Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21707 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 08/10/2020), n.21707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 25254 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Abitarchi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avv. Francesco Converti, elettivamente

domiciliata presso lo studio del difensore in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II n. 18;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia n. 22/15/2013, depositata in data 16 aprile

2013, non notificata;

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott.ssa Mastroberardino Paola, il quale ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 febbraio 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di

Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 22/15/2013, depositata in data 16 aprile 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia aveva accolto l’appello proposto da Abitarchi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 11/20/11 della Commissione tributaria provinciale di Bari che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Bari, previo p.v.c. dei propri funzionari, aveva contestato nei confronti di quest’ultima, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 2, e art. 32, per l’anno 2004, maggiori ricavi occultati, ai fini Ires, Irap e Iva, in relazione ad assunti ingiustificati finanziamenti da parte dei soci confluiti nel conto “sovvenzioni soci infruttiferi”;

– la CTR in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che l’avviso di accertamento in questione era illegittimo in quanto: 1) l’Ufficio aveva violato il divieto di doppia presunzione giacchè dalla presunzione che i versamenti non fossero “conferimenti” dei soci aveva tratto l’ulteriore presunzione che i medesimi importi rappresentassero componenti positivi di reddito occulto; 2) la contribuente aveva eccepito sin dal ricorso originario la circostanza – mai contestata dall’Ufficio – di mancato svolgimento di alcuna attività economica, per cui, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., trattandosi di fatto non specificamente contestato dalla parte costituita, doveva ritenersi superata la presunzione, quand’anche ipoteticamente ammissibile, di imputazione dei versamenti dei soci a ricavi in nero della società; 3) l’Ufficio non aveva prodotto alcun elemento, neppure indiziario, idoneo a sostenere che i conferimenti dei soci concretassero ricavi in nero della società; 3)l’accertamento in questione era basato su una inammissibile equazione conferimenti-ricavi occultati senza l’accompagnamento di alcun elemento indiziario grave, univoco e concordante ai sensi dell’art. 2729 c.c.;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società contribuente;

– l’Agenzia delle entrate e la società controricorrente hanno depositato memorie ex art. 380bis1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– in data 9 luglio 2020 si tiene l’adunanza camerale, in seconda riconvocazione, nell’aula d’udienza della sezione V civile del palazzo della Corte di Cassazione alla presenza dei magistrati pres. del collegio Manzon Enrico, cons. Catallozzi Paolo, cons. Castorina Rosaria Maria, cons. Saija Salvatore e con la presenza in collegamento remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams – individuata con D.Dirig. adottato ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, convertito in L. n. 24 del 2020 dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e pubblicato sul portale dei servizi telematici in data 20 marzo 2020 del magistrato cons. Putaturo Donati Viscido Di Nocera Maria Giulia, al quale è assicurata la disponibilità agli atti attraverso la medesima piattaforma;

– va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso della società contribuente risultando essere stato notificato tardivamente (in data 20-24/9/2019 a fronte della notifica del ricorso in data 7/11/2013);

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR ritenuto erroneamente illegittimo l’avviso di accertamento in questione, ancorchè, a fronte dell’accertamento dell’Ufficio fondato, ex art. 32 cit., sulla assunta presunzione legale (relativa) di imputazione dei finanziamenti asseritamente ingiustificati dei soci a ricavi in nero della società, quest’ultima non avesse dimostrato (a contrario) la non riferibilità delle contestate movimentazioni bancarie ad operazioni imponibili, non valendo, a tal fine, la asserita incontestata circostanza della non operatività della società medesima, implicando l’accertamento in questione proprio la assunta capacità della società di produrre maggiore reddito non dichiarato;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2700 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR erroneamente posto a fondamento della decisione la asserita “incontestata” circostanza della “non operatività” della società, allorquando l’accertamento in questione, basato sulla presunzione legale di maggiori ricavi non dichiarati, implicasse proprio la contestazione della operatività della società; peraltro, ad avviso dell’Agenzia – a fronte delle risultanze del p.v.c., dotato, ex art. 2700 c.c., quale atto pubblico di piena prova fino a querela di falso – la contribuente non avrebbe mai provato – limitandosi, al riguardo, a mere dichiarazioni- la non operatività della stessa; nè, secondo la ricorrente, assumerebbe rilievo l’invio del questionario da parte dell’Agenzia alla società e non ai soci, essendo, in applicazione dell’inversione dell’onere della prova D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 32, la società tenuta a dimostrare la provenienza dei finanziamenti confluiti nel conto in questione;

– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso per difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, giacchè, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, il ricorso in esame contiene specifiche, intellegibili ed esaurienti argomentazioni, dirette a motivatamente censurare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata;

– il primo e il secondo motivo – da trattare congiuntamente per connessione – sono infondati per le ragioni di seguito indicate;

– in punto di fatto dalla sentenza impugnata si evince che, nella specie, trattasi di accertamento condotto dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, sulla base di dati acquisiti nel corso di indagine, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, presumendo la imputazione a ricavi “in nero” della società dei versamenti effettuati dai soci sul conto della società e contabilizzati come finanziamenti infruttiferi;

