Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21705 del 14/10/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21705 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 17463-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. (97103880585) – società con socio unico in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che
la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
PUZZILLI MARIO (P Z ZMRA7OTO2H501X) , elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato
ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e difende, giusta procura
speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controrícorrente e ricorrente incidentale –

Data pubblicazione: 14/10/2014

avverso la sentenza n. 5543/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 12/6/2012, depositata il 09/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per il controricorrente e ricorrente incidentale l’Avvocato

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, Mario
Puzzilli chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto a tre
contratti a tempo determinato con i quali era stato assunto alle
dipendenze di Poste Italiane s.p.a., stipulati ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l.
26/11/94, come integrato dall’accordo sindacale 25/9/97, il primo ed il
terzo per i periodi 14/10/1997-31/1/1998 e 27/10/1998-31/1/1999
(con proroga fino al 30/4/1999), per <> ed il secondo per il periodo 8/7/199830/9/1998 per <>. Il
Tribunale accoglieva il ricorso ritenendo l’illegittimità del termine
apposto al primo dei tre contratti e condannando la società al
pagamento in favore del ricorrente delle retribuzioni maturate
dall’1/5/1999. La decisione veniva confermata dalla Corte di appello di
Roma, con sentenza n. 260/2005. A seguito di ricorso della società
questa Corte, con decisione n. 1034 del 21 gennaio 2010, precisato che
l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori
sindacati nazionali, aveva introdotto nel testo dell’art. 8, comma 2 del
c.c.n.l. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del

Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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ROBERTO RIZZO che si riporta agli scritti.

termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste in
tale c.c.n.l. ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di <> ed evidenziato, altresì, che
le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col
quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle
condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il
processo di ristrutturazione e con successivi analoghi accordi avevano
accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998,
cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di appello di Roma,
in diversa composizione, per l’esame della legittimità del termine
apposto ai contratti in questione alla luce degli indicati principi.
Riassunto il giudizio, la Corte di appello di Roma, con sentenza n.
5543/2012, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di
lavoro stipulato dal lavoratore e Poste Italiane dal 27/10/199831/1/1999 (con proroga fino al 30/4/1999) con l’instaurazione tra le
parti di un rapporto a tempo indeterminato con decorrenza dal
27/10/1998. Seguiva la condanna della società al risarcimento del danno
commisurato a 2,5 mensilità oltre rivalutazione ed interessi, per il
periodo fino al deposito del ricorso di primo grado, fermo il diritto alle
retribuzioni, con rivalutazione ed interessi, per il periodo successivo per
effetto dell’intervenuta conversione del rapporto.
Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per
cassazione affidato a tre motivi.

Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di

Il Puzzilli resiste con controricorso e formula, altresì, ricorso
incidentale.
I motivi proposti dalla soc. Poste si riassumono come segue.
Violazione della legge n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del c.c.n.l.
26/11/94 e dell’accordo integrativo 25/9/97, nonché degli accordi

connessione con l’art. 1362 cod. civ. in quanto il giudice di merito non
avrebbe considerato che gli accordi successivi a quello del 25/9/97
erano ricognitivi delle condizioni legittimanti in fatto il ricorso
al contratto a termine, senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo
al periodo temporale indicato (primo motivo).
Omessa ed insufficiente motivazione perché il giudice di merito non
avrebbe esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in rapporto
il contratto collettivo del 1994, l’accordo sindacale del 25/9/97 ed i
successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui sarebbero
subordinate le assunzioni a termine (secondo motivo).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010 e
dell’art. 429 cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale ritenuto che la
società dovesse essere condannata sia all’indennizzo di cui all’art. 32 cit.
sia al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del deposito del
ricorso ex art. 414 cod. proc. civ.. Si duole, altresì, della condanna al
pagamento degli accessori di legge assumendo, al riguardo, che la regola
introdotta dall’art. 429 cod. proc. civ. riguarda solo la <>
(terzo motivo).
Con il ricorso incidentale (affidato a quattro motivi) il lavoratore
denuncia la nullità in parte qua del procedimento e della sentenza per
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 394, commi 2 e 3, cod.
proc. civ., dell’art. 329 cod. proc. civ., dell’art. 324 cod. proc. civ.
nonché per violazione dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010. Si duole
Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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successivi 16/1/98, 27/4/98, 2/7/98, 24/5/88 e 18/1/01, in

dell’applicazione da parte della Corte territoriale delljus superveniens
costituito dalla legge n. 183 del 2010 in presenza di un giudicato interno,
per essere divenuta definitiva la statuizione della sentenza di primo
grado con riferimento alla condanna della società convenuta <> per avere

