Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21715 del 27/09/2019

Cassazione civile sez. II, 27/08/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 27/08/2019), n.21715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11288-2015 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato CESARE GLENDI

e dall’Avvocato LUIGI MANZI, presso il cui studio a Roma, via

Federico Confalonieri, 5, elettivamente domicilia per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T4 COSTRUZIONI S.A.S. di T.V. E FIGLI, rappresentata e

difesa dall’Avvocato ANDREA TEDESCHI, dall’Avvocato LAURA DI

PIETROPAOLO e dall’Avvocato CLAUDIO DI PIETROPAOLO, presso il cui

studio a Roma, piazza Adriana 15, elettivamente domicilia, per

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

DUEMILA FRUTTA S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato MASSIMO

GRATTOLA e dall’Avvocato MONICA BATTAGLIA, presso il cui studio a

Roma, via Cunfida 20, elettivamente domicilia, per procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 332/2014 della CORTE D’APPELLO DI GENOVA,

depositata il 11/3/2014;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

26/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale della Repubblica, Dott. CARDINO ALBERTO, il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso

incidentale;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato LUIGI MANZI;

sentito, per la controrìcorrente T4 Costruzioni s.a.s., l’Avvocato

ANDREA TEDESCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.A., con atto di citazione notificato l’8/1/2009, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Chiavari, la T4 Costruzioni s.a.s. e la Duemila Frutta s.r.l. e, dopo aver premesso di essere proprietario di alcuni appartamenti siti in (OMISSIS), ubicati in due distinti edifici adiacenti, nonchè di un cortile con sbocco su via (OMISSIS), posto a lato dei predetti edifici, posti l’uno di fronte all’altro, e di un vano interrato, sottostante al civico (OMISSIS), al quale si accede transitando detto cortile, ha dedotto che: – su tale cortile grava una servitù di passo carraio e pedonale a vantaggio di un grande locale magazzino, sito al piano terra dei civici (OMISSIS), di proprietà della s.r.l. Duemila Frutta; – a tale magazzino può accedersi da quattro ingressi muniti di serranda, aperti sulla facciata del civico (OMISSIS) che prospetta su via (OMISSIS), nonchè, transitando nel cortile di proprietà dell’attore, tramite tre ingressi con porte ad ante aperte sullo stesso cortile: il primo ad uso carraio, distinto dal civico (OMISSIS), e gli altri ad uso esclusivamente pedonale, distinti dai civici (OMISSIS); – la servitù gravante sul cortile era esclusivamente esercitata, ha proseguito l’attore, con l’utilizzo dei tre predetti ingressi; – la società T4 aveva concluso con la Duemila Frutta un contratto preliminare di acquisto di porzione di detto magazzino, con la previsione della divisione dell’originario immobile in due distinti locali: uno dotato di quattro ingressi diretti su via (OMISSIS) e destinato ad uso commerciale, l’altro con i tre ingressi sul cortile dell’attore, con la previsione di una nuova destinazione a parcheggio delle auto; – erano in corso le opere di ristrutturazione conseguenti a detta divisione, che prevedevano: 1) l’apertura di un nuovo ingresso pedonale, verosimilmente a vantaggio della porzione ad uso commerciale, affacciante sul cortile dell’attore; 2) la modifica di una già esistente bucatura ad uso luce, sempre affacciante sul cortile dell’attore, tale da renderla passibile di accesso pedonale, verosimilmente destinato ad uscita di sicurezza per la porzione di magazzino destinata alla realizzazione dei box; 3) la trasformazione in carrai dei due ingressi pedonali già esistenti ed affaccianti sul cortile.

L’attore ha dedotto che ognuna di tali innovazioni comportava la costituzione di una nuova servitù a carico del fondo dell’attore o, comunque, un aggravamento della servitù di passo già esistente, e che la modificazione dello stato dei luoghi determinava, inoltre, la violazione dell’art. 1071 c.c., poichè la divisione dell’originario fondo dominante e la costruzione di box per veicoli avrebbero determinato un incremento del transito sul cortile, rendendo altresì più incomodo l’uso a vantaggio degli altri fondi di proprietà attorea.

L’attore ha, quindi, chiesto di accertare l’insussistenza del diritto dei convenuti alla realizzazione delle modifiche indicate, trattandosi di attività non consentite dal titolo costitutivo della servitù ed, in ogni caso, costituenti un illegittimo aggravamento della stessa, oltre al risarcimento dei danni.

Le società convenute, costituendosi in giudizio, hanno contestato le avverse domande.

In particolare, la T4 ha dedotto che le opere in corso non creavano alcun aggravamento della servitù ed assumendo che il titolo costitutivo della stessa non contemplava limitazioni di sorta all’esercizio del passo pedonale e carraio previsto a vantaggio del fondo dominante, e cioè il magazzino.

