Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2172 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. II, 31/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 17463/05) proposto da:

D.C.M.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli

Avv. Piazza Cesare e Singlitico Francesco ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv. Borromeo Chiara, in Roma, v.

Brescia, n. 16;

– ricorrente –

contro

K.E., + ALTRI OMESSI

tutti rappresentati e difesi dagli Avv. Tonolo Maria Sofia

e Melani Gabriele, in virtù di procura speciale apposta a margine

(per i primi tre) e in calce (per gli altri dieci) al controricorso,

ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima in Roma,

alla v. Flaminia, n. 441;

– controricorrenti –

e

K.B.C., in proprio e quale erede di K.

H., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Tonolo Maria Sofia e

Melani Gabriele, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso ed elettivamente domiciliata presso lo studio della

prima in Roma, alla v. Flaminia, n. 441;

– controricorrente –

nonchè

K.G., + ALTRI OMESSI

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 588/2005,

depositata il 15 aprile 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 2

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditigli Avv.ti Francesco Singlitico per la ricorrente e Tonolo Maria

Sofia per i controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Scardaccione Eduardo Vittorio, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso con cassazione senza rinvio della sentenza

impugnata.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato nel giugno 1998 il sig. D.C. G. esponeva che il testamento olografo della defunta moglie K.G., redatto il 12 aprile 1984 e pubblicato il 20 maggio 1997, conteneva, a favore dei nipoti (in epigrafe indicati come controricorrenti e intimati) disposizioni nulle, ai sensi dell’art. 692 c.c., siccome integranti sostituzioni fedecommissarie e, malgrado ciò, C. ed K.E. avevano chiesto ed ottenuto di redigere inventario e il secondo aveva anche reso dichiarazione di accettazione dell’eredità. Sulla scorta di tale presupposto, il D.C. conveniva in giudizio tutti i nipoti della moglie dinanzi al Tribunale di Firenze per sentir dichiarare la nullità delle disposizioni testamentarie in loro favore e, conseguentemente, l’inesistenza di loro diritti alla successione e la nullità della dichiarazione di accettazione di eredità operata da K.E., con ordine al competente Conservatore di cancellazione della relativa trascrizione, nonchè la loro condanna al risarcimento dei danni per l’illegittima trascrizione.

Instauratosi il contraddittorio, si costituivano tutti i convenuti (ad eccezione di K.H. e K.M.), i quali, nel resistere alla domanda proposta, eccepivano, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice italiano e, nel merito, contestavano la fondatezza della citazione assumendo che le impugnate disposizioni non integravano sostituzioni fedecommissarie, avendo la K.G. inteso loro attribuire la nuda proprietà dei suoi beni e al coniuge il solo usufrutto. I convenuti chiedevano, quindi, che fosse dichiarato il difetto di giurisdizione e, in subordine, il rigetto delle domande formulate nei loro riguardi, proponendo, a loro volta, domanda riconvenzionale diretta all’accertamento della loro qualità di eredi della piena proprietà dei gioielli e della collezione di francobolli, oltre che della nuda proprietà dei beni immobili e dei restanti beni mobili della K.G.. Nel corso del giudizio di primo grado, decedeva l’attore D.C.G. ed interveniva volontariamente nel processo la figlia M.D. C.A.; esperita la fase istruttoria, il tribunale adito, con sentenza n. 3230 del 16 ottobre 2001, affermava la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano e dichiarava la nullità delle disposizioni testamentarie a favore dei nipoti di K.G. e relative agli immobili, al denaro e ai titoli, nonchè la nullità della dichiarazione di accettazione di eredità fatta da K. E., dichiarando, altresì, che i suddetti nipoti erano eredi dei gioielli e dei francobolli.

