Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21711 del 27/10/2016
Cassazione civile sez. lav., 27/10/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 27/10/2016), n.21711
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5179/2011 proposto da:
S.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio degli avvocati PATRIZIA
PELLICCIONI, ALBERTO BUZZI, che la rappresentano e difendono, giusta
delega in atti;
– ricorrente –
contro
UNICREDIT S.P.A., C.F. (OMISSIS), (già BANCA DI ROMA S.P.A.), in
persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIA F. MARCHETTI 35, presso lo studio
dell’avvocato AUGUSTO CATI, che la rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9005/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 04/03/2010 R.G.N. 5151/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l’Avvocato CATI AUGUSTO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 4.3.10 la Corte d’appello di Roma, in totale riforma della sentenza n. 10769/06 del Tribunale capitolino, ha rigettato la domanda di S.A. intesa ad ottenere la condanna di Banca di Roma S.p.A., ora UNICREDIT S.p.A., alle differenze di TFR conseguenti all’inserimento nella relativa base di computo della voce “premio fedeltà”.
Per la cassazione della sentenza ricorre S.A. affidandosi a due motivi.
UNICREDIT S.p.A. resiste con controricorso.
Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg. e art. 2120 c.c. e dell’art. 65 CCNL 11.7.99 per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dalla 1^ alla 3^ delle aziende di credito, nonchè vizio di motivazione a riguardo, per avere la sentenza impugnata trascurato l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui le deroghe convenzionali al principio di omnicomprensività concernente l’individuazione della base di computo del trattamento di fine rapporto devono essere chiare e univoche, mentre nel caso di specie l’interpretazione della clausola contrattuale fornita dalla Corte territoriale era stata ricavata da formulazioni lessicali che solo in modo indiretto e quasi surrettizio potevano intendersi come espressione d’una volontà diversa da quella legale.
Analoga censura viene svolta nel secondo motivo, sotto forma di denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 2 e art. 2120 c.c. e dell’art. 65 cit. CCNL, per avere la gravata pronuncia ignorato il comportamento complessivo tenuto dalle parti collettive nella stipula dei CCNL anteriori e successivi a quello dell’11.7.99, tutti nel senso di rinviare la disciplina delle modalità di calcolo del TFR a quella legale.
2- I due motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono fondati, non ravvisandosi argomenti tali da far superare la costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. n. 24373/15; Cass. n. 23701/15; Cass. n. 16591/14; Cass. n. 6204/10; Cass. n. 9252/08) secondo cui il premio di anzianità (detto anche premio fedeltà), previsto dalla contrattazione collettiva nel settore del credito alla scadenza del venticinquesimo anno di servizio, va considerato, in mancanza di un’espressa deroga pattizia, elemento della retribuzione computabile nella base di calcolo prevista dall’art. 2120 c.c., per la determinazione del trattamento di fine rapporto, in quanto compenso non sporadico nè occasionale, rigorosamente connesso al rapporto di lavoro e che trova la propria fonte nel protrarsi dell’attività lavorativa.
Nel caso in esame la sentenza impugnata non ha evidenziato alcuna espressa deroga, da parte dell’autonomia collettiva, alla regola di cui all’art. 2120 c.c., ma – anzi – ha ritenuto di ravvisare un’implicita esclusione dell’emolumento in parola dalla base di computo del TFR in virtù d’un articolato percorso ermeneutico da cui argomentare una diversità, sul punto, di trattamento convenzionale dei quadri direttivi di 3^ e 4^ livello rispetto a quelli di 1^ e 2^ e al personale delle aree professionali dalla 1^ alla 3^.
Ma ciò è proprio l’esatto contrario di quanto statuito dalla summenzionata giurisprudenza di questa S.C., in forza della quale la deroga all’art. 2120 c.c., pur in astratto consentita, deve essere frutto di un espresso (e non meramente implicito) enunciato dell’autonomia collettiva.
3- In conclusione il ricorso è da accogliersi.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato.
PQM
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016