La Duemila Frutta s.r.l., invece, per un verso, ha evidenziato di essere estranea alle opere afferenti all’immobile di proprietà di T4, già definitivamente acquistato al momento della notifica dell’atto di citazione, e, per altro verso, ha negato l’apertura nella propria porzione immobiliare di un nuovo ingresso pedonale, essendo lo stesso già esistente.

Il tribunale, con sentenza del 12/4/2011, in accoglimento della domanda proposta dall’attore, – ha accertato e dichiarato che la T4 Costruzioni e la Duemila Frutta non hanno il diritto di aprire nuovi ingressi dal fondo di loro proprietà al cortile di proprietà di S.A., nè di modificare quelli esistenti al fine di dell’esercizio della servitù di passo costituita con scrittura privata del 29/9/1971, che prevede una servitù carraie lungo la percorrenza individuata dal civico (OMISSIS) di via (OMISSIS) e due servitù pedonali lungo le percorrenze individuate dai civici (OMISSIS); – ha accertato e dichiarato che la T4 Costruzioni non ha il diritto di rendere transitabile pedonalmente la bucatura ad uso luce già esistente in affaccio sul cortile di proprietà di S.A. nonchè di rendere accessibili carrabilmente i due ingressi, esclusivamente pedonali, individuati dai civici (OMISSIS) di via (OMISSIS); – ha conseguentemente accertato e dichiarato che la Duemila Frutta non ha il diritto di aprire nuovi accessi transitabili di alcun tipo sul cortile di proprietà di S.A. nè di attuare un passaggio pedonale sul predetto cortile attraverso aperture, pur eventualmente esistenti, diverse da quelli attualmente indicate con i civici (OMISSIS).

Il tribunale, infine, ha ordinato alle società convenute la rimessione in pristino e la demolizione delle opere realizzate in violazione di quanto indicato ai punti che precedono.

La T4 e la Duemila Frutta, con distinti atti, rispettivamente notificati il 2/5/2011 e il 10/10/2011, hanno proposto appello.

S.A. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

La corte d’appello, riuniti gli appelli, ha, con la sentenza in epigrafe, parzialmente accolto gli appelli proposti dalla T4 Costruzioni e dalla Duemila Frutta ed ha, per l’effetto, rigettato le domande proposte dall’attore.

La corte, in particolare, per ciò che riguarda l’appello proposto dalla T4, ha ritenuto, per quanto ancora interessa, che, a fronte del “chiaro tenore dell’atto”, dovesse escludersi che le parti, con il titolo costitutivo della servitù, vale a dire l’atto a rogito notaio C. del 29/9/1971, avessero inteso prevedere, “oltre a quella della sosta temporanea”, “ulteriori limitazioni” – “cui non si fa riferimento alcuno” – “all’esercizio della servitù di passaggio carraio e pedonale”, “sia con riguardo all’intensità del transito, sia con riferimento al numero di ingressi al predetto passo, dal magazzino oggetto della compravendita”.

Nell’atto, inoltre, ha aggiunto la corte, non si individuano gli assunti tre accessi e nemmeno si prevede che soltanto l’ingresso dal civico (OMISSIS) abbia la qualità di accesso carraio.

La corte, poi, ha evidenziato che la successiva clausola del contratto, in forza della quale “i venditori riconoscono il diritto alla parte acquirente – e non già a favore del fondo oggetto dell’acquisto – di trasformare le finestre nel muro di via (OMISSIS) in porte, nonchè di aprire altre due porte”, costituisse “una obbligazione personale assunta dai venditori nei confronti dell’acquirente e non già la costituzione di un diritto reale a vantaggio del fondo dominante, poichè con tale clausola le parti hanno proprio inteso escludere – specificando il diritto riconosciuto alla sola parte acquirente – ciò che con la precedente clausola hanno invece espressamente previsto utilizzando anche il termine tecnico di servitù – chiarendo in quella previsione contrattuale precedente la creazione di un peso a carico della corte rimasta in proprietà dei venditori ed a favore del magazzino”. Neppure da tale clausola, pertanto, ha osservato la corte, “è dato evincere alcuna limitazione del diritto di servitù, essendo in essa contenuta una mera obbligazione personale”.

Nè, ha proseguito la corte, le freccette rappresentate nella planimetria allegata possono essere inequivocamente ritenute come indicative di una limitazione a tre accessi al cortile in questione dal magazzino: “il titolo costitutivo della servitù prevede un globale diritto di passo sull’area e non richiama la planimetria allegata al fine di determinarne la portata”, potendo a tale planimetria al più essere riconosciuta una mera valenza descrittiva dello stato dei luoghi, tanto più che “le tre freccette ivi rappresentate non paiono identificare con precisione un numero massimo di accessi, essendo prive di chiara relazione con l’atto in cui non sono menzionate”.

