Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21720 del 27/09/2019

Cassazione civile sez. II, 27/08/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 27/08/2019), n.21720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 1217/’18) proposto da:

ING. C.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Luciano

Barsotti ed elettivamente domiciliato presso lo studio del Dott.

Alfredo Placidi, in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

– ricorrente –

contro

ING. M.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Carlo Borghi ed elettivamente domiciliato presso lo studio Grez

& associati, in Roma, al c.so Vittorio Emanuele II, n. 18;

– controricorrente –

e

INGG. B.P., + ALTRI OMESSI, tutti rappresentati e difesi, in

virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso,

dall’Avv. Paolo Bassano ed elettivamente domiciliati presso lo

studio Grez & associati, in Roma, al c.so Vittorio Emanuele II,

n. 18;

– altri controricorrenti –

nonchè

INGG. L.F. e N.F.;

– intimati –

avverso la decisione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri n.

11/2017, depositata il 1 dicembre 2017;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16

aprile 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avv. Di Nezza Massimo (per delega) nell’interesse del

ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 19 luglio 2017 gli ingg. M.G., + ALTRI OMESSI proponevano reclamo elettorale, dinanzi al Consiglio Nazionale degli Ingegneri, avverso l’atto di proclamazione n. OING-LI/655/2017 in data 13 luglio 2017 dell’Ordine degli Ingegneri di Livorno, contestando l’elezione del candidato ing. C.G., risultato eletto nel Consiglio di detto Ordine per il quadriennio 2017/2021.

A sostegno della formulata impugnazione i ricorrenti deducevano che l’ing. C. aveva espletato dodici mandati consecutivi ed ininterrotti dal 1984 al 2017, così superando il limite massimo dei mandati come previsto dal D.P.R. n. 69 del 2005 e dalla L.n. 10 del 2011, invocando, pertanto, l’illegittimità della suddetta proclamazione per violazione delle prescrizioni di cui ai suddetti testi normativi.

Si costituiva l’ing. C., il quale – nel resistere alla proposta domanda eccepiva, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del reclamo per asserito difetto di giurisdizione dell’adito Consiglio nazionale (da riconoscersi, invece, in favore del giudice ordinario) ed insisteva, in ogni caso, per il suo rigetto.

Il predetto Consiglio Nazionale degli Ingegneri, con decisione n. 11/2017 (depositata il 1 dicembre 2017), accoglieva il formulato reclamo elettorale.

A fondamento dell’adottata pronuncia il Consiglio nazionale, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione, ravvisava la sussistenza della denunciata violazione di legge per effetto dell’accertata ineleggibilità – quale conseguenza della sua incandidabilità – dell’ing. C. in relazione all’applicazione del D.P.R. 8 luglio 2005, n. 169, art. 2, comma 4, come integrato e modificato dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 4, come convertito dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, essendo stato constatato che il predetto ingegnere aveva effettivamente svolto, dall’entrata in vigore del citato D.P.R. n. 169 del 2005, il quarto mandato consecutivo.

Pertanto, in virtù di tale accertamento, veniva dichiarata l’invocata ineleggibilità dell’ing. C. per il mandato 2017-2021, con la conseguente pronuncia della sua decadenza dalle relative funzioni e con la derivante proclamazione, in sua sostituzione, dell’elezione dell’ing. M.G., quale primo avente diritto in base ai risultati elettorali. Con la stessa decisione veniva ordinato al Consigliere più anziano di iscrizione all’albo di procedere alla convocazione del Consiglio dell’Ordine degli ingegneri di Livorno, nella composizione come corretta, in adunanza da tenersi entro venti giorni dalla notificazione della decisione medesima, per procedere ad ogni necessario e conseguente adempimento.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’ing. C.G., articolato in quattro motivi, al quale hanno resistito (ad eccezione degli ingg. L.F. e N.F., rimasti intimati) gli ingegneri ricorrenti dinanzi al Consiglio nazionale, e, specificamente, l’ing. M.G. con autonomo controricorso e gli altri ingegneri con un unico controricorso.