Nei confronti di detta sentenza, proponeva appello, con citazione notificata il 25 ottobre 2002, la sig.ra K.B.C., contestando la sussistenza delle sostituzioni fedecommissarie perchè la volontà di K.G., quale emergeva dalle disposizioni testamentarie, era quella di attribuire ai nipoti la nuda proprietà dei beni immobili, del denaro e dei titoli e al marito il solo usufrutto; chiedeva, pertanto, che venisse dichiarato che ai nipoti era stata attribuita dalla testatrice la nuda proprietà dei beni immobili, del denaro e dei titoli, poi consolidatasi in piena proprietà, a seguito della morte dell’usufruttuario D.C. G., con la relativa condanna della sig.ra M.D.C. A. alla restituzione degli indicati beni o del loro equivalente monetario. Si costituiva l’appellata, la quale chiedeva il rigetto dell’appello e la conseguente conferma della sentenza impugnata, nonchè la declaratoria di inammissibilità delle domande nuove introdotte in appello, proponendo, a sua volta, appello incidentale volto ad ottenere la pronuncia, omessa in primo grado, che unico erede della sig.ra K.G. era il marito D.C. G. con il correlato accertamento che nessun altro aveva diritto all’eredità della moglie. Gli altri appellati (ivi comprese le parti che si erano costituite in primo grado) rimanevano contumaci nel giudizio di appello, all’esito del quale la Corte territoriale adita, con sentenza n. 588/2005 (depositata il 15 aprile 2005), in totale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello proposto da K.B.C., dichiarando valide le disposizioni del testamento olografo di K.G. del 12 aprile 1984 dirette ad attribuire al marito D.C.G. l’usufrutto dei beni immobili, dei titoli e del denaro e ai nipoti della testatrice la nuda proprietà, condannando l’appellata-appellante incidentale D. C.M.A. a restituire i beni immobili, il denaro e i titoli all’appellante K.B.C. nella misura della quota ereditaria a lei spettante o a restituirne il corrispondente valore in denaro al momento dell’apertura della successione, rivalutato secondo gli indici istat e con gli interessi legali sulla somma via via rivalutata.

A sostegno dell’adottata sentenza la Corte di appello di Firenze evidenziava che dal complesso delle disposizioni testamentarie oggetto di contesa emergeva con chiarezza la volontà della signora K.G. di attribuire al marito esclusivamente il godimento degli immobili, del denaro e dei titoli, senza poterne effettivamente disporre, e di attribuire, invece, ai nipoti la nuda proprietà, che alla morte del coniuge si sarebbe consolidata. Per converso, la Corte territoriale escludeva che, nella fattispecie, potessero ricorrere gli estremi della sostituzione fedecommissaria, poichè: – le disposizioni testamentarie erano dirette e simultanee e non in ordine successivo; – i chiamati non succedevano l’uno all’altro, ma direttamente al testatore; – la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituiva un effetto non della successione, ma della “vis” espansiva della proprietà. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la sig.ra D.C. M.A., articolato su due motivi, al quale hanno resistito con un unico controricorso K.E., + ALTRI OMESSI e con autonomo controricorso K.B.C., in proprio e quale erede di K.H.. Gli altri tre intimati K.G., + ALTRI OMESSI non si sono costituiti in questo giudizio. I difensori delle parti hanno depositato rispettivamente memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Rileva il collegio che – al fine di poter valutare la sussistenza o meno delle condizioni per procedere all’esame del ricorso proposto nell’interesse della signora D.C.M.A. – riveste rilevanza pregiudiziale la questione di rito sollevata in controricorso dalla signora K.B.C. in ordine alla supposta inammissibilità del ricorso medesimo per difetto di apposizione di valida procura speciale in relazione al disposto dell’art. 365 c.p.c..

In particolare, la citata controricorrente ha chiesto a questo collegio di chiarire (adottando la conseguente statuizione) se, in un giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, una procura che non contenga alcun riferimento alla posteriorità della stessa rispetto alla pronuncia del provvedimento impugnato, nè alcuna espressione che positivamente dimostri la volontà di rilasciarla al fine di proporre il ricorso stesso.

