Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21705 del 26/08/2019

Cassazione civile sez. II, 26/08/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 26/08/2019), n.21705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14420-2015 proposto da:

B.G., e B.M., rappresentati e difesi dagli

Avvocati RICCARDO ALBA, MASSIMO PAVAN, LUIGI MANZI e ANDREA MANZI,

ed elettivamente domiciliati presso lo studio Manzi in ROMA, VIA

CONFALONIERI 5;

– ricorrenti –

contro

G.G., rappresentato e difeso dagli Avvocati ROBERTO ORFEO e

ELENA ALLOCCA, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di

quest’ultima, in ROMA, VIALE ANGELICO 38;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2826/2014 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2000 Z.G., S.G. e Sm.Gi., proprietari di un’area edificabile in località (OMISSIS), si rivolgevano al geom. B.G. e all’ing. B.M. per la ricerca di potenziali acquirenti di detto terreno, affidando a questi ultimi la conduzione delle trattative. I tecnici B. offrivano ai potenziali acquirenti la propria opera professionale per la progettazione dell’erigendo fabbricato.

La OASI s.a.s. si dimostrava interessata all’acquisto, per cui in data 13.7.2000 la medesima e gli Z.- S. sottoscrivevano contratto preliminare di compravendita, con il quale i proprietari promettevano di vendere il terreno contro il pagamento di L. 290.000.000 e la consegna di tre appartamenti da costruire. Tale contratto preliminare prevedeva l’obbligo, a carico dell’acquirente, di sostenere i costi di progettazione.

Contestualmente Oasi s.a.s. conferiva ai B. l’incarico di provvedere alla progettazione dell’erigendo fabbricato fino al rilascio del certificato di agibilità.

Successivamente, la Oasi s.a.s. decideva di ritirarsi dall’affare e, a questo punto, G.G. manifestava la volontà di acquistare il terreno in luogo dell’originaria promissaria acquirente. Atteso che il contratto preliminare del 13.7.2000 riconosceva alla Oasi s.a.s. la facoltà di acquistare il terreno per sè o persona da nominare, in data 15.3.2001 la Oasi s.a.s. e il G. stipulavano un autonomo contratto, denominato “promessa di vendita”, con il quale il G. si impegnava a subentrare nell’operazione immobiliare in luogo di Oasi medesima. In base all’accordo le spese sostenute dalla Oasi s.a.s. per la progettazione a cura dello Studio B. sarebbero state a carico del G. e la liquidazione sarebbe avvenuta su presentazione di fattura.

In data 19.3.2001 il G. e i proprietari del terreno sottoscrivevano un nuovo preliminare di vendita/permuta, in cui interveniva anche Oasi per dare atto di aver ceduto la promessa di vendita fatta in data 13.7.2000.

Con il contratto definitivo in data 14.6.2001 gli Z.- S. e il G. perfezionavano la vendita/permuta del terreno in oggetto. In ottemperanza agli impegni assunti in precedenza tra il G. e la Oasi s.a.s., quest’ultima, dietro presentazione di regolare fattura, anticipava ai B. le spettanze maturate per la progettazione, mentre il G., a sua volta, rimborsava a Oasi tale importo. La corresponsione di tale somma è provata dalla fattura dell’11.6.2001, emessa dai B. per l’attività professionale fino ad allora realizzata.

A questo punto, il G. dava incarico a tecnici di sua fiducia per i calcoli delle strutture in cemento armato, per il progetto di sicurezza del cantiere e relativo coordinamento, per la Direzione Lavori e le varianti, nonchè per pratiche catastali.

Ciò premesso, con atto di citazione, notificato in data 16.9.2002, B.G. e B.M. convenivano in giudizio G.G. chiedendone la condanna al pagamento dei compensi asseritamente dovuti per l’opera professionale svolta in suo favore e quantificati in Euro 14.927,30 in favore del geom. B.G. e in Euro 38.396,95 in favore dell’ing. B.M..

Si costituiva in giudizio il convenuto, contestando la pretesa creditoria e affermando di aver già saldato le spettanze dei due tecnici per mezzo della Oasi s.a.s., precisando di non aver conferito ai B. alcun incarico professionale.

Istruita la causa mediante interpello del G., escussione dei testi ed espletamento di CTU, con sentenza n. 90/2007, depositata in data 23.4.2007, il Tribunale di Venezia Sezione Distaccata di Dolo, condannava il G. al pagamento della somma di Euro 11.414,47, con interessi legali dalla domanda al saldo in favore di B.G. e della somma di Euro 14.467,38, con interessi legali dalla domanda al saldo in favore di B.M., oltre alle spese di lite.

Contro tale sentenza proponeva appello il G. deducendo l’errata e/o omessa valutazione e/o interpretazione delle risultanze istruttorie relativamente alla scansione temporale dei fatti e al rapporto contrattuale con i B. e chiedendo nel merito la riforma della sentenza di primo grado, accertando che nessun incarico professionale fosse stato conferito dal G. ai B. e accertando che il G. avesse rimborsato alla Oasi s.a.s. i costi relativi alle competenze professionali dei B..

Si costituivano in giudizio i B. chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo appello incidentale con domanda di condanna del G. al pagamento in favore di B.M. della somma ulteriore di Euro 7.184,48, oltre interessi dalla domanda al saldo.