Il difensori del ricorrente e dei controricorrenti (salvo che per il controricorrente M.G.) hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto il difetto di giurisdizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri in materia di diritto soggettivo all’elettorato passivo, con correlata violazione ed errata applicazione del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, artt. 1 e 6 avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., commi 1 e 3 e art. 362 c.p.c., eccependo, in subordine, l’illegittimità costituzionale dello stesso D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 6 per asserita violazione degli artt. 2,3,24,51,102,108 e 111 Cost.

1.2. Con la seconda censura il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’illegittimità del D.P.R. n. 169 del 2005, art. 2 per violazione degli artt. 2 e 51 Cost., nonchè la violazione ed errata applicazione del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 15 e dell’art. 15 disp. att. c.c., congiuntamente alla violazione ed errata applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5 – allegato E, eccependo, altresì, l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 225 del 2010 per assunta violazione dell’art. 77 Cost.

1.3. Con la terza doglianza il ricorrente ha lamentato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’inammissibilità del reclamo, la sua improcedibilità per difetto di interesse, nonchè l’erroneità della decisione impugnata per asserita violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., unitamente alla violazione del principio del contraddittorio con altri interessati ai sensi dell’art. 102 c.p.c..

1.4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione ed errata applicazione del D.Lgs.Lgt. n. 384 del 1944, art. 6 sul presupposto che detta norma non attribuirebbe al Consiglio Nazionale degli Ingegneri alcun potere con riguardo ad attribuzioni che dovrebbero considerarsi di spettanza esclusiva del Consiglio dell’Ordine interessato.

2. Rileva il collegio che la prima censura, con la quale è stato dedotto l’asserito difetto di giurisdizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, è destituita di fondamento.

Occorre, innanzitutto, premettere che la questione di giurisdizione posta con il motivo in discorso (spettante, di regola, alla cognizione delle Sezioni unite) può essere esaminata da questa Sezione trovando applicazione il disposto dell’art. 374 c.p.c., comma 1, dal momento che – per quanto si dirà subito in appresso – la questione stessa è stata già sottoposta al vaglio delle Sezioni unite ed univocamente risolta.

Ed infatti queste ultime (specificamente con l’ordinanza n. 23209/2009, ma in senso più generale già con le pronunce di Cass. S.U. n. 1283/1996, Cass. S.U. n. 1444/1998 e Cass. S.U. n. 9296/2003) hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del predetto Consiglio Nazionale, così ravvisando la legittimità della tutelabilità giurisdizionale della domanda di impugnazione delle questioni attinenti ai procedimenti elettorali e ai correlati risultati dinanzi al giudice speciale rappresentato dall’indicato Consiglio Nazionale (precisandosi, altresì, che il relativo procedimento ha natura propriamente giurisdizionale ed è soggetto ai principi generali che connotato il processo civile).

E’ stato, invero, condivisibilmente stabilito che, in materia di contenzioso elettorale riguardante i Consigli degli Ordini professionali, il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 6 deve essere estensivamente interpretato nel senso che ai Consigli nazionali di alcuni Ordini spetta la giurisdizione in ordine alle situazioni conflittuali riguardanti la struttura stessa degli Ordini, comprensiva anche delle controversie concernenti la fase di convocazione dell’assemblea degli iscritti per procedere alle votazioni, atteso che la materia elettorale relativa alle professioni non è stata ripartita tra più giudici e che il legislatore ha voluto salvaguardare, con l’istituzione della giurisdizione professionale, l’autonomia dei collegi nazionali degli Ordini professionali, la quale verrebbe, invece, menomata ove si accedesse ad una interpretazione restrittiva della norma sopra richiamata (cfr. la citata ordinanza n. 23209/2009 delle S.U., con la quale è stato anche escluso che possa trovare applicazione al riguardo la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di elezione degli organi degli enti locali, posto che i Consigli degli Ordini professionali hanno natura diversa da detti enti, essendo qualificabili come enti pubblici non economici a carattere associativo, rispondendo, inoltre, a criteri di evidente razionalità la concentrazione presso uno stesso giudice dell’intera gamma delle controversie elettorali).