Si possa considerarsi soddisfacente il requisito di specialità come richiesto dal ricordato art. 365.

Il collegio ritiene che la questione sia infondata e debba, pertanto, essere rigettata, rilevandosi, conseguentemente, l’ammissibilità del formulato ricorso principale. Invero, pur non emergendo dalla procura rilasciata a margine del ricorso un esplicito riferimento al giudizio di cassazione, rilevandosi il mero conferimento della delega alla rappresentanza e difesa in giudizio “nel presente procedimento in ogni stato e grado” (comprese la fase esecutiva e altre attività correlate), la giurisprudenza pressochè costante di questa Corte (dalla quale non si ha motivo di discostarsi) ha ripetutamente asserito (anche recentemente: cfr. Cass. 27 gennaio 2009, n. 1954, e Cass. 17 dicembre 2009, n. 26504) che per il principio di conservazione degli atti giuridici (art. 159 c.p.c.), salva la presenza nella procura a margine del ricorso o controricorso di espressioni tali da escludere univocamente la volontà del conferimento per il giudizio di legittimità, l’espressione “delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio in ogni fase e grado”, con contestuale elezione di domicilio in Roma (effettivamente risultante nella fattispecie), soddisfa il requisito di specialità richiesto dall’art. 365 c.p.c., poichè il richiamo al “presente giudizio” appare sufficiente per attribuire alla parte la volontà di promuovere il giudizio di legittimità, ancorchè non espressamente menzionato, e contenente invece riferimenti ai gradi di merito (conforme Cass. 24 novembre 2004, n. 22119). In senso ancora più complessivo – rafforzando il riportato condivisibile principio – è stato statuito (v., da ultimo, Cass. 3 luglio 2009, n. 15692) che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, poichè in tal caso la specialità del mandato è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso (o il controricorso) al quale essa si riferisce, risultando, altresì, irrilevante la circostanza che la formula, adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili at giudizio di merito.

2. Sgombrato il campo dalla prospettata questione pregiudiziale processuale, si evidenzia che con il primo motivo del ricorso la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riguardo al supposto vizio di ultrapetizione da cui doveva considerarsi affetta la sentenza di appello per aver deciso, peraltro accogliendola, sulla domanda della sig.ra K.B.C. proposta per la prima volta in grado di appello (e, come tale da ritenersi inammissibile in virtù dell’art. 345 c.p.c.), relativa alla richiesta di restituzione dei beni caduti in successione, nella misura spettante ad essa appellante, ovvero a restituire il corrispondente controvalore in denaro maggiorato di interessi e rivalutazione.

2.1. Con il secondo motivo del ricorso la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – per omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti, assumendo la carenza e l’incongruità del percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale, che, nell’individuazione della precisa intenzione della testatrice, in quanto diretta a disporre un’istituzione di erede con obbligo di conservazione dei beni e di restituzione degli stessi dopo la morte dell’erede stesso ad altri soggetti sostituiti (in violazione del divieto, sanzionato da nullità, ex art. 692 c.c., comma 5), ovvero in quanto diretta a disporre un legato di usufrutto di beni a favore di un soggetto e un legato di nuda proprietà degli stessi a favore di altri soggetti (disposizione consentita e valida), aveva ritenuto di attenersi al solo principio di conservazione delle disposizioni di ultima volontà, omettendo di indagare sui fatti e sulle circostanze nel cui contesto era stata espressa la volontà della testatrice, oltre a ricercare, in via preferenziale, gli elementi ermeneutici delle disposizioni nelle espressioni letterali della scheda testamentaria.