Le modifiche o le integrazioni degli accessi preesistenti, pertanto, ha concluso la corte, non implicano la costituzione di una nuova servitù sull’area in questione in favore degli immobili di proprietà della T4 e della Duemila Frutta: in particolare, “l’apertura di ulteriori accessi al cortile in questione è un elemento neutro rispetto alla volontà delle parti, poichè dall’atto del 29/9/1971 si evince un ampio diritto di passaggio pedonale e carraio sull’area in oggetto, a favore del fondo dominante (magazzino), con la sola precisa limitazione della sosta temporanea, limitazione che in quanto voluta espressamente dalle parti è stata compiutamente indicata in contratto” e “ciò induce ulteriormente a ritenere esclusa la volontà comune dei contraenti quanto alla previsione di altri limiti all’esercizio della servitù”.

Del resto, ha proseguito la corte, anche se risultasse provato che, nel passato, gli accessi al cortile dal magazzino fossero più di tre, ciò non acquisterebbe valenza decisiva, dovendosi, al fine di determinare il contenuto e l’ampiezza della servitù, fare riferimento all’atto del 29/9/1971, che, al riguardo, è chiaro ed esaustivo. In ogni caso, ha aggiunto la corte, i testimoni escussi non sono stati sufficientemente chiari ed univoci.

La corte, in definitiva, tanto più a fronte di tali non univoci riscontri, ha ritenuto che “il titolo costitutivo della servitù di passaggio sull’area in oggetto ne indica chiaramente il suo ampio contenuto”.

Quanto, invece, all’aggravamento della servitù costituita con il titolo in precedenza esaminato, la corte ha rilevato come, alla luce delle concordanti deposizioni di due testimoni ( B.B. e Si. M. C.), sia risultato dimostrato che il transito di veicoli e di persone nel passo per cui è causa era intenso negli anni 80-90 ed, in particolare, quando il locale magazzino era utilizzato dalla ditta Silca: i testimoni, infatti, hanno riferito che i dipendenti erano circa quaranta, con venti persone fisse all’interno, e in estate anche dieci in più, e che i clienti e i rappresentanti entravano nel magazzino da via (OMISSIS) con i veicoli, con “un costante andirivieni di macchine”. Ora, ha proseguito la corte, la maggiore intensità di transito su una strada privata, soggetta a servitù di passaggio a favore di altro immobile, non determina di per sè l’aggravamento o la maggiore incomodità dell’esercizio della servitù precostituita sul fondo servente, per cui incombe agli interessati dimostrare l’avvenuta alterazione in loro danno dell’esercizio della servitù: nel caso di specie, invece, l’attore non ha fornito la prova dell’aggravio dell’esercizio della servitù in conseguenza della ristrutturazione e della divisione del magazzino; nè tale prova, ha concluso la corte, può essere fornita per il tramite della consulenza tecnica d’ufficio che lo stesso ha chiesto, trattandosi di una richiesta chiaramente esplorativa e suppletiva dell’onere probatorio che incombe sull’attore.

La corte, inoltre, ha ritenuto che, nei limiti delle osservazioni esposte, anche l’appello incidentale proposto dalla Duemila Frutta fosse meritevole di accoglimento: al riguardo, dopo aver evidenziato come la documentazione prodotta aveva dimostrato che la T4 Costruzioni ha acquistato, in data antecedente all’introduzione del giudizio di primo grado, porzione dell’originario magazzino di proprietà della Duemila Frutta, la corte ha rilevato che, in tema di servitù prediali, il principio della cosiddetta indivisibilità di cui all’art. 1071 c.c. comporta, nel caso di frazionamento del fondo dominante, la permanenza del diritto su ogni porzione del medesimo, salve le ipotesi di aggravamento della condizione del fondo servente; poichè tale effetto si determina ex lege, al riguardo non occorre alcuna espressa menzione negli atti traslativi attraverso i quali si determina la divisione del fondo dominante, sicchè nel silenzio delle parti – in mancanza di specifiche clausole dirette ad escludere o limitare il diritto – la servitù continua a gravare sul fondo servente, nella medesima precedente consistenza, a favore di ciascuna di quelle già componenti l’originario unico fondo dominante, ancora considerato alla stregua di un unicum al fini dell’esercizio della servitù, ancorchè le singole parti appartengano a diversi proprietari, a nulla rilevando se alcune di queste, per effetto del frazionamento, vengano a trovarsi in posizione di non immediata contiguità con il fondo servente.

La corte, in conclusione, ha ritenuto che, con riferimento all’immobile di proprietà della Duemila Frutta, in seguito alla divisione del magazzino, permane, in difetto di prova contraria, il diritto di servitù di passo pedonale e carrabile sul cortile in questione, anche a vantaggio della porzione del medesimo locale -magazzino, attribuita in proprietà alla società Duemila Frutta.

La corte, quindi, alla luce dei dati conoscitivi acquisiti, ha provveduto ad accogliere gli appelli proposti dalle società convenute e, per l’effetto, a rigettare le domande proposte dall’attore.