Manifestamente infondata si prospetta, inoltre, anche la questione di legittimità costituzionale sollevata con la censura in esame in ordine a tutti i parametri costituzionali indicati.

Infatti, oltre a quanto poc’anzi appena evidenziato sulla legittimità della piena ed effettiva tutelabilità giurisdizionale della domanda di impugnazione delle questioni attinenti ai procedimenti elettorali e ai correlati risultati degli stessi dinanzi al giudice speciale rappresentato dall’indicato Consiglio Nazionale, le Sezioni unite di questa Corte (con la sentenza n. 6102/1987) hanno statuito che, in tema di questioni relative al contenzioso elettorale inerenti gli albi professionali degli ingegneri, il ricorso al Consiglio Nazionale degli ingegneri, avverso le deliberazioni del locale Consiglio dell’Ordine, e poi il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, contro le pronunce di detto Consiglio nazionale, integrano un sistema di adeguata tutela dei diritti soggettivi degli interessati, manifestamente non in contrasto (soprattutto) con gli artt. 3,24,102,111 e 113 Cost., proprio in considerazione del fatto che il Consiglio nazionale configura un organo giurisdizionale speciale, istituito prima dell’entrata in vigore della Costituzione medesima (quindi escluso dal divieto di cui all’art. 102, comma 2, di essa, e legittimamente operante fino a quando non venga attuata la revisione contemplata dalla sesta disposizione transitoria: in quest’ultimo senso v., in particolare, Corte Cost. n. 284/1986).

3. E’, ad avviso del collegio, infondato anche il secondo motivo riferito alla prospettata illegittimità del D.P.R. n. 169 del 2005, art. 2 per asserita violazione degli artt. 2 e 51 Cost., oltre che all’asserita violazione ed errata applicazione dell’art. 15 del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944 e dell’art. 15 disp. att. c.c., congiuntamente alla violazione ed errata applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5.

Invero, a prescindere dalla natura regolamentare o meno del D.P.R. n. 169 del 2005, occorre porre in risalto che, in effetti, la relativa materia è stata interamente “legificata” dal sopravvenuto D.L. n. 225 del 2010, come convertito, con modif., dalla L. n. 10 del 2011, ragion per cui deve ritenersi che non si sia venuta a configurare alcuna violazione del principio della riserva di legge.

In termini più puntuali (come già, peraltro, rilevato con la recente sentenza di questa Sezione n. 10347/2019) – ripercorrendo il quadro normativo in materia – deve evidenziarsi che il D.P.R. n. 169 del 2005, adottato in base alla previsione della L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, prevedeva originariamente che i consiglieri restassero in carica quattro anni a partire dalla data della proclamazione dei risultati e che, a far data dall’entrata in vigore del regolamento, non potessero essere eletti per più di due volte consecutive.

Successivamente la L. n. 10 del 2011, art. 1, comma 1, con cui è stato convertito il D.L. n. 225 del 2010, ha introdotto il comma 4-septies nel corpo dell’art. 2, sancendo che “le disposizioni di cui all’art. 2, comma 4, del regolamento di cui al D.P.R. n. 169 del 2005, trovano applicazione per i componenti degli organi in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione, con il limite massimo di durata corrispondente a tre mandati consecutivi (ciascuno dei quali di durata quadriennale).

E’ decisivo – quindi – rilevare che il ricorrente è stato eletto alla carica di componente del Consiglio dell’Ordine degli ingegneri di Livorno per il quadriennio 2017-2021, dopo aver ricoperto la carica per (almeno) tre mandati consecutivi, ed era, quindi, in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10/2011, tant’è che il Consiglio nazionale ne ha correttamente dichiarato la decadenza ai sensi del D.P.R. n. 169 del 2005, art. 2, comma 4, come modificato dal D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 4-septies.

