Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21707 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 29/07/2021), n.21707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA R.M. – rel. Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8404/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.M., O.N. e O.A., quali eredi di

O.R.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Basilicata n. 536/02/14 depositata il 21.10.2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.4.2021 dal

Consigliere Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 536/02/2014, depositata in data 21.10.2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Basilicata accoglieva l’appello proposto da P.M., O.N. e O.A., quali eredi di O.R., nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Potenza che aveva rigettato il ricorso del contribuente su un avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2005, con cui veniva recuperata a tassazione IVA indetraibile, perché correlata a operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, riguardanti la cessione di macchinari e attrezzature agricoli; nella specie un bene agricolo usato, pur restando nel possesso del contribuente, veniva venduto alla società Generalcontractor Srl esercente l’attività di commercio all’ingrosso di macchine agricole, la quale, previa valutazione del bene, lo rivendeva alla Generalcredit Spa, la quale, a sua volta, mediante un contratto di vendita con privilegio ai sensi della L. n. 1329 del 1995 (legge Sabatini), lo rivendeva allo stesso prezzo di acquisto all’imprenditore agricolo maggiorato degli oneri aggiuntivi (interessi sul prezzo dilazionato, costo degli effetti cambiari, spese di istruttoria).

Avverso la sentenza di primo grado la parte contribuente aveva proposto appello iscritto al n. RG 310/12 che veniva dichiarato inammissibile con sentenza n. 166/01/2012 per mancata notifica dell’atto a controparte. In data 16.11.2012 la parte contribuente proponeva un secondo appello avverso la stessa sentenza.

La CTR affermata l’ammissibilità della nuova impugnazione, accoglieva l’appello sul presupposto che era stato realizzato un contratto “sale & sale back” (vendita con vendita di ritorno), Le operazioni erano tutte documentate da regolari emissioni di fatture e che i contratti “sale & sale back” sono contratti atipici, ma leciti, rientranti nell’ambito dell’autonomia negoziale privata ai sensi dell’art. 1322 c.c.. La CTR evidenziava che con tale operazione non si voleva conseguire un risparmio d’imposta, bensì la possibilità di ottenere un finanziamento, al quale si era successivamente rinunciato e che nella specie non fosse configurabile né abuso, né elusione del diritto tributario.

L’Agenzia ricorre per la cassazione, con cinque motivi.

I contribuenti non hanno spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la CTR pur prendendo atto che la parte contribuente aveva già proposto una precedente impugnazione alla stessa sentenza, senza notificare il ricorso in appello a controparte, e che il giudizio era stato definito con una sentenza di inammissibilità, aveva ritenuto ammissibile la seconda impugnazione.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60, stabilisce che l’appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge. Tale disposizione ricalca l’art. 358 c.p.c., che prevede la regola della c.d. “consumazione dell’impugnazione”.

Nella specie, si evince dalla sentenza impugnata che la prima impugnazione era stata notificata il 22.6.2012 ed era stata dichiarata inammissibile con sentenza n. 166/01/2012. In data 16.11.2012 è stato notificato il secondo appello.

La ricorrente omette di riferire la data della sentenza di inammissibilità in modo da consentire di verificare se, alla data della notifica del secondo ricorso, fosse già intervenuta la declaratoria di inammissibilità del primo ricorso in appello, con conseguente consumazione del diritto a impugnare.

La CTR, disattendendo la eccezione ha affermato che la sentenza n. 166/12, avendo deciso esclusivamente sull’ammissibilità dell’impugnazione, aveva compiuto un accertamento non incompatibile con quello che esaminava il merito della controversia.

2. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51; D.L. n. 216 del 2011, art. 30, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la CTR non aveva rilevato che la notifica del primo appello aveva determinato la decorrenza del termine breve per l’impugnazione e che la seconda impugnazione non era tempestiva.

La censura è fondata.

Nel processo civile, il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché esso sia tempestivo, requisito per la cui valutazione occorre tener conto, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non del termine annuale, bensì del termine breve, decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante (Cass. n, 14214 del 2018)

Qualora non sia stata notificata al ricorrente la pronuncia di inammissibilità dell’appello è possibile proporre un secondo atto di appello, che risulti immune dai vizi del precedente, purché la presentazione del secondo appello avvenga entro i termini perentori previsti per le impugnazioni dal D.Lgs. n. 546 del 1992, e in data anteriore alla predetta declaratoria di inammissibilità. Ai fini del computo dei termini si fa riferimento al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo la stessa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante.

Nella specie il primo appello è stato proposto il 22.6.2012 e il termine di sessanta giorni era spirato il 15.10.2012 ed era quindi già scaduto alla data di proposizione del secondo ricorso (novembre 2012).

La sospensione prevista dal DL 216/2011 non è idonea a far ritenere l’esistenza di un diverso termine di scadenza.

La norma fa riferimento alle liti definibili per le quali opera la sospensione dei giudizi fino al 30 giugno 2012, secondo quanto stabilito dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, lett. c). La sospensione riguarda gli atti e le attività successivi al 28 febbraio 2012 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 216 del 2011). Nella specie, anche a ritenere che la sospensione riguardasse anche la controversia oggetto del giudizio, dalla scadenza della sospensione (30 giugno 2012) alla data di notifica del secondo appello (30.11.2012) era sicuramente decorso il termine breve per impugnare.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto, con assorbimento della trattazione del secondo motivo e del quarto con i quali si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto la controversia può essere decisa nel merito con declaratoria di inammissibilità dell’appello.

Le spese del giudizio di appello devono essere compensate in considerazione della particolarità della questione processuale.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara inammissibile l’appello dei contribuenti.

Compensa le spese del giudizio di merito.

Condanna i resistenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.300,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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