Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21712 del 23/09/2013
Civile Sent. Sez. 3 Num. 21712 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO
SENTENZA
sul ricorso 15805-2007 proposto da:
BANCA ITALEASE S.P.A. 00846180156 in persona del
Responsabile del Settore Recupero Crediti e
Contenzioso Dott. STEFANO SCHIAVI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA SPALLANZANI 22/A, presso lo
studio dell’avvocato BUSSOLETTI MARIO, che la
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rappresenta e difende unitamente agli avvocati
FATTORI ANDREA, GIOVANARDI CARLO ALBERTO giusta
delega in atti;
– ricorrente contro
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Data pubblicazione: 23/09/2013
MINISTERO DEI TRASPORTI – GESTIONE GOVERNATIVA DEI
SERVIZI PUBBLICI DI NAVIGAZIONE SUI LAGHI MAGGIORE,
DI GARDA E DI COMO 00802050153 in persona del Gestore
Governativo in carica, domiciliato ex lege in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
– controrícorrente
–
avverso la sentenza n. 610/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 05/03/2007, R.G.N.
2484/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/03/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato CARLO GIOVANARDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
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DELLO STATO, da cui è difeso per legge;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Decidendo sull’appello proposto dalla s.p.a. Factorit avverso
la sentenza del tribunale di Milano – che aveva accolto
l’opposizione ad un decreto ingiuntivo ottenuto dalla
appellante nei confronti dell’opponente Gestione Governativa
intervenuto tra la Factorit e la CNF, a sua volta creditrice
della Gestione in dipendenza di un contratto di appalto per la
costruzione e la fornitura di 4 motonavi la Corte di
appello di Milano lo rigettò (rigettando nel contempo il
gravame incidentale della Gestione Laghi), ritenendo
opponibile al cessionario, da parte del debitore ceduto, le
eccezioni attinenti alla fonte negoziale del credito (così
come quelle relative a fatti posteriori alla nascita del
rapporto obbligatorio di cui il ceduto al momento della
cessione non abbia avuto conoscenza) alla luce del principio
di non deteriorabilità della posizione del debitore ceduto per
effetto della cessione onde: la legittimità della
contestazione di inadempimento di cui alla missiva 28.10.1999
inviata alla CNF il 28.10.1999 e della conseguente risoluzione
(non consensuale) del contratto ex artt. 340 e 341
dell’allegato F)
legge 2248/1865; la infondatezza della
pretesa dell’appellante di negare rilevanza ai fatti
successivi al 4.5.1999, risultando i mancati pagamenti della
Gestione Laghi giustificati fin dal mese di giugno 1999; la
impredicabilità di qualsivoglia violazione, da parte
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Laghi in forza di un contratto di cessione di credito
dell’appellata, dell’obbligo generale di buona fede, in realtà
riconducibile alla sola condotta della cedente.
Per la cassazione della sentenza la Banca Italease s.p.a. (già
Factorit) ha proposto ricorso illustrato da 5 motivi.
Resiste con controricorso la Gestione Governativa laghi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione di norme di diritto (artt. 1460, 1453, 1662 c.c.,
340 legge 2248/1865 all. F) in relazione alla legittimazione
ai rimedi risolutori in capo alla sola parte che non sia
inadempiente.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.,
ratione
temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
Dica la Corte se, in relazione agli artt. 1460, 1453, 1662
c.c. e 340 L. 20 marzo 1865 n. 2248 al. F), nei contratti di
appalto di opere pubbliche regolati dalla legge 2248/1865, la
P.A. – che sia per sua parte inadempiente all’obbligo di
pagamento della rata del corrispettivo già maturata, scaduta e
certificata – non sia legittimata ad eccepire l’inadempimento
dell’appaltatore o a dichiarare la risoluzione del contratto
per inadempimento dell’appaltatore allorché tale inadempimento
sia successivo all’inadempimento della stessa P.A..
Il motivo non ha pregio.