Deve difatti escludersi che la citata disposizione fosse volta a consentire una terza rielezione solo a coloro che avessero già ricoperto la carica per due volte consecutive, poichè, come si evince dalla sua chiara formulazione letterale, il citato art. 2, comma 4-septies, si applica a prescindere dal numero di rielezioni ottenute dai consiglieri in carica (fatto salvo il solo limite massimo di tre mandati), e quindi anche a coloro che, alla data dell’entrata in vigore della L. n. 10 del 2011, fossero ancora al primo mandato.

Non occorre, perciò, verificare se fosse legittimo intervenire mediante un regolamento di delegificazione adottato ai sensi della L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, poichè la previsione del D.P.R. n. 169 del 2005, art. 2, comma 4, è stata superata dalla fonte primaria successiva (per l’appunto il D.L. n. 225 del 2010, convertito con la L. n. 10 del 2011), che ha legificato la materia dell’elettorato passivo per i consiglieri dell’Ordine degli ingegneri, in forme idonee a derogare anche al D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 15.

L’adozione del limite di tre mandati consecutivi mediante la legge di conversione del D.L. n. 225 del 2010 non viola – difatti – la riserva di legge prevista dall’art. 51 Cost., poichè quest’ultima può essere attuata anche mediante atti aventi forza di legge (quali i decreti legge e i decreti legislativi), come accade in riferimento a tutte le riserve contenute in altre norme costituzionali, anche se relative ai diritti fondamentali (v. Corte. Cost. n. 134/2003; Corte Cost. n. 282/1990; Corte Cost. n. 113/1972; Corte Cost. n. 26/1966), fatte salve solo quelle che richiedono atti di autorizzazione o di approvazione del Parlamento. Tali atti-fonte sono equiparati, a tali effetti, alla legge parlamentare poichè nel relativo procedimento di formazione è assicurata la partecipazione dell’organo rappresentativo (cfr. Corte Cost. n. 10/2015), mentre è da escludere che, per le elezioni dei Consigli degli ordini professionali, possa operare il limite di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 15, comma 2, lett. b).

Allo stesso modo – osserva il collegio – vanno ritenuti manifestamente infondati i dubbi di legittimità – espressi in via subordinata dal ricorrente – del menzionato art. 2, comma 4-septies, introdotto dalla Legge di conversione n. 10 del 2011per l’asserita disomogeneità della materia dell’elettorato passivo rispetto a quelle oggetto del D.L. n. 225 del 2010 e, quindi, per (supposta) carenza dei requisiti di indifferibilità ed urgenza.

Riguardo a tale ultimo profilo, deve anzitutto premettersi che lo scrutinio di costituzionalità circa l’esistenza dei requisiti di necessità e d’urgenza deve svolgersi su un piano diverso dalle valutazioni del Governo e del Parlamento in sede di conversione ed assume rilievo solo in caso di un’evidente carenza dei presupposti menzionati dall’art. 77 Cost. (cfr., tra le tante, Corte Cost. n. 287/2016 e Corte Cost. n. 133/2016).

Per altro verso, il controllo di costituzionalità non è precluso dall’adozione di una legge di conversione che abbia introdotto disposizioni non contemplate nel decreto-legge, poichè l’originaria carenza dei presupposti di costituzionalità si traduce in un vizio in procedendo che si trasmette alla legge, essendo comunque alterato il riparto delle competenze tra Parlamento e Governo.

Ciò precisato, è da rilevare che, ove sia censurata una norma introdotta in sede di conversione, è necessario che quest’ultima abbia disciplinato una materia omogenea rispetto a quelle oggetto del decreto-legge, omogeneità che però viene in rilievo non solo in senso oggettivo ma anche “funzionale” (Corte Cost. n. 22/2012). Se difatti “la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla prima il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni”, è però sufficiente che le norme introdotte in sede di conversione assolvano alla comune funzione di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o “di incidere su situazioni esistenti – pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi regolatori di natura temporale” (v. Corte Cost. n. 22/2012, cit., e Corte Cost. n. 154/2015).