La corte, infine, ha ritenuto che la “particolare natura della causa e delle questioni trattate” costituissero gravi ragioni per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

S.A., con ricorso notificato il 27/4.4/5/2015, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito, con controricorso notificato in data 4/6/2015, la s.a.s. T4 Costruzioni e, con controricorso notificato il 13/6/2015, la s.r.l. Duemila Frutta, la quale ha anche proposto, per un motivo, ricorso incidentale.

Le controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., anche in riferimento agli artt. 1058,1063,1064,1065,1067 e 1071 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la negatoria servitutis che l’attore aveva proposto sul rilievo che il titolo delle servitù di passo, rappresentato dall’atto a rogito notaio C. del 29/9/1971, doveva essere interpretato nel senso che lo stesso non conterrebbe alcuna limitazione in ordine agli ingressi preesistenti, per cui le modifiche e le integrazioni degli stessi non comporterebbero costituzione di nuova servitù, non prevista dal predetto titolo, sull’area per cui è causa a favore degli immobili di proprietà di T4 e Duemila Frutta. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha violato o falsamente applicato gli artt. 1362 e 1363 c.c.: a) innanzitutto, lì dove ha ravvisato, sulla base del chiaro tenore dell’atto, l’esistenza di un ampio diritto di passaggio pedonale e carraio sull’area in oggetto o, addirittura, di un globale diritto di passo sull’area, facendo da ciò solo derivare l’esclusione che le parti abbiano inteso prevedere ulteriori limitazioni all’esercizio della servitù di passaggio carraio e pedonale, oltre a quella della sosta temporanea, e ciò sia con riguardo all’intensità del transito, sia con riferimento al numero di ingressi al predetto passo dal magazzino oggetto della compravendita, limitazioni cui non si fa riferimento alcuno: in realtà, ha osservato il ricorrente, la regola fondamentale dell’interpretazione è la ricerca della comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole per cui l’interprete, pur dovendo muovere dal testo del contratto, deve verificare se questo sia coerente con la causa del contratto, con le parti restanti del contratto e con la condotta delle parti; la sentenza impugnata, invece, ha proseguito il ricorrente, dopo aver rilevato il senso letterale delle parole, con riferimento al chiaro tenore dell’atto, ha arrestato le proprie indagini ritenendo evidentemente superfluo ogni approfondimento sulla comune intenzione delle parti circa le limitazioni all’esercizio della servitù, che ha, infatti, escluso sulla base della sola affermazione del chiaro tenore letterale dell’atto; al contrario, se avesse approfondito, come la norma impone, l’indagine della comune intenzione delle parti, la corte non avrebbe potuto fare a meno di constatare come la clausola del contratto, nella parte in cui ha assoggettato il “distacco uso passaggio” alla servitù attiva di passo, anche con automezzi, con la precisazione che il passaggio, essendo utilizzato anche dai venditori per accedere alle due case ed ai fondi interrati delle stesse, deve sempre rimanere libero e sgombro di cose e persone e mezzi di trasporto, essendo solo permessa la momentanea sosta per carico e scarico, lungi dall’esprimere una illimitata volontà dei contraenti di assoggettare il distacco a servitù di passo pedonale e carraio a favore del fondo dominante, individua una volontà limitativa, indicandone la ragione, dovuta al passaggio per lo stesso proprietario del distacco per accedere ad altre sue proprietà confinanti e sottostanti al fondo dominante: ed infatti, ha proseguito il ricorrente, il fatto che fosse consentitala momentanea sosta per carico e scarico sul cortile assoggettato a servitù avrebbe dovuto indurre a ritenere che vi fossero limiti e divieti ad accedere con veicoli all’interno del piano terreno; b) in secondo luogo, lì dove, con riguardo alla clausola contrattuale che ha previsto la facoltà per gli acquirenti del piano terra dello stabile di trasformare le finestre sul muro di via (OMISSIS) in porte nonchè di aprire una porta nel punto evidenziato in planimetria dalle lettere R-S ed una porta nel dente spigolo che nella planimetria è indicato dalle lettere V-D prospiciente l’ingresso carraio, ha escluso che, con tale clausola, fosse stata prevista una limitazione al diritto di servitù: e ciò sul rilievo che, parlandosi di venditori che riconoscono il diritto alla parte acquirente e non la servitù in favore del fondo acquistato, la clausola avrebbe riconosciuto agli acquirenti solo un diritto personale e non un diritto reale, fornendo, così, un’interpretazione labilmente ancorata solo al nomen iuris, senza il minimo approfondimento sulla comune intenzione delle parti e senza valutare, in violazione dell’art. 1363 c.c., la clausola nel suo complesso la quale, in effetti, attribuendo la possibilità di trasformare finestre in porte ma solo per le bucature aperte sul muro di via (OMISSIS) nonchè la possibilità di aprire nuove porte ma solo in posizioni ben individuate, rileva ai fini della individuazione della comune intenzione delle parti che, sotto questo profilo, non è stata certamente quella di consentire una sorta di globale apertura di accesso illimitato dell’immobile dall’esterno, risultando per contro specificamente previsti i varchi d’ingresso all’immobile stesso; c) in terzo luogo, nella parte in cui non ha dato rilievo, ai fini interpretativi, alle freccette rappresentate nella planimetria allegata, escludendo che le stesse possano essere indicative di una limitazione a tre accessi al cortile de quo dal magazzino in quanto prive di una chiara relazione all’atto in cui non sono menzionate: dando, in tal modo, rilievo al solo dato formale della mancanza di un esplicito richiamo alle freccette nel contesto dell’atto, senza in alcun modo approfondire quale fosse la comune intenzione delle parti la quale, invece, appare univocamente quella di limitare gli accessi secondo le indicazioni contenute nella planimetria allegata all’atto notarile, firmata dalle parti, dal tecnico e dal notaio e non già consentire una indiscriminata libertà di accessi che costituisce l’erroneo risultato interpretativo cui è pervenuta la corte di merito; la corte, peraltro, non ha tenuto conto che, ai fini dell’interpretazione complessiva delle clausole, occorre anche fare riferimento alle risultanze dei documenti tecnici allegati al contratto i quali evidenziano la comune intenzione delle parti di specificare, proprio attraverso la planimetria allegata al contratto e sottoscritta dalle parti, tutti i e solo gli accessi all’immobile costituente il fondo dominante, indicandone anche la natura e in particolare individuando come passo carraio solo il primo dei tre varchi segnati tra il fondo ora di proprietà di S. e quello della società T4 e Duemila Frutta; d) in quarto luogo, nella parte in cui non ha considerato che, per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione della contratto: la corte, infatti, prendendo in considerazione le deposizioni testimoniali assunte nel corso del giudizio di primo grado, non ha tenuto conto che dette deposizioni, nonostante alcune insufficienze, sono concordi nel dire che dei tre accessi del cortile di proprietà del ricorrente al fondo dominante della società, solo uno era carrabile mentre gli erano pedonali, come documentalmente e fotograficamente dimostrato, stante la presenza di uno scalino di 90 cm. Le parti, quindi, dopo la stipula del contratto del 29/9/1971, si sono comportate, quanto agli accessi, proprio in conformità a quanto risulta dalle indicazioni fornite dalla planimetria allegata all’atto, accreditando, in via interpretativa, l’esistenza e non l’inesistenza di precisi limiti all’accesso al fondo dominante dal cortile del ricorrente; e) infine, nella parte in cui ha totalmente trascurato di tener conto di una terza clausola contenuta nell’atto del 29/9/1971, la quale aveva stabilito che il passaggio attraverso il piano fondi dei civici (OMISSIS) ai fondi adiacenti era contrattualmente previsto come pedonale, avendo, piuttosto, previsto l’accesso carraio soltanto dall’ingresso civico (OMISSIS), mentre i fondi adiacenti avevano un ingresso carraio da altre numerose entrate.

