ peraltro onere del ricorrente in cassazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonché le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24635 del 19/11/2014);

– inammissibile è anche il profilo di censura relativo alla assunta mancata compensazione delle spese del grado di appello, avendo la CTR, nel liquidare le spese in favore dell’Agenzia, stante il rigetto dell’appello dei contribuenti, fatto corretta applicazione del generale principio della soccombenza, essendo la compensazione, in tutto o in parte, delle spese, ai sensi dell’art. 15, comma 2, cit., vigente ratione temporis, applicabile soltanto “in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”; peraltro, “In materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020);

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– l’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso” ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte: rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processualì per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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