31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30/4/98),
della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal
detto accordo integrativo. Consegue che per far fronte alle esigenze
derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti
limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario

presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che
deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30
aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In altre parole,
dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa
priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi
che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con
assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31/1/98 e successivamente
al 30/4/98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima
l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al
30/4/98 (v., exp/urimis, Cass. 23 agosto 2006, n. 18378).
La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito,
l’irrilevanza attribuita all’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre
due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del
soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso
l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti
comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25/9/97 (scaduto in forza degli accordi attuativi),
la suddetta conclusione è comunque conforme alla

regula iuris

dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi
escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo
strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale
settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel d.lgs. n. 165 del
Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse

2001),

di

autorizzare

retroattivamente

la

stipulazione

di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in
precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004, n. 5141).
Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al
di fuori del limite temporale del 30/4/98 sono illegittimi in quanto non

febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che
consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Essendo nella specie
il contratto stipulato per <> per il periodo
27/10/1998-31/1/1999 (con proroga fino al 30/4/1999), i due motivi
debbono essere rigettati.
Ragioni di ordine logico impongono, poi, il preliminare esame del
ricorso incidentale che è manifestamente infondato.
E’ pur vero che lo jus superveniens costituito dalla legge 4 novembre
2010, n. 183, è applicabile d’ufficio in ogni stato e grado, salvo che sulla
questione controversa non si sia formato il giudicato interno; ne
consegue che qualora, nelle more del giudizio in appello, venga
introdotta una nuova norma che regoli in modo diverso il rapporto
controverso, di tale norma va tenuto conto se la questione sulla quale la
nuova regolazione va ad incidere sia stata investita da un valido e
pertinente motivo di impugnazione. Così è stato ritenuto che: <> – cfr. in tal senso Cass. 3 gennaio 2011, n. 65 -.
Tuttavia perché il suddetto meccanismo si verifichi deve sussistere,
tra le statuizioni, una autonomia tale che l’una sia destinata a permanere
immutata anche in ipotesi di travolgimento dell’altra. Diversamente
accade quando, come nella specie, l’accoglimento dei rilievi relativi alla
statuizione di accertamento della illegittimità del termine di un
determinato contratto abbia comportato la cassazione in toto della
relativa pronuncia e così inevitabilmente travolto anche le connesse
determinazioni in tema di conseguenze economiche.
Del resto, questa Corte, nella decisione rescindente n. 1034 del 21
gennaio 2010 dopo aver rilevato che gli errori e le omissioni della
sentenza impugnata presentavano diretta incidenza sulla valutazione
(eventualmente differenziata) di legittimità del termine apposto ad
ambedue i contratti di lavoro in esame (e cioè a quelli stipulati
<>) ha cassato la
sentenza della Corte territoriale e disposto il rinvio ad altro giudice per
procedere ad una nuova valutazione e specificamente all’esame delle
questioni ritenute assorbite (e così, in particolare, di quella di cui alla
deduzione del controricorso relativa alla mancata analisi da parte della
Corte della validità clausola appositiva del termine al contratto di lavoro
relativo al periodo dal 27 ottobre 1998 – 30 gennaio 1999), dovendosi,

Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti

con ciò, ritenere evidentemente riservato all’esito della verifica della
suddetta validità ogni problema afferente al risarcimento del danno.
Ciò precisato ed escluso, quindi, ogni giudicato interno, va
esaminato il terzo motivo del ricorso principale che è manifestamente
fondato nei termini di seguito illustrati.