2. Il motivo è infondato. Rileva la Corte che, in generale, l’interpretazione di un atto negoziale costituisce un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del cd. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione vigente ratione temporis, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 c.c. e ss. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.; Cass. n. 7927 del 2017). Costituisce, in effetti, principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte quello per cui, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti (Cass. n. 7927 del 2017, in motiv.), che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e ss. ovvero sul vizio (nella specie, però, non invocato dal ricorrente) di motivazione nei limiti previsti dal vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 23701 del 2016, in motiv.). Nel caso di specie, come visto, la corte d’appello, a fronte del “chiaro tenore dell’atto”, ha ritenuto che le parti, attraverso la stipulazione del titolo costitutivo della servitù, vale a dire l’atto a rogito notaio C. del 29/9/1971, non avessero inteso prevedere, “oltre a quella della sosta temporanea”, “ulteriori limitazioni”, “cui non si fa riferimento alcuno”, “all’esercizio della servitù di passaggio carraio e pedonale”, “sia con riguardo all’intensità del transito, sia con riferimento al numero di ingressi al predetto passo, dal magazzino oggetto della compravendita”. Nè, ha aggiunto la corte, l’atto ha provveduto a individuare gli assunti tre accessi e nemmeno che soltanto l’ingresso dal civico (OMISSIS) abbia la qualità di accesso carraio. La corte, poi, ha evidenziato che neppure la successiva clausola del contratto, in forza della quale “i venditori riconoscono il diritto alla parte acquirente… di trasformare le finestre nel muro di via (OMISSIS) in porte, nonchè di aprire altre due porte”, può essere invocato per ritenere la sussistenza di limiti contrattuali all’esercizio del diritto di servitù, “essendo in essa contenuta una mera obbligazione personale”: secondo la corte, infatti, tale clausola ha costituito “una obbligazione personale assunta dai venditori nei confronti dell’acquirente e non già la costituzione di un diritto reale a vantaggio del fondo dominante, poichè con tale clausola le parti hanno proprio inteso escludere – specificando il diritto riconosciuto alla sola parte acquirente – ciò che con la precedente clausola hanno invece espressamente previsto – utilizzando anche il termine tecnico di servitù – chiarendo in quella previsione contrattuale precedente la creazione di un peso a carico della corte rimasta in proprietà dei venditori ed a favore del magazzino”. Nè, ha proseguito la corte, le freccette rappresentate nella planimetria allegata possono essere inequivoca mente ritenute come indicative di una limitazione a tre accessi al cortile in questione dal magazzino, rilevando che “il titolo costitutivo della servitù prevede un globale diritto di passo sull’area e non richiama la planimetria allegata al fine di determinarne la portata”, potendo a tale planimetria al più essere riconosciuta una mera valenza descrittiva dello stato dei luoghi, tanto più che “le tre freccette ivi rappresentate non paiono identificare con precisione un numero massimo di accessi, essendo prive di chiara relazione con l’atto in cui non sono menzionate”. Del resto, ha proseguito la corte, anche se risultasse provato che, nel passato, gli accessi al cortile dal magazzino fossero più di tre, ciò non acquisterebbe valenza decisiva, dovendosi, al fine di determinare il contenuto e l’ampiezza della servitù, fare riferimento all’atto del 29/9/1971, che, al riguardo, è chiaro ed esaustivo. In ogni caso, ha aggiunto la corte, i testimoni escussi non sono stati sufficientemente chiari ed univoci. La corte, quindi, tanto più a fronte di tali non univoci riscontri, ha ritenuto che “l’apertura di ulteriori accessi al cortile in questione è un elemento neutro rispetto alla volontà delle parti, poichè dall’atto del 29/9/1971 si evince un ampio diritto di passaggio pedonale e carraio sull’area in oggetto, a favore del fondo dominante (magazzino), con la sola precisa limitazione della sosta temporanea, limitazione che in quanto voluta espressamente dalle parti è stata compiutamente indicata in contratto” e “ciò induce ulteriormente a ritenere esclusa la volontà comune dei contraenti quanto alla previsione di altri limiti all’esercizio della servitù”. Ritiene la Corte che l’interpretazione del contratto che il giudice di merito ha fornito nella sentenza impugnata risulta senz’altro conforme alle norme che presiedono all’interpretazione del contratto e non è, quindi, censurabile per violazione di tali disposizioni. Risponde, in effetti, ad un orientamento consolidato il principio per cui, in sede di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate (Cass. n. 7927 del 2017, in motiv.), fermo restando che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale: il giudice, infatti, non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto (Cass. n. 7927 del 2017, in motiv.; Cass. 23701 del 2016, in motiv.). Peraltro, sia pur all’indicata condizione, tutte le volte in cui il canone fondato sul significato letterale delle parole, previsto dall’art. 1362 c.c., comma 1, è sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente e definitivamente, conclusa (cfr. Cass. n. 5595 del 2014; Cass. n. 9786 del 2010). Stando così le cose, ritiene la Corte che l’interpretazione del contratto che il giudice di merito ha fornito nella sentenza impugnata risulta senz’altro conforme alle norme che presiedono all’interpretazione del contratto e non è, quindi, censurabile per violazione delle disposizioni, come in precedenza ricostruite, degli artt. 1362 e 1363 c.c.. Nessun addebito, in effetti, può muoversi alla sentenza impugnata la quale, invero, tenendo conto della complessiva regolamentazione contenuta nel contratto oggetto del suo esame, non ha affatto limitato l’interpretazione dello stesso con esclusivo riguardo alla lettera di una singola clausola, avendo, piuttosto, esteso l’area della propria indagine ermeneutiche all’intero contenuto del regolamento negoziale, provvedendo a ricostruire la volontà delle parti per come fatta palese proprio con il ricorso ai criteri di interpretazione sistematica del testo al suo esame. D’altra parte, “per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 27136 del 2017; Cass. n. 6125 del 2014).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1058,1063,1064,1065,1067 e 1071 c.c. nonchè l’omesso esame circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda con la quale l’attore, denunciando l’aggravamento delle servitù gravanti sul cortile di sua proprietà in forza dell’atto del 29/9/1971, aveva dedotto, quali fatti costitutivi di siffatti aggravamenti, tanto l’immutazione stessa degli accessi al fondo dominante dal cortile di proprietà dell’attore, quanto l’esecuzione di lavori di ristrutturazione nell’immobile ad uso magazzino al piano terra dei civici (OMISSIS), con cambio di destinazione d’uso, con l’esecuzione, in particolare, di un frazionamento dell’unità immobiliare distinta dai civici 30, (OMISSIS) in due distinte unità: una, costituita da porzione di detto locale e destinata ad essere mantenuta ad uso commerciale, con accesso dagli ingressi sulla facciata del civico (OMISSIS) con sbocco diretto su via (OMISSIS); l’altra costituita dalla residua porzione del locale, retrostante alla prima, con ingressi aventi sbocco sul cortile di proprietà dell’attore, per la quale era prevista la destinazione ad uso parcheggio auto, con il conseguente incremento del flusso veicolare ed anche pedonale sul cortile dell’attore di intensità ben maggiore di quella prevista dalla scrittura del 29/9/1971 e con evidente pregiudizio per il transito pedonale e carraio sullo stesso, sia per il raggiungimento degli ingressi degli edifici ai civici (OMISSIS), dove sono collocate numerose unità immobiliari dell’attore, sia per l’accesso al piano fondi nel vano interrato del civico 38, anch’esso per la gran parte di proprietà dell’attore. La corte ha rigettato la domanda sul rilievo che la maggiore intensità di transito su una strada soggetta a servitù di passaggio non determina di per sè l’aggravamento o la maggiore incomodità dell’esercizio della servitù e che l’attore non aveva fornito la prova dell’aggravio dell’esercizio della servitù in conseguenza della ristrutturazione e della divisione del magazzino. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte ha violato le norme indicate, a partire dall’art. 1067 c.c., il quale prevede che il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente, nel senso che determinano un’intensificazione del peso gravante sul fondo tale da rendere maggiore, rispetto a quanto originariamente previsto, il sacrificio imposto sul fondo, avendo riguardo non solo all’opera in sè, ma anche alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente in conseguenza tanto dei pregiudizi attuali, quanto di quelli potenziali connessi e prevedibili. E ciò vale, ha aggiunto il ricorrente, anche se il fondo dominante viene diviso poichè, in tal caso, a norma dell’art. 1071 c.c., la servitù è dovuta a ciascuna porzione, sempre che non si renda più gravosa la condizione del fondo servente. La corte d’appello, invece, si è limitata ad affermare che l’intensificazione del traffico di per sè non determina un aggravio della servitù di passaggio, senza fare alcuno specifico riferimento al caso concreto e senza neppure porsi il problema della possibilità che tutte le opere poste in essere dalle società potessero comportare un passaggio indiscriminato sul fondo servente con il relativo aggravamento della servitù preesistente. La corte, inoltre, così facendo, ha anche omesso l’esame circa un fatto assolutamente decisivo al fine di accertare in concreto la sussistenza del denunciato aggravamento della servitù, per il giudizio, vale a dire la denunciata destinazione di una porzione dell’immobile ad uso parcheggio auto, con il conseguente incremento del flusso veicolare ed anche pedonale sul cortile dell’attore, neppure parlando di autorimessa, posti auto, box e parcheggi.

