Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21708 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 08/10/2020), n.21708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 725/2013 R.G. proposto da;

Nuova Dac s.r.l. in liquidazione in persona del liquidatore

C.S., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Vermiglio del Foro

di Messina, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.

Pietro Saija, in Roma via Principessa Clotilde, 12, come da procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 216/27/2011, depositata il 26 ottobre 2011;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dinapoli Marco nella camera

di consiglio del 26 febbraio 2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Nuova Dac s.r.l., ora in liquidazione, già esercente commercio all’ingrosso e al dettaglio di articoli casalinghi, porcellane, tessuti, biancheria ed altro, impugnava in primo grado due avvisi di rettifica delle dichiarazioni Iva presentate per gli anni di imposta 1995 e 1996, con cui l’Agenzia delle entrate di Messina accertava una maggiore imposta Iva, oltre sanzioni e interessi, sulla base di un PVC della Guardia di Finanza da cui emergevano, a seguito di indagini bancarie effettuate a causa dell’inattendibilità della contabilità aziendale, ricavi non registrati ed acquisti senza fattura.

La Commissione tributaria provinciale di Messina respingeva i ricorsi con sentenze nn. 730 e 731/12/2002, avverso cui la contribuente proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia, riuniti i procedimenti, in parziale accoglimento degli appelli, ed in applicazione del principio del favor rei, dichiarava non dovuto il pagamento dell’imposta sugli acquisiti non regolarizzati e disponeva la ridetermi-nazione delle sanzioni (capo della sentenza che non ha costituito oggetto di impugnazione). Rigettava nel resto gli appelli riuniti ritenendo che la società non avesse fornito alcuna prova contraria alla presunzione legale di maggiori ricavi ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, avendo dichiarato in sede di contraddittorio amministrativo che la documentazione in suo possesso era andata distrutta a seguito di un incendio, e che la richiesta di rilascio di copia della documentazione agli istituti di credito era troppo costosa.

Ricorre per cassazione la società, ora in liquidazione, con due motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

L’Agenzia delle entrate si costituisce in giudizio e deposita controricorso con cui chiede rigettarsi il ricorso principale con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso denunzia la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè l’Amministrazione finanziaria ha considerato rilevanti ai fini fiscali tutte le operazioni bancarie in dare e in avere registrate sui conti correnti riferiti alla società, pervenendo a risultati non conformi alla reale capacità contributiva della contribuente. Invece, anche in mancanza di giustificazione dei movimenti bancari, avrebbe dovuto scomputare i costi documentati dalle fatture di acquisto, gli importi relativi all’Iva sulle vendite, quelli relativi a giroconti ed operazioni temporanee, ed i movimenti registrati sul conto corrente postale rimasti privi di dimostrazione.

2.- Il secondo motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza per omessa pronunzia su specifici motivi di gravame in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, all’art. 112 c.p.c. e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3. In particolare la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare i motivi di appello diretti a contrastare in fatto il conteggio effettuato dagli accertatori, che avrebbe dovuto scomputa-re le somme per la presunta acquisizione dei beni strumentali di altra società (Dac s.n.c.) in realtà mai avvenuta, le spese per gli acquisti fatturati, l’importo dell’Iva e quello dei prelievi effettuati sul conto corrente postale, non dimostrato dagli accertatori.

3.- Il primo motivo di ricorso è infondato. Premesso che le do-glianze manifestate si riferiscono principalmente alle motivazioni dell’accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza prima e dall’Agenzia delle entrate poi, e solo marginalmente alla motivazione della sentenza impugnata, ritiene questa Corte che non sussista la violazione di legge denunziata.

3.1- La sentenza impugnata infatti ha correttamente applicato i principi sulla ripartizione dell’onere della prova in questa materia, come precisati da risalente e consolidata giurisprudenza, per cui grava sul contribuente l’onere di giustificare le movimentazioni bancarie accertate dall’Ufficio, presumendosi, in difetto, che esse celino ricavi occulti. La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga dei conti correnti bancari per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non possono contrapporsi delle mere affermazioni di carattere generale. Pertanto, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi, come nel caso in esame, su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto dalla produzione di tali dati, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. (Cass. 1180/12 vedi anche Cass. 2752/09, Cass. 18081/10, Cass. 10578/11).

3.2- Le doglianze prospettate con il primo motivo di ricorso con riferimento alle modalità di calcolo delle imposte accertate ed in particolare al mancato scorporo di alcune somme, non attengono invece alla violazione della norma indicata, ma costituiscono mere questioni di fatto falsamente prospettate come vizio di legittimità.

4.- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Infatti la censura di minus petizione, per come formulata, non lamenta la mancanza della decisione su alcuna delle eccezioni proposte, bensì il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni di parte, questione che in realtà riguarda la motivazione della sentenza e non la completezza della decisione.

4.1- In ogni caso la censura è anche infondata perchè non sussiste il vizio di omessa pronuncia quando, pure in assenza di specifica statuizione del giudice, la pretesa avanzata col capo di domanda che si assume non esaminato risulti – come nel caso di specie – incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia, si da potersene ravvisare il rigetto implicito (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. VI, 25 settembre 2018, n. 22598). Infatti, secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

4.2- La sentenza impugnata, all’esito della valutazione del materiale probatorio acquisito, ha ritenuto assorbente e decisiva l’inottemperanza della contribuente all’onere di fornire giustificazione delle movimentazioni bancarie, e recessive, pertanto, le altre questioni di fatto proposte dalla contribuente, con decisione del tutto ricompresa nel perimetro dei principi di diritto sopra richiamati.

5.- In conclusione, per i motivi indicati, il ricorso della Nuova Dac s.r.l. in liquidazione deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio come liquidate in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 20.000,00 (ventimila) complessivi oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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