3. Rileva il collegio che si profila necessario valutare, in via preliminare, la fondatezza o meno del motivo proposto per secondo (che, se accolto, vanificherebbe, assorbendolo, l’esame del primo), siccome attinente direttamente alla denuncia del vizio motivazionale della sentenza impugnata sulla ricostruzione del contenuto dell’impugnato testamento olografo della signora K.G. del 12 aprile 1984, pubblicato con verbale per notar Basetti del 20 maggio 1997, che, nella prospettiva della ricorrente, si configurava (e si sarebbe dovuto, perciò, qualificare) come una scheda istitutiva di una sostituzione fedecommissaria colpita dal divieto previsto dall’art. 692 c.c., comma 5, (come ritenuto dal giudice di primo grado, salvo che per le disposizioni relative ai beni contenuti nella cassaforte della testatrice), con tutte le conseguenze di legge che ne scaturivano.

Tale motivo non è meritevole di pregio e deve, pertanto, essere respinto.

Osserva, in linea preliminare, il collegio che la sostituzione fedecommissaria – che è, in generale, dichiarata nulla dall’art. 692 c.c., comma 5, (salvi i casi eccezionali di sua validità come previsti nei precedenti commi della stessa disposizione normativa, sostituiti per effetto della Legge di riforma del diritto di famiglia 19 maggio 1975, n. 151, art. 197) – contiene più istituzioni, di cui la posteriore deve avere effetto dopo la morte dell’istituito anteriormente, il quale ha, perciò, l’obbligo di conservare l’eredità onde poterla restituire, così come gli è pervenuta, all’erede sostituito.

Gli elementi che, dunque, la identificano sono tre:

1) occorre, anzitutto, una doppia vocazione testamentaria, nel senso, cioè, che deve contenere due o più disposizioni dei medesimi beni in proprietà a favore di due o più persone chiamate a succedere l’una dopo l’altra, di modo che al sostituito è devoluta l’eredità del testatore non già direttamente da costui, ma indirettamente a mezzo del chiamato anteriore, che è gravato dall’obbligo della restituzione, e al quale, pertanto, egli – quale erede successivo del testatore – non si sostituisce, come nella sostituzione ordinaria, ma sussegue; 2) è necessario, in secondo luogo, che il testatore abbia imposto al primo chiamato l’obbligo di conservare e restituire i beni formanti oggetto della disposizione, precisandosi che tale obbligo può risultare da un’espressa disposizione del testamento, o dal contesto di esso, ovvero desumersi dalla circostanza che la disposizione non può ricevere la sua esecuzione che mediante la conservazione e la restituzione dei beni, o anche desumersi dal divieto di alienarli;

3) infine, l’ultimo requisito si sostanzia nel cd. “ordine successivo”, il quale implica che l’istituito è tenuto a conservare i beni per tutta la vita, onde restituirli alla sua morte a titolo di successione al sostituito, che viene così a succedere indirettamente al testatore.

In proposito anche la giurisprudenza di questa Corte ha, in più occasioni (cfr, ad es., Cass. 2 luglio 1991, n. 7267; Cass. 10 gennaio 1995, n. 243; Cass. 17 aprile 2001, n. 5604, e, da ultimo, Cass. 24 febbraio 2009, n. 4435), stabilito che l’interpretazione di una disposizione testamentaria volta a determinare se il testatore abbia voluto disporre una sostituzione fedecommissaria o una costituzione testamentaria di usufrutto deve muovere dalla ricerca della effettiva volontà del “de cuius”, attraverso l’analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che mediante il contenuto testuale della scheda testamentaria, con la conseguenza che la disposizione con la quale il “de cuius” lascia a persone diverse rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene (o dell’intero complesso dei beni ereditari) non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria (ma quelli di una formale istituzione di erede) quando le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, i chiamati non succedano l’uno all’altro, ma direttamente al testatore, e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della “vis espansiva” della proprietà.

