Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21709 del 06/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/09/2018, (ud. 12/04/2018, dep. 06/09/2018), n.21709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28745/2013 proposto da:

T.A., (OMISSIS), + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CARLO BENEDETTI, PIERGIOVANNI ALLEVA,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

EQUITALIA SUD S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI, MARCO RIGI

LUPERTI che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

EQUITALIA CENTRO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI, MARCO RIGI

LUPERTI che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 864/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 26/07/2013 R.G.N. 1253/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza nr. 526 del 2012, aveva riconosciuto agli odierni ricorrenti il Premio Annuale di Rendimento (cd. VAP) in relazione agli anni 2000-2004.

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza nr. 864 del 2013, in accoglimento del gravame di Equitalia Centro spa ed di Equitalia Sud Spa (aventi causa di Equitalia Gerit spa) respingeva, invece, la domanda dei ricorrenti, dipendenti di Equitalia Gerit Spa.

Per quanto di rilievo, l’Appello distrettuale, richiamando un precedente di questa Corte (Cass. nr. 9307 del 2011), osservava che il diritto al premio annuale di rendimento andava determinato di anno in anno ed in stretta correlazione ai risultati conseguiti nella realizzazione dei programmi concordati con le parti e che, pertanto, non era suscettibile di determinazione in sede giudiziaria.

Escludeva, poi, che fosse configurabile, sulla base di una prassi aziendale (che non risultava provata), un obbligo aziendale di riconoscimento di un premio corrispondente a quello erogato da Monte dei Paschi di Siena ai propri dipendenti; osservava, infine, come neppure potesse essere invocato il principio di parità di trattamento retributivo che non operava nell’ambito di rapporti di lavoro privatistici.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso in cassazione i lavoratori, affidato a tre motivi, il primo articolato in due censure.

Hanno resistito, con controricorso, Equitalia Centro Spa ed Equitalia Sud Spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – – vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Il motivo attinge la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che non sarebbe possibile, in sede giudiziaria, la determinazione di elementi retributivi variabili “in stretta correlazione con i risultati conseguiti”; i giudici di merito sarebbero incorsi nell’errore logico di non considerare che, nella fattispecie, non si trattava di applicare criteri variabili di determinazione della spettanza ma semplicemente di applicare, per relationem, un risultato già conosciuto e prefissato in altra sede (ossia il VAP stabilito per i dipendenti del ramo bancario del Monte dei Paschi di Siena); la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che l’istruttoria condotta nel procedimento di primo grado era stata finalizzata a dimostrare che il meccanismo di programmazione e valutazione dei risultati, previsto appunto dall’art. 55 del CCNL 1995, non aveva mai avuto una concreta applicazione presso la Gerit e che tutto consisteva nella semplice estensione degli importi determinati per i dipendenti del ramo bancario del Monte dei Paschi di Siena.

Con il secondo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 c.c. e art. 1350 c.c., nonchè, in alternativa, violazione e falsa applicazione dell’art. 2078 c.c. e dell’art. 39 Cost..

I ricorrenti censurano la sentenza per aver completamente ignorato la possibilità di individuare nel comportamento delle parti un accordo tacito di riconoscimento dell’emolumento; erroneamente, dunque, la Corte di appello avrebbe affrontato la questione solo in termini di uso aziendale.

Con il terzo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione del principio di parità di trattamento all’interno della stessa azienda o di un gruppo di aziende sottoposte a totale controllo.

Il ricorso è infondato.

I motivi possono trattarsi congiuntamente perchè strettamente connessi e riferiti al mancato riconoscimento ai dipendenti di Equitalia Gerit S.p.A., a decorrere dall’anno 2000, di un trattamento, a titolo di VAP, equivalente a quello corrisposto ai dipendenti del Monte dei Paschi di Siena.

Osserva la Corte che tutte le censure, al di là della formale rubricazione, nella sostanza, investono la sentenza in relazione alla operata ricostruzione della fattispecie di causa, di modo che anche la deduzione delle violazioni di legge scherma in realtà deduzione di vizi di motivazione.

I ricorrenti imputano alla Corte di appello l’errore di non aver considerato che il meccanismo delineato dalla norma contrattuale non aveva mai avuto concreta attuazione nel contesto aziendale e che, invece, per accordo implicito e/o prassi aziendale, vi era stata, in precedenza, un’estensione dei valori “VAP” determinati per i dipendenti del ramo bancario del Monte dei Paschi di Siena ai dipendenti delle varie gestioni esattoriali (id est odierni ricorrenti).

In tal modo, però, i rilievi, lungi dal prospettare errori che concernono la ricognizione ed esegesi delle norme riportate in rubrica ovvero l’applicazione di principi di diritto affermati da questa Corte, si risolvono in una contestazione dei presupposti di fatto posti a base del giudizio decisorio della pronuncia impugnata.

A fondamento del decisum, la Corte di appello pone (anche) l’esclusione della situazione delineata dai ricorrenti ovvero quella dell’esistenza di una prassi aziendale di estensione ai dipendenti del ramo esattoriale di un trattamento equivalente al premio riconosciuto ai dipendenti di Monte dei Paschi di Siena.

Le censure impingono nella tipica valutazione del giudice del merito, sindacabile, in sede di legittimità, nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che, nella formulazione ratione temporis applicabile, concerne solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e non pure la contrapposizione al fatto accertato di un fatto diverso.

Nè la sentenza è censurabile (terzo motivo) laddove esclude la sussistenza di un obbligo, per il datore di lavoro privato, di garantire, ai dipendenti, il medesimo trattamento retributivo.

L’affermazione è resa in relazione alla deduzione difensiva che la “Gerit S.p.A. era il MPS (recte Monte dei Paschi di Siena) visto che (MPS) ne possedeva il 99,9% del pacchetto azionario”.

In parte qua, la pronuncia è conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui, nel rapporto di lavoro subordinato privato, non opera, di regola, il principio di parità del trattamento retributivo, nè la valutazione di adeguatezza della retribuzione all’art. 36 Cost. comporta il riferimento a tutti gli elementi ed istituti contrattuali che confluiscono nel trattamento economico globale fissato dalla contrattazione collettiva, ma soltanto a quelli che formano il cd. minimo costituzionale (ex plurimis, Cass. 26925 del 2016).

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascun contro ricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2018

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