Con sentenza n. 2826/2014, depositata in data 17.12.2014, la Corte d’Appello di Venezia rigettava la domanda proposta dai B., condannandoli alle spese di lite dei due gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione B.G. e B.M. sulla base di tre motivi, depositando memoria illustrativa; resiste G.G. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (“Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), i ricorrenti lamentano il “Mancato esame del contenuto dell’atto 19.3.2001 sottoscritto da Z.- S., G. e Oasi s.a.s.”, rilevando come erroneamente la Corte di merito abbia fondato la decisione solo sulle pattuizioni contenute nel preliminare del 15.3.2001 tra la Oasi e il G. (con cui quest’ultimo assumeva l’obbligo di pagare le spese sostenute dalla Oasi per la progettazione a cura dello studio B. in relazione a un progetto di cessione, che culminava con la stipulazione dell’atto definitivo, previsto nel testo come momento di cessione del bene da Oasi a G., per cui solo al momento della stipula del definitivo tra il G. e i proprietari del lotto, Oasi sarebbe uscita di scena). E come altrettanto erroneamente la Corte stessa abbia trattato l’atto del 15.3.2001 come un preliminare di vendita e non un contratto di successione tra cedente e cessionario in un contratto già stipulato. Nel contempo, la sentenza impugnata non ha preso in considerazione il preliminare di vendita del 19.3.2001 tra Z.- S. e G., con cui i primi promettevano di vendere al secondo il terreno in questione e il G. prometteva di pagare la somma di Lire 290.000.000 e di trasferire la proprietà dei tre appartamenti da costruire: tale contratto conteneva le stesse pattuizioni dell’originario contratto preliminare tra Z.- S. e la Oasi del 13.7.2000. Tuttavia, nel contratto del 19.3.2001 interveniva anche la Oasi per dichiarare la cessione della promessa di vendita fatta in data 13.7.2000 al G.. In sostanza, secondo i ricorrenti, si aveva la successione nel contratto preliminare tra Oasi e G. per effetto del contratto del 19.3.2001, al quale partecipavano i promittenti venditori, G. e Oasi s.a.s., e non per effetto del preliminare tra Oasi e G. del 15.3.2001.

1.2. – Con il secondo motivo (sempre per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) i ricorrenti deducono il “Mancato esame del fatto che (…) l’ing. B., con riferimento alla pratica dei calcoli dei cementi armati, ricevette specifico incarico dal G. e si protrasse oltre la data del rogito di compravendita”, là dove la Corte di merito non ha trattato tale fatto, parlandone in modo quasi discorsivo e riducendo la questione alla raccolta di una mera dichiarazione aggiuntiva da parte dell’Impresa V.R.. Osservano i ricorrenti che in sede di interrogatorio formale il G. aveva riconosciuto di aver mandato l’Impresa V.R. dai B. per la firma della denuncia delle opere in cemento armato da inviare al Genio Civile, contenente gli elaborati redatti dall’ing. B..

1.3. – Con il terzo motivo (ancora per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) i ricorrenti deducono il “Mancato esame dell’attività prestata dal geom. B.G. in merito all’assistenza tecnica per la stipulazione notarile e in merito al computo metrico estimativo, sulla base del quale il G. ottenne l’erogazione del mutuo di Lire 2.400.000.000 e la consegna di polizza fidejussioria di Lire 600.000.000”, giacchè nell’atto di appello il resistente negava di aver dato alcun incarico al geom. B. quanto alla redazione del contratto preliminare, rilevando che l’attività sarebbe stata espletata nell’esclusivo interesse di Z.- S. e che, comunque, doveva ritenersi compresa nel pagamento della fattura di Lire 20.000.000. Nulla diceva circa l’assistenza tecnica alla stipula del rogito e la redazione del computo metrico estimativo; sottolineando che tale prestazione professionale, richiesta dal G., non aveva alcuna attinenza con l’attività di progettazione svolta dall’ing. B. e per la quale era stata emessa la fattura di Lire 20.000.000, per cui non poteva ritenersi compresa nel suddetto pagamento, come sostenuto dal G..

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica e della dedotta violazione del medesimo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre che per analoga modalità di formulazione, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi non sono ammissibili.

2.2. – L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 17 dicembre 2014) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i ricorrenti avrebbero, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 non v’è idonea e specifica indicazione. Laddove, anche in disparte il rilievo della genericità delle deduzioni indicate, non meglio specificate, che rende comunque le asserite omissioni, di per sè, prive della necessaria decisività (oltre al non essere dimostrato che tali allegazioni siano state oggetto di discussione processuale tra le parti), le censure riguradano, non già l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, bensì la mera valutazione di deduzioni difensive, non inquadrabile nel riformto paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

2.4. – Peraltro, nella fattispecie, a tale vizio di formulazione delle censure, si correla altresì la portata meramente valutativa delle stesse.

Con riguardo a tutti i motivi, va infatti rilevato che, sotto un primo profilo, è consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

Parimenti, anche quanto alla interpretazione del contratto (specificamente riferibile alle censure mosse con il primo motivo), l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto dei negozi inter partes (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10466 del 2017; Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003). Essendo altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile (cosa che nella specie non è dato ravvisare) solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).

Sicchè, neppure è prospettabile alcun vizio che incida sulla validità del procedimento o della sentenza (ricondotto dai ricorrenti al vizio di omessa considerazione di fatti) atteso che (sempre per consolidato principio di questa Corte) ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. 17956 del 2015; Cass. 21612 del 2013; Cass. n. 20311 del 2011).

2.5. – Inoltre, sotto altro correlato profilo (anch’esso comune a tutti i motivi), va rilevato che, così come articolate, tutte le censure si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019

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