ammissibilità) attengono innanzitutto ad una pretesa esorbitanza della
decisione della Corte territoriale, applicativa delljus superveniens costituito
dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, rispetto al carattere
onnicomprensivo dell’indennizzo previsto dalla disciplina sopravvenuta.
Tale esorbitanza risulterebbe dalla decisione impugnata laddove la
Corte territoriale ha chiaramente affermato che l’indennità di cui al
citato art. 32 (quantificata in 2,5 mensilità) in questione <> mentre <>.
Come è stato precisato da questa Corte (v. Cass. 29 febbraio 2012,
n. 3056; id. 5 giugno 2012, n. 9023; 9 agosto 2013, n. 19098; 11 febbraio
2014, n. 3029) l’indennità in esame configura, alla luce
dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con
sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di
lavoro che ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei
limiti e con i criteri fissati dal citato art. 32 (che richiama i criteri indicati
nell’art. 8 1. 604/1966), a prescindere dall’intervenuta costituzione in
mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente
subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, ad eventuale akunde
percotum o percipiendurn), trattandosi di indennità <> e
<> per i danni causati dalla nullità del termine nel
periodo cosiddetto <> (dalla scadenza del termine alla
sentenza di conversione del rapporto).
Rie. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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Le censure della ricorrente (che superano il preliminare vaglio di

In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale
e da questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del 28
giugno 2012 (in G.U. n. 153 del 3/7/2012), che all’art. 1 comma 13, con
chiara norma di interpretazione autentica, ha così enunciato: <>.
Ha dunque errato la Corte territoriale nel ritenere, diversamente
dalla interpretazione privilegiata da questo giudice di legittimità, che
l’indennità in questione sia diretta a coprire le conseguenze risarcitorie
solo fino al ricorso di primo grado.
Quanto, poi, alle ulteriori doglianze, va osservato che,
contrariamente all’assunto della ricorrente, l’indennità in esame deve
essere annoverata tra i <> ex art. 429, comma 3, cod.
proc. civ., giacché, come più volte è stato affermato da questa Corte, tale
ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro
e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (ad
esempio, fra le altre, per i crediti liquidati ex art. 18 1. n. 300/1970 v.
Cass. 23 gennaio 2003, n. 1000, Cass. 6 settembre 2006, n. 19159; per
l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966 v. già Cass. 21 febbraio
1985, n. 1579; per le somme a titolo di risarcimento del danno ex art.
2087 cod. civ. v. Cass. 8 aprile 2002, n. 5024). D’altra parte l’indennità in
esame rappresenta comunque il ristoro (seppure <> e
<>) dei danni conseguenti alla nullità del termine
apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla

Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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n. 183, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per

scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto
(si veda in particolare la già citata 11 febbraio 2014, n. 3029).
Dalla natura, poi, di liquidazione <> e
<> del danno relativo al detto periodo consegue
altresì che gli accessori ex art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sono

delimita temporalmente la liquidazione stessa (si veda sempre Cass. n.
3029/2014).
Orbene, l’impugnata sentenza ha correttamente riconosciuto gli
accessori sull’indennità de qua, tuttavia ha errato nel far decorrere gli
stessi non dal momento della decisione bensì dal momento del deposito
del ricorso.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del
terzo motivo di ricorso principale (con rigetto degli altri e del ricorso
incidentale) con decisione della causa nel merito e condanna della
società Poste Italiane alla corresponsione della sola indennità ex art. 32
della legge n. 183/2010 come determinata dalla Corte territoriale e
maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere dalla
decisione di secondo grado, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375
cod. proc. civ., n. 5″.
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le
considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto
condivisibili, siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza di
legittimità in materia.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata la sentenza
impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ex art.

Ric. 2013 n. 17463 sez. ML – ud. 15-07-2014
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dovuti soltanto a decorrere dalla data della detta sentenza, che, appunto,

384, comma 2, cod. proc. civ., la causa può decidersi nel merito con la
condanna della società Poste Italiane alla corresponsione della sola
indennità ex art. 32 della legge n. 183/2010 come determinata dalla
Corte territoriale e maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi
legali a decorrere dalla decisione di secondo grado.

richiamato costituisce giusto motivo per compensare tra le parti le spese
del presente grado di giudizio e confermare, sul punto, la statuizione del
giudice di appello.

P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, condanna la società Poste Italiane alla
corresponsione della sola indennità ex art. 32 della legge n. 183/2010
come determinata dalla Corte territoriale e maggiorata di rivalutazione
monetaria ed interessi legali a decorrere dalla decisione di secondo
grado. Compensa tra le parti le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 luglio 2014.

4 – Il recente consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale sopra

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