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La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale
adottato dalla corte territoriale che, dopo aver puntualmente
ricostruito la cronologia dei fatti,
(ff. 11-13 della
sentenza oggi impugnata), ha condivisibilmente concluso nel
senso del manifestarsi, fin dal giugno del 1999, di una
ma in realtà già prodromica) di un inadempimento legittimante
la proposizione della relativa eccezione da parte del
committente (come puntualmente verificatosi con la missiva del
luglio 1999). La successiva evoluzione della vicenda in un
esito di totale (e non contestato) inadempimento delle
obbligazioni da parte dell’appaltatore, coincidente con la
fisica
scomparsa delle
chiglie dei
natanti
(la cui
impostazione costituiva il presupposto per l’esazione della
prima rata di pagamento, come puntualmente verificatosi in
sede di controllo il 4.5.1999), aveva poi comportato, secondo
la corretta ricostruzione della corte milanese, la risoluzione
del contratto ad opera della committente ai sensi dei
ricordati artt340 e 341 della legge 2248/1865, senza che
potesse trovare ingresso la pretesa dell’appellante di negare
rilevanza a tutti i fatti successivi al maggio del 1999.
Con il secondo motivo,
si denuncia contraddittoria e illogica
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, dato dall’anteriorità della mora della gestione
rispetto al contestato inadempimento di CNF.
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situazione (definita prudenzialmente in sentenza di “stasi”,
La censura è corredata dalla seguente indicazione del fatto
controverso:
Ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si precisa che la
contraddittoria e illogica motivazione della sentenza della
corte di appello di Milano, censurata nel motivo, attiene alla
in data 4 maggio 1999, ora in data 5 luglio 1999) e alla
collocazione
cronologica
di
tale mora
rispetto alla
sospensione dei lavori di CNF, occorsa a fine giugno 1999.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Al di là della sua infondatezza nel merito (a fronte di una
situazione di definitivo e riconosciuto inadempimento del
debitore, portata per di più a conoscenza del cessionario,
difatti, nessun pagamento poteva dirsi dovuto, compreso quello
relativo al primo rateo del prezzo che, ove corrisposto,
avrebbe dovuto essere
ipso facto restituito) – esso risulta,
difatti, inammissibile in rito, denunciandosi con esso, nella
sostanza, un errore di percezione di date (4 maggio 1999 / 5
luglio 1999) afferenti alla collocazione cronologica della
mora rispetto alla sospensione dei lavori da parte
dell’appaltatore – errore di percezione che avrebbe dovuto
costituire oggetto di altra e diversa impugnazione, rispetto
al ricorso per cassazione.
Con il terzo motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 ss., 1374 c.c. in relazione alla
previsione contrattuale di un unico termine finale per la
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decorrenza della mora della Gestione (indicata dalla Corte ora
consegna
delle
opere
appaltate
e
alla
conseguente
impossibilità di ricorrere a strumenti interpretativi o di
integrazione
del
contratto
per
stabilire
in
capo
all’appaltatore termini intermedi per il progressivo
avanzamento delle fasi di lavorazione, non previsti dalla
e comunque
omessa e illogica motivazione su un punto
essenziale della decisione, per difetto di indicazione delle
ragioni che hanno indotto la corte di appello a discostarsi
dal dato letterale del contratto e ad integrarlo.
La censura è corredata dal seguente quesito:
Dica la corte se, in relazione agli artt. 1362 ss., 1374 c.c.,
ove un contratto di appalto di opere pubbliche regolato dalla
legge n. 2248 del 1865 preveda chiaramente un termine unico e
finale per il definitivo compimento e la consegna delle opere,
considerando l’avanzamento dei lavori per la sola maturazione
delle rate del corrispettivo, non può farsi ricorso a
strumenti di interpretazione o integrazione del contratto per
stabilire in capo all’appaltatore termini intermedi per il
progressivo avanzamento delle fasi di lavorazione, non
previsti nell’espressa pattuizione delle parti.
Sempre ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si precisa ancora
che,
in ogni caso, vi è omessa e illogica motivazione su un
punto essenziale della decisione resa dalla corte di appello
di Milano, in difetto di indicazione delle ragioni che hanno
indotto il giudice di merito a ritenere il testo del contratto
di appalto incerto, insufficiente e suscettibile di
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parti;
integrazione, e a stabilire in capo all’appaltatore termini
intermedi per l’avanzamento dei lavori non previsti dalle
parti allorché il primo stato di avanzamento lavori era già
stato certificato ed era decorso meno del 25% del tempo
complessivo a disposizione.