In altri termini, nell’interpretazione di una disposizione testamentaria, con riguardo alla previsione dell’attribuzione simultanea (ancorchè separata), a distinti soggetti, della nuda proprietà e dell’usufrutto dei beni ereditari oppure di una sostituzione fedecommissaria, è decisivo il criterio secondo cui la sostituzione fedecommissaria non è ravvisabile quando, indipendentemente dalla terminologia usata, dalla struttura della disposizione emerga l’attribuzione ai chiamati in via successiva di due diritti diversi, rispettivamente di godimento – eventualmente anche dell’intero compendio dei beni ereditari – al primo e di nuda proprietà dei beni relitti al secondo, giacchè in tale ipotesi erede è soltanto il nudo proprietario, il quale può esercitare i relativi poteri fin dal momento dell’apertura della successione. Al contrario è ipotizzabile una istituzione con sostituzione fedecommissaria qualora il testatore, pur adoperando la terminologia corrispondente ad un’attribuzione separata di usufrutto e di nuda proprietà, abbia attribuito all’onorato dell’usufrutto diritti ed obblighi incompatibili con la qualità di usufruttuario e spettanti invece all’erede oppure abbia condizionato l’acquisto della qualità di erede del secondo alla sopravvivenza al primo.

Chiariti questi aspetti generali, si rileva che, nel caso in esame, non è ravvisabile il lamentato difetto di motivazione, poichè la sentenza impugnata è del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto, che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella logicamente effettuata dalla Corte di appello fiorentina. Occorre, inoltre, porre in risalto che, in tema di interpretazione della scheda testamentaria e della previsione dell’attribuzione (separata) simultanea a distinti soggetti della nuda proprietà e dell’usufrutto di beni ereditari, questa Corte ha avuto, altresì, modo di affermare che, nell’interpretazione del testamento, il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale “mortis causa”, salvaguardando il rispetto, in materia, del principio di conservazione del testamento. Tale attività interpretativa del giudice del merito, se compiuta alla stregua dei suddetti criteri e con ragionamento immune da vizi logici, non può considerarsi censurabile in sede di legittimità (v. Cass. 21 febbraio 2007, n. 4022).

Orbene, come già anticipato, la Corte territoriale fiorentina si è attenuta a tali criteri ed è pervenuta correttamente al risultato di escludere che, nella fattispecie, la scheda testamentaria della signora K.G. potesse qualificarsi come un complesso di disposizioni “mortis causa” integrante una sostituzione fedecommissaria vietata.

Infatti, rimanendo irrilevante in proposito ogni diversa previsione normativa risultante dall’ordinamento elvetico (poichè la controversia deve essere risolta sulla base della legislazione italiana, ritenuta in concreto applicabile, a seguito della statuizione di rigetto dell’eccezione di difetto della giurisdizione italiana, passata in giudicato), la Corte di appello di Firenze, sulla scorta del complessivo contesto letterale della suddetta scheda testamentaria inquadrato in modo organico, ha rilevato che, in effetti, nel caso di specie, accanto alla disposizione di un legato immediatamente efficace (in favore di B.A.), la testatrice aveva inteso procedere ad un’attribuzione disgiunta (ancorchè simultanea) dei diritti spettanti sugli immobili di v.

Solferino, 39, e di v. Romagnosi, 13 e del denaro e dei titoli custoditi presso la Banca commerciale, oltre ad assegnare immediatamente il contenuto della sua cassaforte ai nipoti che avrebbero dovuto venderlo, soddisfacendosi sul ricavato, salvo che qualcuno di essi non lo avesse voluto acquistare, con l’effetto di dover cedere la quota spettante agli altri.

