Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21716 del 27/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 27/10/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 27/10/2016), n.21716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5775/2015 R.G. proposto da:

C.P., c.f. (OMISSIS), C.F.E., c.f.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in Palermo, al Viale delle

Alpi, n. 7, presso lo studio dell’avvocato Antonina, detta

Antonella, Fundarò che li rappresenta e difende in virtù di

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente

domicilia;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 723 dei 28.5/25.6.2014 della corte d’appello di

Caltanissetta;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7

luglio 2016 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla corte d’appello di Caltanissetta depositato in data 10.9.2012 C.P. e C.F.E., in proprio e quali eredi di C.I., si dolevano per l’eccessiva durata del giudizio nell’ambito del quale il loro dante causa, con atto notificato il 29.10.1998, era stato citato a comparire innanzi al tribunale di Palermo da T.A. e M.G., perchè si accertasse la comproprietà del lastrico solare dell’immobile sito in (OMISSIS); che il giudizio di prime cure era stato definito con sentenza del 2.3.2009 e pendeva in seconde cure alla data della proposizione del ricorso alla corte d’appello di Caltanissetta.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con decreto n. 723 dei 28.5/25.6.2014 la corte d’appello di Caltanissetta accoglieva il ricorso in quanto esperito iure hereditatis, rigettava il ricorso in quanto esperito iure proprio, condannava il Ministero resistente a pagare ai ricorrenti per l’irragionevole durata del giudizio presupposto la somma di Euro 5.250,00 oltre interessi (somma da corrispondere ai medesimi ricorrenti pro quota) e compensava integralmente le spese del procedimento.

Esplicitava – la corte – a tal ultimo riguardo che le spese andavano compensate attesa la parziale reciproca soccombenza.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso sulla scorta di un unico motivo, articolato in quattro profili, C.P. e C.F.E.; hanno chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione e decida nel merito con condanna del Ministero alle spese e del primo giudizio e del giudizio di legittimità, spese da attribuirsi ai difensori anticipatari.

Il Ministero della Giustizia ha depositato memoria ai soli tini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Insussistenza di soccombenza reciproca. Irragionevole sproporzione tra l’indennizzo accordato e la disposta totale compensazione delle spese giudiziali, malgrado la soccombenza del Ministero resistente e la insussistenza di gravi ed eccezionali ragioni legittimanti la compensazione, anche in relazione ai principi espressi dalla Corte E.D.U.. Violazione art. 1 Primo Protocollo Addizionale C.E.D.U. ed art. 6 e 13 C.E.D.U.” (così ricorso, pag. 7).

Segnatamente con il primo profilo deducono che nel domandare l’equa riparazione non hanno quantificato la propria richiesta, ma hanno invocato “i soli principi – fissati dalla Corte E.D.U. – che consentono alle corti interne di operare discrezionalmente e di liquidare anche un importo diverso” (così ricorso, pag. 8); che, pertanto, nel caso di specie non sussiste reciproca soccombenza nè sussistono le gravi ed eccezionali ragioni di cui all’art. 92 c.p.c., per disporre la compensazione.

Segnatamente con il secondo profilo deducono che la corte d’appello ha disatteso la giurisprudenza di legittimità alla cui stregua la sostanziale soccombenza permane, in ogni caso, pur in ipotesi di mancata opposizione alla domanda avversa e pur in ipotesi di riduzione in sede di decisione del quantum domandato ed alla cui stregua, inoltre, occorre che non vi sia sproporzione in termini percentuali tra la dichiarata compensazione e l’indennizzo liquidato, giacchè viceversa si determina la sostanziale vanificazione della tutela accordata.

Segnatamente con il terzo profilo deducono che la disposta compensazione viola l’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale C.E.D.U., oltre clic gli artt. 6 e 13 C.E.D.U.; che invero la disposta compensazione riduce surrettiziamente l’indennizzo accordato, comprime il diritto al godimento dei propri beni ed elude l’esigenza di “effettività” del rimedio giurisdizionale apprestato.

Segnatamente con il quarto profilo deducono che la disposta totale compensazione “comporta come conseguenza l’obbligo di pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale alla misura della compensazione, e quindi in misura totale, ciò che contrasta con le indicazioni (….) della (…) Corte E.D.U. (…) secondo cui la somma accordata a titolo di equa riparazione non deve essere erosa o intaccata dal pagamento di alcuna tassa o imposta” (così ricorso, pagg. 11 – 12).

Il ricorso è destituito di fondamento.

Si rappresenta. previamente, quanto segue.

Per un verso, che i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. 24 maezo 2001, n. 89, non si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e segg.

(cfr., Cass. 22.1.2010, n. 1101).

Per altro verso, che la regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92 c.p.c., comma 2): che, a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento Cass. 22.2.2016, n. 3438).

Su tale scorta si ribadisce che la corte distrettuale ha respinto la domanda che C.P. e F.E. hanno inteso spiegare iure proprio, sicchè del tutto ingiustificata è la prospettazione dei ricorrenti secondo cui “nessuna soccombenza reciproca sussiste nel caso di specie – (così ricorso, pag. 8).

Si rappresenta, per altro verso ancora, che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass. 31.1.2014, n. 2149; cfr. altresì Cass. 24.1.2013, n. 1703, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso).

Su tale scorta del tutto ingiustificato è il complesso delle prospettazioni veicolate specificamente con il secondo “profilo” dell’unico motivo addotto.

I premessi rilievi, in ogni caso, valgono ex se a qualificare come del tutto ingiustificati pur gli argomenti formulati con il terzo ed il quarto “profilo”.

Il Ministero della Giustizia non ha, di fatto, svolto difesa alcuna.

Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio.

Si evidenzia che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013) (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016

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