La puntuale ricostruzione operata in fatto dalla corte
territoriale, difatti, rende la doglianza così come proposta
del tutto eccentrica rispetto al
decisum di appello, poiché
l’inadempimento dell’appaltatore, oggetto di sua precisa ed
espressa ammissione, rende ultronee le ulteriori
considerazioni svolte in tema di tempo dell’adempimento e
scadenza dell’obbligazione di pagamento, atteso che gli
eventuali acconti nei quali normalmente si articola il
pagamento del corrispettivo degli appalti pubblici assumono
carattere provvisorio e sono suscettibili di restituzione ove
il relativo diritto dell’appaltatore si estingua (come nella
specie) per fatto e colpa sua propria. Correttamente la Corte
di merito, evocando il disposto della lex specialis di cui ai
più volte ricordati artt. 340 e 341, ha conseguentemente
ritenuto non dovuto alcun compenso, in difetto di “lavori
eseguiti regolarmente” (come previsto dalle norme dianzi
citate).
Ne consegue, come correttamente opinato in sede di merito, la
irrilevanza della pretesa maturazione del credito da parte
dell’appaltatore (derivante dalla verifica compiuta, nel
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Il motivo non ha pregio.
maggio
del
1999,
sulla
impostazione
paralizzata dal sopraggiunto,
delle
chiglie),
definitivo e riconosciuto
inadempimento di quest’ultimo.
La eccezione di inadempimento, legittimamente opponibile
all’impresa sin dal momento previsto per il pagamento del
(rectius, avrebbe dovuto,
stante la natura pubblicistica dell’appalto) essere opposta al
cessionario del credito, per di più informato dell’evoluzione
del rapporto negoziale.
Con 11 quarto motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione degli artt. 1460, 1453, 1457, 1662 c.c., 340, 341
L. 2248/1865 all.
F) in relazione al necessario riferimento al
termini essenziali previsti dal contratto, ai fini della
legittima eccezione di inadempimento o della risoluzione del
contratto per inadempimento.
La censura (che viene svolta in via subordinata e residuale
rispetto al precedente) è corredata dal seguente quesito:
Dica la corte se, in relazione agli artt. 1460, 1453, 1457,
1662 c.c.
e agli artt. 350, 340 e 341 della legge 2248/1865
all. F), nel contratti di appalto di opere pubbliche regolati
dalla legge 2248/1865 la P.A. è legittimata a opporre
all’appaltatore l’eccezione di inadempimento o a dichiarare la
risoluzione del contratto per inadempimento se l’appaltatore
non ha rispettato i termini essenziali per l’esecuzione delle
opere che siano previsti tassativamente dal contratto;
diversamente, la semplice stasi del lavori – in pendenza del
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primo acconto di prezzo, ben poteva,
termine contrattuale per il relativo compimento
non
legittimano la P.A. ai citati rimedi sinallagmatici e
risolutori, consentendo solo l’affidamento dei lavori a terzi,
con maggiori spese e rischi a carico dell’appaltatore
originario (art. 341 L. 2248/1865) sempre che sia stata
compiute e al tempo residuo disponibile.
Il motivo è inammissibile, prospettandosi con esso, per la
prima
volta
in
questa
sede,
una
questione
(quella
dell’affidamento dei lavori a terzi) mai oggetto di
discussione nelle precedenti fasi del giudizio, senza che la
ricorrente indichi, in spregio al principio di autosufficienza
del ricorso, in quale atto del giudizio di merito la questione
sia stata tempestivamente introdotta e illegittimamente
pretermessa.
Con il quinto motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione dell’art. 1264 c.c. in relazione all’attenuazione
del principio di “non deteriorabilità della posizione del
creditore ceduto” in presenza di elementi di rafforzamento
dell’autonomia del credito ceduto rispetto al rapporto
sostanziale sottostante.