3. Il motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, non si confronta, a ben vedere, con la ratio della decisione impugnata la quale, infatti, a fronte delle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio, si è limitata ad affermare che l’attore non avesse fornito la prova che la ristrutturazione e della divisione del magazzino avessero determinato l’aggravio, ai suoi danni, dell’esercizio della servitù. Questa Corte, del resto, ha più volte affermato che la maggiore intensità di transito su una strada privata, soggetta a servitù di passaggio a favore di altro immobile, non determina di per sè l’aggravamento o la maggiore incomodità dell’esercizio della servitù precostituita sul fondo servente e che, pertanto, incombe agli interessati dimostrare l’avvenuta alterazione in loro danno dell’esercizio della servitù (Cass. n. 14015 del 2005; Cass. n. 11661 del 2018, in motiv.). Se, dunque, il mutamento di destinazione o la trasformazione del fondo che fruisce della servitù di passaggio determina sul fondo servente un maggior traffico a causa del più elevato numero di persone che vengono a trovarsi in condizione di esercitare il passaggio, non può affermarsi che l’aggravamento della servitù sia in re ipsa, giacchè l’aggravamento può ritenersi sussistente solo nel caso in cui, tenuto conto dello stato dei luoghi, delle caratteristiche dei due fondi e di tutte le circostanze rilevanti, il transito di un maggior numero di persone risulti realmente dannoso per il fondo servente, e cioè dia luogo ad inconvenienti o molestie che, secondo la comune valutazione, siano economicamente apprezzabili come più gravose e che in precedenza non si verificavano e non erano prevedibili (Cass. n. 1567 del 1972).