In particolare nel testamento in questione si legge testualmente:

“12 aprile 1984. Mio testamento. Appartamento via (OMISSIS) e il denaro e i titoli alla Banca Commerciale Italiana lascio a mio marito D.C.G.. Lascio i seguenti legati: B.A. L. 3.500.000. Dopo la morte di mio marito il denaro e i titoli alla Banca Commerciale vanno distribuiti ai seguenti nipoti…” (segue, a questo punto, l’indicazione di tre nominativi con l’attribuzione di un pari importo di L. 30.000.000 con la sottoscrizione della testatrice); poi il tenore della scheda prosegue: “i due appartamenti via (OMISSIS) devono essere venduti e il ricavato diviso fra tutti i nipoti: (dopo la morte di mio marito)”; segue, quindi, l’indicazione dei nominativi di 14 persone con altra firma della testatrice. Infine risulta aggiunta la seguente disposizione: “P.S. Nel bagno mio in alto c’è una cassaforte, dentro ci sono i gioielli e la collezione di francobolli, anche questa deve essere venduta e suddiviso il ricavato fra tutti i nipoti sopra indicati o se qualcuno la vuole acquistare, deve liquidare tutti gli altri”.

La Corte fiorentina ha, in particolare, correttamente e logicamente evidenziato che, sulla scorta del tenore delle richiamate disposizioni testamentarie, la testatrice non poteva aver avuto l’intenzione di voler istituire erede il marito (non utilizzando, peraltro, una specifica locuzione al riguardo), poichè l’espressione “lascio a mio marito” non poteva essere valutata disgiuntamente da quella immediatamente successiva, in base alla quale il denaro e i titoli avrebbero dovuto, dopo la morte dello stesso coniuge, essere distribuiti tra i nipoti, così come avrebbero dovuto essere alienati, sempre dopo la verificazione dell’evento della morte del sig. D.C.G., i due appartamenti, il cui ricavato era destinato ad essere suddiviso tra tutti i nipoti. E’, pertanto, rispondente al contenuto trasparente dalla riportata scheda testamentaria l’interpretazione operata dal giudice di appello dell’intenzione della testatrice di voler assegnare al marito un mero diritto di godimento in vita dei menzionati beni (e, quindi, a titolo di usufrutto) senza, tuttavia, comprometterne il trapasso ai nipoti, da intendersi istituiti quali nudi proprietari dei medesimi beni, i quali ne avrebbero, perciò, acquistato la piena proprietà all’atto del decesso del coniuge. Del resto il risultato di tale analisi ermeneutica è rafforzato anche dall’univoca disposizione finale emergente dalla scheda testamentaria dalla quale si evince che i nipoti succedevano immediatamente nel patrimonio costituito dai beni contenuti nella cassaforte, con attribuzione “pro quota” della loro piena proprietà (come, peraltro, statuito anche dal giudice di prime cure).

In altri termini, non sarebbe stata conforme ai criteri interpretativi precedentemente indicati (con adeguata valorizzazione, anche in ambito successorio, di quello previsto dall’art. 1367 c.c.), una valutazione scomposta o parcellizzata delle disposizioni testamentarie, che avesse, dunque, evitato di esaminare il contenuto della scheda nella sua complessità ed organicità, ricavandone un risultato effettivamente incoerente con la volontà della testatrice.

Una globale valutazione razionale della scheda, quindi, non avrebbe potuto condurre che a far ritenere desumibile una volontà di far succedere immediatamente i nipoti (quali eredi) nel patrimonio costituito dai beni custoditi nella cassaforte (senza, cioè, differimenti temporali di sorta) e a istituirli come nudi proprietari per gli altri beni mobili ed immobili, attribuendone il godimento a favore del marito a titolo di legatario in sostituzione della legittima ove il legato era costituito dal diritto di usufrutto per la residua durata della sua vita (si evidenzia, in proposito, e come sia sintomatica di tale volontà anche l’utilizzazione della stessa terminologia da parte della testatrice allorquando, con riferimento agli immobili, scrive che essi avrebbero dovuto essere venduti dopo la morte del marito, con la distribuzione del ricavato fra tutti i nipoti, e, con riguardo ai beni contenuti nella cassaforte, afferma che “anche” quelli avrebbero dovuto essere venduti con suddivisione del ricavato tra i nipoti medesimi, per cui, a parte il differimento temporale, si prospetta evincibile l’intenzione di istituire eredi i nipoti, facendoli succedere immediatamente nella piena proprietà dei secondi e differendo l’acquisto, da parte dei medesimi, dello stesso diritto sui primi al verificarsi della morte del coniuge, in dipendenza della “vis espansiva” della proprietà).