– va ribadito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili; in particolare, detta presunzione legale ha portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano (Cass. n. 19692/11) e pone un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, a prescindere dal regime di contabilità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1560 del 2015). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità(Cass. 13035/12),In particolare, precisa la Corte, posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) non può essere contrapposta una mera affermazione di carattere generale, pur potendo il contribuente fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. 30 novembre 2011, n. 25502; per la tesi più rigorosa, secondo cui il contribuente nel fornire la prova contraria, non può ricorrere a presunzioni, vedi Cass., ord. 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20735; Cass. 5 dicembre 2007, n. 25365; discorre di onere della prova del contribuente anche Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589). Ha ulteriormente precisato, al riguardo, questa Corte che, soltanto dopo che il contribuente abbia esaurientemente ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. E dopo l’adempimento di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cass. 5 maggio 2011, n. 9892; Sez. 5, Sentenza n. 17250 del 2013);

– in tal senso si è espressa questa Corte (Cass. sent. Sez. 5 n. 26111/2015) ritenendo che debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (Cass. n. 26692 del 2005; n. 20199 del 2010; n. 16650 del 2011; n. 26173 del 2011; n. 30376 del 2018; – con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in materia di imposte sui redditi; n. 15217 del 2012; n. 1418 del 2013; n. 6595 del 2013; n. 21303 del 2013; n. 20668 del 2014; n. 26111 del 2015. La presunzione legale in questione ha superato il vaglio di costituzionalità in relazione agli artt. 3 e 53 Cost. – sentenza Corte Cost. n. 225 del 2005 -: cfr. Cass. n. 13036 del 2012. Vedi Corte Cost. ord. n. 260 del 2000; Corte Cost. ord. n. 173 del 2008; Corte Cost. n. 228 del 2014);

– peraltro, questa Corte ha già avuto modo di precisare che, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi, peraltro, escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili” (Sez. 5, Ordinanza n. 31024 del 28/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014; Sez. 5, Sentenza n. 5192 del 04/03/2011);

– pertanto, il contribuente è tenuto a fornire prova contraria alle risultanze, che deve essere valutata dal giudice, non già in modo generico, ma in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari (Cass. n. 16650/2011; sulla necessaria corrispondenza, a fronte della analiticità nella deduzione del mezzo di prova da parte del contribuente, di una speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato v., da ultimo; Cass. Sez. 5, Ord. n. 30786 del 28/11/2018);

– nella specie, premesso che alcuno specifico rilievo assume nell’impianto motivazionale della sentenza impugnata il riferimento all’invio del questionario da parte dell’Agenzia alla società e non ai soci (“in disparte il rilievo che la società è soggetto giuridicamente distinto e autonomo rispetto ai soci sicchè alcun questionario poteva esserle inviato per rispondere a quesiti concernenti la sfera giuridica e patrimoniale dei soci”), la CTR si è attenuta ai suddetti principi, in quanto ha ritenuto- con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- in sostanza superata la presunzione legale ex art. 32 di imputazione dei versamenti dei soci ai ricavi “in nero” della società, proprio avuto riguardo alla, peraltro incontestata, circostanza della avvenuta contabilizzazione di questi versamenti come “finanziamenti da soci infruttiferi”; e, invero, a prescindere dalla irrilevante – sotto questo profilo- constatazione da parte del giudice di appello del mancato svolgimento da parte della società di alcuna attività economica, la decisione di accoglimento dell’appello della contribuente poggia sulla ritenuta sufficiente giustificazione delle movimentazioni finanziarie in questione in forza della contabilizzazione delle stesse come “sovvenzioni soci infruttifere”, a fronte della quale l’Ufficio,- come evidenziato dalla CTU- non aveva prodotto altri elementi indiziari fondanti un valido accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR- nel rigettare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per asserita mancanza di motivi specifici – omesso di pronunciare sulla censura proposta dell’ufficio che, lungi dall’involgere una assunta inammissibilità del gravame nella sua interezza, riguardava solo le sanzioni amministrative la cui applicazione – in mancanza di specifica impugnazione D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 56 – avrebbe dovuto, ad avviso dell’Amministrazione, ritenersi definitiva;

– il motivo si profila infondato;

– premesso che “In tema di contenzioso tributario, l’appello dell’Ufficio nel giudizio riguardante l’impugnazione di un avviso di accertamento non necessita di uno specifico ed autonomo motivo sulle sanzioni, costituendo queste un’obbligazione accessoria a quella principale, direttamente discendente da essa, ed in cui, quindi è compresa, (sicchè deve escludersi che sia affetta dal vizio di ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale che, in assenza del predetto autonomo e specifico motivo, confermi “in toto” l’avviso di accertamento, anche con riguardo alle sanzioni)” (Sez. 5, Sentenza n. 12631 del 19/05/2017), la CTR, nell’accogliere l’appello del contribuente, dichiarando l’illegittimità dell’avviso in toto, ha comunque implicitamente disatteso l’eccezione dell’Ufficio di definitività dell’irrogazione delle sanzioni per mancanza di specifica impugnazione ex art. 56 cit.; pertanto, va fatta applicazione del condivisibile principio di diritto di questa Corte secondo cui “La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa”(ex plurimis, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 28995 del 12/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 33764 del 19/12/2019);

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– stante l’inammissibilità del controricorso della società contribuente, nulla sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte:

rigetta il ricorso;

Cosi deciso in Roma, in data 26 febbraio 2020, riconvocata, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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