Per quanto particolarmente riguarda la identificazione dei bisogni del fondo dominante, qualora l’atto costitutivo non contenga una precisa limitazione, la relativa valutazione deve ispirarsi a normali criteri di prevedibilità (Cass. n. 11661 del 2018). In questa prospettiva, essendo emerso, in punto di fatto, che il transito di veicoli e di persone sul passo per cui è causa era intenso negli anni 80-90, quando, in particolare, il locale magazzino era utilizzato dalla ditta Silca, avendo i testimoni riferito che i clienti e i rappresentanti entravano nel magazzino da via (OMISSIS) con i veicoli, con “un costante andirivieni di macchine”, risulta, allora, evidente che il flusso veicolare conseguente alla destinazione di una parte del magazzino in autorimessa rientra nel criterio di prevedibilità correttamente inteso, vale a dire in senso generico e oggettivo (Cass. n. 11661 del 2018). Del resto, come si evince dall’art. 1067 c.c., l’innovazione non costituisce di per sè aggravamento della servitù ma solo quando cagiona un apprezzabile pregiudizio, attuale o potenziale, “che rendono più gravosa la condizione del fondo servente” (Cass. n. 11661 del 2018). L’accertamento di tale pregiudizio, da svolgere caso per caso, configura, peraltro, un apprezzamento che, in quanto di fatto, è incensurabile in sede di legittimità, salvo che per vizio della motivazione, nei limiti attualmente consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La sentenza impugnata, infatti, ricade nella formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 quale risulta dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con la L. n. 134 del 2012. Ed è noto che, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), tale disposizione non contempla più il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della decisione circa un punto decisivo, ma una censura del tutto autonoma, che ha riguardo all’omesso esame di un fatto materiale, principale o secondario, risultante dagli atti ed avente carattere decisivo, idoneo a determinare un diverso esito del giudizio con carattere di certezza e non di mera probabilità del giudizio. Sotto questo profilo, il fatto del quale il ricorrente ha denunciato il mancato esame da parte della corte d’appello, vale a dire la destinazione della retrostante porzione del locale, con ingressi aventi sbocco sul cortile di proprietà dell’attore, ad uso parcheggio di auto, con il conseguente incremento del flusso veicolare ed anche pedonale sul cortile dell’attore di intensità ben maggiore di quella prevista dalla scrittura del 29/9/1971, non costituisce, a ben vedere, un fatto che, ai fini che lo stesso ha invocato, sarebbe stato decisivo ai fini dell’accoglimento della sua domanda. D’altra parte, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.), com’è, in effetti, accaduto nel caso in esame: la corte d’appello, infatti, sia pur non in modo espresso, ha inequivocamente esaminato, ai fini della decisione, il fatto, come sopra descritto, che l’attore aveva dedotto in giudizio, lì dove, scrutinando le prove raccolte, ha evidenziato come, già nel passato, il transito di veicoli e di persone sul passo per cui è causa era intenso, con l’ingresso di clienti e rappresentanti nel magazzino con i veicoli ed “un costante andirivieni di macchine”, ed ha, quindi, ritenuto che, a fronte di tali risultanze, l’attore non avesse, appunto, provato che la ristrutturazione e la divisione del magazzino, con la maggiore intensità di transito sulla strada privata conseguente, in ipotesi, alla sua nuova destinazione ad autorimessa, avrebbe determinato l’avvenuta alterazione a suo danno dell’esercizio della servitù in questione.