La censura è corredata dal seguente quesito:
Dica la Corte se, in relazione all’art. 1264 c.c., nella
cessione del credito, specie nell’ambito di un rapporto di
factoring, il principi di non deteriorabilità della posizione
del debitore ceduto (che consente a quest’ultimo di opporre al
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accertata la rilevanza della stasi rispetto alle opere già
cessionario tutte le eccezioni opponibili anche al cedente,
compreso l’inadempimento contrattuale sopravvenuto alla
cessione) può e deve essere attenuato se ricorrono, in via
congiunta, elementi di rafforzamento dell’autonomia del
credito ceduto rispetto al rapporto sostanziale sottostante,
a) Ripetute e specifiche accettazioni della cessione dei crediti
da parte del debitore ceduto;
b) Espressi riconoscimenti della maturazione del crediti oggetto
di cessione;
c) Consapevolezza in capo al debitore ceduto della causa di
finanziamento
sottesa
dell’affidamento
cessione
alla
ingenerato
del
credito
e
il
presso
cessionario/factor/finanziatore circa la liquidità ed
esigibilità del credito, in seguito alle dichiarazioni di
accettazione della cessione e di riconoscimento del debito;
d)Rilascio di polizze fideiussorie in favore del debitore ceduto
o altre garanzie dell’adempimento contrattuale del cedente, da
escutersi da parte del debitore ceduto in caso di sopravvenuto
diritto alla ripetizione delle rate già corrisposte (ad
esempio, per l’inadempimento contrattuale del cedente)
Con conseguente non opponibilità al cessionario dell’eccezione
d’inadempimento
e
risoluzione
della
del
contratto
successivamente invocate dalla cedente.
Sempre ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si precisa ancora
che,
in ogni caso, vi è omessa motivazione su elementi
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quali:
essenziali al fini della decisione resa dalla corte di appello
di Milano in difetto della considerazione delle ripetute e
specifiche accettazioni della cessione dei crediti da parte
della Gestione, degli espressi riconoscimenti dei crediti
oggetto della cessione, della consapevolezza in capo alla
dell’affidamento ingenerato in Factorit circa la liquidità ed
esigibilità dei crediti e soprattutto del rilascio di una
polizza fideiussoria in favore della Gestione, da escutersi in
caso si sopravvenuto diritto alla ripetizione delle rate già
corrisposte.
Il motivo, pur suggestivamente argomentato, non può essere
accolto.
Con esso si rappresenta a questa corte un coacervo di
circostanze di fatto la cui rilevanza – per essere del tutto
estrinseche rispetto alla convenzione negoziale in
contestazione – si risolve in un apprezzamento di puro merito
istituzionalmente devolute al giudice dell’appello, senza che
il convincimento da questi espresso – nella specie, esente da
vizi logico-giuridici nell’applicazione del più volte evocato
principio della non deteriorabilità della posizione del
contraete ceduto – possa essere nuovamente oggetto di
rivisitazione da parte di questa corte di legittimità.
Le censure, nel loro complesso, pur formalmente abbigliate
sotto veste di una
(peraltro del tutto genericamente
denunciata) violazione di legge e di un (apparentemente)
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Gestione della causa di finanziamento sottesa alla cessione e
decisivo difetto di motivazione (a sua volta conseguente alla
pretesa inosservanza di criteri di interpretazione
extratestuale), si risolvono, nella sostanza, in una (ormai
del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e
circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.
un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui
all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una
diversa lettura delle risultanze procedimentali così come
accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo
all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché
la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della
scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere
la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in
via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a
fondamento del proprio convincimento e della propria decisione
una circostanza, un fatto, una fonte di prova con esclusione
di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a
scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente
non impredicabili), non incontra altro limite che quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere
peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola
risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione
difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello
per cui l’art. 360 del codice di rito non conferisce in alcun
modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere
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Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte
di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di
converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale
e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal
giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta
l’individuazione delle fonti del proprio convincimento
controllandone la logica attendibilità e la giuridica
concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla
dimostrazione dei fatti in discussione. Il ricorrente, nella
specie, pur denunciando, apparentemente, una violazione di
legge e una deficiente motivazione della sentenza di secondo
grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi
limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità)
sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze
di fatto (ormai cristallizzate
quoad effectum)
sì come emerse
nel corso dei precedenti gradi del procedimento,
così
mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del
giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo
grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il
contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende
processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di
questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora
le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e
per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione
con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove
istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa
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valutando le prove (e la relativa significazione),
fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice
di legittimità.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La disciplina delle spese – che possono per la complessità
delle questioni trattate essere in questa sede compensate –
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio
di cassazione.
Così deciso in Roma, li 7.3.2013
segue come da dispositivo.