In definitiva, la Corte di merito – dopo aver proceduto ad un’adeguata e coerente interpretazione della lettera e dello spirito della scheda testamentaria in questione – è pervenuta alte conclusioni sopra precisate (e dalla ricorrente criticate) attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a precisi criteri logici e giuridici, articolando il complessivo percorso motivazionale partendo dall’enucleazione dei necessari presupposti che devono concorrere ai fini della configurazione di una sostituzione fedecommissaria vietata, rimasti, però, esclusi (sulla scorta della congrua valutazione degli stessi criteri) nella specifica vicenda.

4. Ritenuta l’infondatezza del secondo (preliminare) motivo dedotto dalla ricorrente, occorre, quindi, passare all’esame del primo motivo con il quale la sig.ra D.C. ha – come già evidenziato – prospettato la violazione della norma processuale di cui all’art. 112 c.p.c., in rapporto all’art. 345 c.p.c., avendo – secondo il suo avviso – la Corte territoriale provveduto, malgrado la tardiva e, quindi, inammissibile richiesta dell’interessata, anche alla condanna, a suo carico ed in favore della sig.ra K.B. C., alla restituzione dei beni caduti in successione, nella misura spettante all’appellante, ovvero a restituirle il corrispondente controvalore in denaro maggiorato di interessi e rivalutazione.

4.1. Anche tale motivo non è fondato e deve, perciò, essere respinto. E’ importante, preliminarmente, chiarire, in termini essenziali, quale sia stato lo svolgimento del processo fin dalla sua introduzione, evidenziando anche l’incidenza del sopravvenuto decesso, nelle more, dell’originario attore D.C.G. (marito della testatrice). Quest’ultimo, nell’iniziale atto di citazione, aveva proposto una domanda di accertamento (con conseguente declaratoria) della nullità delle disposizioni testamentarie a favore dei nipoti nonchè di accertamento della propria qualità di erede universale della signora K.G. e, quindi, dell’insussistenza di alcun diritto ereditario da parte degli allora convenuti. A fronte di tale domanda la convenuta K. B.C. si era costituita invocandone il rigetto, sul presupposto dell’accertamento della sola sussistenza di un legato in sostituzione della legittima a favore del suddetto attore, chiedendo, oltre al riconoscimento del proprio “status” di erede della indicata testatrice, che venisse dichiarato, a titolo di domanda riconvenzionale, l’obbligo del sig. D.C. alla corresponsione, in suo favore, della quota di controvalore spettantele con riferimento ai beni rinvenuti nella cassaforte della defunta. Al di là della corresponsione di questa quota (da considerarsi attribuitale direttamente dalla testatrice), la predetta convenuta non aveva titolo a richiedere alcuna restituzione posto che, per quanto emergente dal testamento, fino a quando il sig. D.C. G. fosse rimasto in vita, aveva tutti i diritti di godere dei beni sui quali – come riconosciuto dal giudice di appello – era stato costituito usufrutto in suo favore. Solo allorquando l’attore era deceduto nelle more del giudizio ed esso era stato proseguito nei confronti della figlia M.D.C.A. (intervenuta in sua sostituzione), si sarebbe potuto ritenere insorto il presupposto per spiegare domanda restitutoria, la quale, peraltro, non costituiva che una specificazione della domanda di accertamento originariamente avanzata nei confronti dell’erede apparente o, quanto meno, una richiesta dalla stessa implicata (e che si sarebbe potuta attualizzare soltanto una volta sopravvenuta la morte dell’originario attore, che, ancorchè non fosse stato dichiarato erede, aveva incontestatamente titolo a rimanere nel godimento degli altri beni – esclusi, peraltro, quelli rinvenuti nella cassaforte della consorte – a titolo di usufruttuario fino al suo decesso). Pertanto, la convenuta K.B.C., solo una volta verificatosi il suddetto evento riguardante la persona dell’attore originario, al momento della formulazione della precisazione delle conclusioni in primo grado, aveva esplicitato la suddetta richiesta (che, perciò, appariva naturalmente correlata alla sua posizione difensiva assunta fin dall’introduzione della controversia), chiedendo – previo accertamento e dichiarazione dell’esistenza di un legato di usufrutto in sostituzione di legittima in favore del coniuge sig. D.C. G., stante la morte di questi avvenuta nelle more del procedimento e la costituzione, in giudizio, della signora M. D.C.A. (adottata dal sig. D.C.G.) – di dichiarare la cessazione del diritto di usufrutto e, conseguentemente, dare esecuzione al testamento a beneficio (pro quota) di essa convenuta, insistendo, comunque e in ogni caso, per la dichiarazione dell’obbligo della controparte alla corresponsione, sempre in suo favore, del controvalore in denaro, in ragione di 1/14, di quanto contenuto nella cassaforte. Tali conclusioni risultano poi riproposte con l’atto di appello nel quale si specifica la richiesta di condanna alla restituzione, in favore della stessa appellante, dei beni immobili, denaro e titoli di cui all’impugnato testamento olografo (nella misura della quota ad essa spettante), ovvero a restituirne il corrispondente valore in denaro maggiorato di interessi e rivalutazione.