4.Con l’unico motivo di ricorso incidentale tardivo, la s.r.l. Duemila Frutta, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che, per la particolare natura della causa e delle questioni trattate, sussistevano le gravi ragioni per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, senza, tuttavia, indicare quali sarebbero stati i gravi motivi che avrebbero giustificato la compensazione delle spese di lite dei due gradi di giudizio. La corte, così facendo, ha violato la norma dell’art. 92 c.p.c., la quale, nel testo in vigore al momento della sentenza impugnata, stabiliva che il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese di lite ma solo in caso di soccombenza reciproca o se concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni che devono essere esplicitamente indicate nella motivazione.

5.11 motivo è infondato. Con riferimento al regolamento delle spese, infatti, il sindacato di questa Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 27871 del 2017 in motiv.). La decisione del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, invero, essendo l’espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, a meno che essa non sia accompagnata dalla indicazione di ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (Cass. SU n. 9597 del 1994). In particolare, la decisione di compensare tra le parti le spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, e cioè per la sussistenza di giusti motivi da indicare esplicitamente nella motivazione, è incensurabile in sede di legittimità qualora sia espressamente motivata, com’è in sostanza accaduto nella specie, con riferimento alla peculiarità ed alla complessità delle questioni trattate (Cass. n. 18352 del 2003).

6. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere, quindi, rigettati.

7.Le spese di lite seguono la prevalente soccombenza del ricorrente principale e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto, con riguardo tanto al ricorso principale, quanto al ricorso incidentale, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

la Corte così provvede: rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite che liquida, per ciascuno di essi, nella somma di Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, con riguardo tanto al ricorso principale, quanto al ricorso incidentale, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2019

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