Sulla base di questa premessa sistematica deve ritenersi che il comma 4-septies, inserito nel disposto del D.L. n. 225 del 2010, art. 2 (intitolato “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”), non è privo dei descritti caratteri di omogeneità funzionale ma è accomunato alle altre disposizioni del decreto-legge (da cui mutua i requisiti di necessità ed urgenza) dallo scopo di incidere su situazioni esistenti – pur se relative ad oggetti e materie diverse che, a parere del legislatore, richiedevano interventi regolatori di natura temporale, avendo disciplinato le condizioni di eleggibilità, con riguardo alla possibilità di un terzo mandato consecutivo, per i consiglieri già in carica al momento dell’entrata in vigore della disposizione.

Il citato art. 2, comma 4-septies, infatti, non si limita a legificare la disciplina recata dal D.P.R. n. 165 del 2005, art. 2, comma 4, ma introduce anche una modifica del regime dell’elettorato passivo, con la previsione, appunto, della possibilità di un terzo mandato consecutivo.

In sintesi: la relativa eccezione di illegittimità costituzionale è manifestamente infondata alla stregua della giurisprudenza costituzionale più recente che ha operato un’interpretazione più elastica dell’art. 77 Cost., comma 2, sia con riferimento ai presupposti di necessità ed urgenza (i quali, nella fattispecie, erano stati ritenuti sussistenti con riferimento alla regolamentazione di una serie di materie implicanti un intervento di proroga derogativo, trattandosi, proprio, di un decreto c.d. “milleproroghe”) che con riguardo – nel caso in esame – al legame con le disposizioni da prorogare. A quest’ultimo proposito deve ribadirsi che il D.L. n. 225 del 2010 aveva ad oggetto (in via generale) proprio la “proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e famiglie”, ragion per cui l’elemento unificante delle materie disciplinate dal citato decreto-legge era, per l’appunto, quello di prorogare termini di prossima scadenza, ivi compresi quelli relativi ai consigli degli Ordini professionali, sui quali è intervenuta anche la disposizione introdotta nella legge di conversione n. 10/2011 (per l’appunto, al citato D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 4-septies), che – proprio incidendo sul D.P.R. n. 169 del 2005, art. 2, comma 4, – ha previsto che tale ultima disposizione si applicava anche per i componenti degli organi in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso D.L. n. 225 del 2010, con il limite massimo di durata corrispondente a tre mandati consecutivi (onde consentire, prima che si procedesse al rinnovo dei Consigli degli Ordini professionali, in via transitoria ai candidati che avevano maturato due mandati di potersi presentare anche per essere eletti per un terzo mandato consecutivo).

4. Il terzo motivo è del tutto infondato e deve essere rigettato.

Il collegio rileva che – indipendentemente dalla ritualità o meno dell’evocazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 anzichè di quello previsto dal n. 4), da dedursi in presenza di asserite nullità processuali – non si è configurata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo il Consiglio Nazione degli Ingegneri posto chiaramente riferimento – nello svolgimento del fatto – alla vicenda elettorale e alle specifiche censure formulate dai ricorrenti con riguardo alla dedotta invalidità della proclamazione dell’ing. C. per effetto della sua incandidabilità, pronunciandosi proprio sui relativi motivi e respingendo – con argomentazioni adeguate e giuridicamente corrette – tutte le eccezioni proposte dallo stesso C..

E’, inoltre, assolutamente indiscutibile che i ricorrenti dinanzi al predetto Consiglio Nazionale avessero la titolarità di uno specifico interesse ad impugnare la delibera di proclamazione del C., siccome la procedura si era svolta illegittimamente con riguardo alla sola posizione del C. stesso, in quanto incandidabile: del resto, il D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 6 sancisce che “contro i risultati dell’elezione ciascun professionista iscritto nell’albo può proporre reclamo alla Commissione centrale”, così risultando riconosciuta la legittimazione ad impugnare in capo ad ognuno dei consiglieri dello specifico Consiglio dell’Ordine. Tale interesse era, inoltre, da ritenersi in concreto direttamente riconoscibile all’ing. M., anche in quanto risultato primo dei non eletti e, quindi, avente diritto a subentrare in sostituzione del C., ove la sua elezione fosse stata invalidata, quale effetto implicito di quest’ultima (essendo irrilevante che egli non avesse chiesto di “surrogarsi” al C.).