Da tale rappresentazione risulta evidente – come ha correttamente statuito la Corte territoriale nell’impugnata sentenza – che la menzionata richiesta restitutoria era da ritenersi sostanzialmente compresa nella difesa della K.B.C., anche in relazione alla proposta domanda riconvenzionale, ed era stata idoneamente specificata all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado (pur essendo, tuttavia, errata l’affermazione che la controparte non ne avesse eccepito la novità, la quale, però, non può ritenersi configuratasi).

Alla stregua delle riportate argomentazioni, il collegio rileva l’insussistenza della violazione processuale dedotta dalla ricorrente, poichè, nel caso di specie, anche tenendo conto dello svolgimento dell’iter processuale di primo grado e delle iniziali difese complessive approntate dalle parti unitamente al sopravvenuto evento del decesso dell’attore, non ci si trova in presenza di una domanda propriamente nuova (come tale improponibile in appello), dal momento che a tal fine – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. 19 luglio 2005, n. 15213, e Cass. 24 novembre 2008, n. 27890) – occorre la deduzione di una nuova “causa petendi”, la quale comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e la conseguente introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di decisione, in modo tale da alterare l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia (evenienza, questa, obiettivamente non verificatasi nel caso esaminato, laddove la richiesta di restituzione – pro quota – dei beni ritenuti attribuiti in eredità alla menzionata convenuta costituiva un chiaro effetto implicato dalla difesa della medesima e, quindi, fisiologicamente ad essa correlato e conseguente, una volta intervenuto il decesso dell’originario attore). In altre parole, può aversi domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” solo quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di approfondimento istruttorio e di decisione, alteri l’oggetto della pretesa sostanziale dedotta con l’azione proposta e, quindi, i termini effettivi della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio.

5. In definitiva, il ricorso proposto nell’interesse della signora D.C.M.A. deve essere integralmente rigettato.

Tuttavia, il collegio ritiene che sussistano giusti motivi – in dipendenza della particolarità della controversia, dell’obiettiva controvertibilità delle questioni giuridiche dalla stessa implicate e della dichiarata infondatezza della questione pregiudiziale di rito formulata dalla controricorrente K.B.C. – per disporre la compensazione totale tra le parti costituite delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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