La doglianza relativa al dedotto difetto di integrità del contraddittorio è inammissibile per difetto di uno specifico interesse di esso ricorrente dal momento che egli non avrebbe potuto risentire di alcun pregiudizio per effetto della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri componenti del Consiglio dell’Ordine di Livorno risultati regolarmente ed incontestatamente eletti, i quali, perciò, non erano titolari di alcun concreto interesse che avrebbe dovuto determinarne la loro necessaria partecipazione al giudizio.

Detto interesse – come già posto in risalto – era, invece, pacificamente riconoscibile all’ing. M., quale primo dei non eletti e interessato, perciò, a subentrare al C. in caso di annullamento della sua elezione.

5. Il quarto ed ultimo motivo è manifestamente infondato poichè deve rilevarsi che – con riferimento al primo profilo – l’accoglimento del reclamo “contro il risultato dell’elezione” comportava l’adozione delle pronunce consequenziali circa la nuova composizione legittima del Consiglio dell’Ordine con l’inserimento del primo dei non eletti in sostituzione del candidato illegittimamente eletto (come deciso con l’impugnata pronuncia del Consiglio Nazionale degli Ingegneri) per effetto della sua incandidabilità.

Deve, a tal proposito, trovare conferma il principio – già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (con la sentenza n. 24812/2011) – secondo cui, nelle elezioni dei Consigli degli Ordini professionali, qualora tra gli iscritti più votati ed eletti perchè rientranti nel numero previsto per il voto plurinominale, corrispondente a quello dei componenti del consiglio, vi sia un professionista non eleggibile o incandidabile, poichè l’elezione dello stesso è da considerare invalida sin dall’origine e, quindi, “tamquam non esset”, ad integrare il numero degli eletti deve essere chiamato il professionista che abbia ricevuto il maggior numero di preferenze dopo l’ultimo degli eletti, non potendosi applicare la regola delle elezioni suppletive, prevista per la diversa ipotesi di sopravvenuta e successiva incapacità ad essere consiglieri, per morte, dimissioni o decadenza dalla carica, di cui al D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 15, comma 3, stante il divieto di applicazione analogica o a casi simili delle normative speciali, ai sensi dell’art. 14 preleggi.

E’, quindi, legittima la statuizione accessoria adottata nel caso di specie dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in quanto consequenziale alla declaratoria di ineleggibilità dell’ing. C.G., con la sua derivante decadenza.

Quanto al secondo profilo occorre rimarcare che l’esecutività immediata dell’impugnata decisione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (organo speciale – come già evidenziato – propriamente giurisdizionale) discende dalla sua adozione in un unico grado e dalla proponibilità dell’istanza ex art. 373 c.p.c., che, per l’appunto, presuppone l’esecutività della decisione (cfr. Cass. S.U. n. 4112/2007 e Cass. S.U. n. 14503/2013), mancando, peraltro, nella normativa di settore, una disposizione derogativi di tale disciplina (solo nell’ordinamento professionale forense – sempre sul presupposto dell’esecutività immedìata delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense – è conferito, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, alle Sezioni unite di questa Corte, dopo la proposizione del relativo ricorso per cassazione, il potere di sospendere la predetta esecutività: v. Cass. SU n. 6967/2017).

6. In definitiva, alla stregua di tutte le argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore – distintamente – del controricorrente M.G. e degli altri controricorrenti (costituiti congiuntamente), nella misura indicata in dispositivo.

Va, invece, dichiarato il non luogo a provvedere sulle spese relativamente al rapporto processuale instauratosi tra il ricorrente e gli altri due intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate – in favore del controricorrente M.G. – in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge, e – in favore degli altri controricorrenti in via congiunta – in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2019

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