Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21705 del 06/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/09/2018, (ud. 29/03/2018, dep. 06/09/2018), n.21705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25146-2013 proposto da:

FLEXIDER S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 20,

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO PERONE, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMO AUDISIO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 803/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/08/2013 R.G.N. 1292/2012.

Fatto

RILEVATO

1. La Corte di appello di Torino, in accoglimento del gravame proposto da P.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della datrice

Flexider s.r.l. in relazione alla disposta sospensione in CIGS con conseguente domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive maturate, ha accertato che nell’attivare la procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria la società era incorsa nella violazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 avendo omesso di precisare nelle comunicazioni che avevano preceduto il confronto sindacale i criteri in base ai quali si sarebbe pervenuti all’individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS-modalità di indicazioni contenute nel verbale di accordo del 14.12.2006 (comunicazione di apertura della CIGS) si risolvevano in generiche indicazioni prive di parametri concreti a cui ancorarle, e imi neppure dai successivi verbali di esame congiunto (17.12.2008 e 22.5.2009 quest’ultimo relativo alla proroga della cassa integrazione) era possibile stabilire in via preventiva in base a quali criteri sarebbe stata operata la scelta e disposta la rotazione.

2. Ha sottolineato che la mancata o insufficiente indicazione dei criteri di scelta non era successivamente sanabile nel corso della procedura e comportava l’illegittimità della stessa, restando assorbite le altre censure ed infondate quelle che riguardavano le richieste economiche formulate da collegarsi ad una mera violazione dei criteri di rotazione, superata dall’accertata illegittimità della procedura stessa.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre la Flexider s.r.l. articolando sei motivi. P.A. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e/o comma 8 e della L. n. 164 del 1975, art. 5 in relazione alla ritenuta insufficienza delle comunicazioni anche alla luce degli artt. 1175 e 1375 c.c. e in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116 e 416 c.p.c., dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito, pur muovendo da una corretta ricostruzione normativa è, tuttavia, incorsa nelle denunciate violazioni di legge laddove ha affermato che i criteri adottati (professionalità, fungibilità e poliprofessionalità) non sarebbero stati sufficienti per l’individuazione dei lavoratori da avviare alla CIGS e delle modalità di rotazione, in quanto sarebbero mancati dei parametri concreti a cui ancorarli, senza considerare che il lavoratore non ha dimostrato di essere stato oggetto di un trattamento ingiustificato o discriminatorio rispetto ai colleghi di pari livello e con pari competenze.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e/o comma 8 e della L. n. 164 del 1975, art. 5 per avere ritenuto carente del requisito di specificità il contenuto delle comunicazioni citata L. n. 223 del 1991, ex art. 1, comma 7 con riguardo alle modalità di applicazione del meccanismo della rotazione e, in ogni caso, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., gli artt. 115,116 e 416 c.p.c., dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. per non aver ritenuto provato ed incontestato in causa il sufficiente grado di precisione di quelle comunicazioni con riguardo alle modalità applicative del meccanismo della rotazione. La società con la censura svolge considerazioni analoghe al precedente motivo, ma questa volta con riguardo al meccanismo della rotazione ed alla sua concreta attuazione. Sostiene in particolare che la mancata esplicitazione delle ragioni di addivenire ad una rotazione non rileverebbe nella valutazione dei criteri stabiliti per darvi attuazione e che anzi gli stessi erano desumibili dalla comunicazione tanto che, correttamente, il giudice di primo grado aveva accertato che il ricorrente non aveva dimostrato che vi era stata una rotazione parziale, carente o addirittura scorretta.

6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene la ricorrente che la sentenza avrebbe disatteso immotivatamente le emergenze istruttorie e le evidenze documentali dalle quali era risultata dimostrata sia la precisione dei criteri identificativi fissati che la loro corretta applicazione da parte della società, e ciò sia nella scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione che nella concreta attuazione della rotazione.

7. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata ancora una volta la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e/o comma 8 e della L. n. 164 del 1975, art. 5 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., con gli artt. 115,116 e 416 c.p.c., con l’art. 2909 c.c. e con l’art. 324 c.p.c.. Sostiene la società ricorrente che la puntuale ed articolata motivazione della sentenza di primo grado – che aveva accertato, sulla base delle prove acquisite al processo, che la scelta del lavoratore era frutto della corretta applicazione dei criteri stabiliti e che non emergeva alcuna arbitrarietà nella decisione datoriale di escludere il lavoratore dalla rotazione, diversamente da altri suoi colleghi – l’appellante non aveva puntualmente contestato nè le risultanze probatorie nè la ricostruzione delle stesse da parte del primo giudice e tanto meno aveva offerto la prova di una violazione dei canoni di correttezza e buona fede ovvero dell’esistenza di condizioni di fungibilità ed intercambiabilità che avrebbero giustificato una scelta diversa o la rotazione.

8. Con il quinto motivo di ricorso è denunciata di nuovo la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e/o comma 8 in combinato disposto, questa volta, con l’art. 4, comma 5 stessa legge e con l’art. 1362 c.c. per aver trascurato la sentenza impugnata che l’avviamento della procedura di cassa integrazione rispondeva ad una richiesta delle parti sociali, già convocate ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4 e che, pertanto, la stessa si inseriva in una già avviata procedura di licenziamento collettivo nel corso della quale, congelata la mobilità, si era deliberato appunto di ricorrere per 12 mesi alla cassa integrazione in relazione alla cessazione dell’attività per crisi aziendale anche al fine di verificare l’esistenza di possibilità di utilizzazione diversa di tale personale anche attraverso contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo lavoro. Sottolinea che erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto che l’applicazione congiunta ed interdipendente degli istituti portati dalla L. n. 223 del 1991, art. 4 e art. 1 necessitasse di una disciplina ad hoc che spiegasse la possibilità o meno di derogare ai canoni di legittimità espressi da quelle norme. Al contrario il giudice di primo grado nel rigettare la domanda ne aveva tenuto conto ed aveva interpretato complessivamente i verbali sottoscritti dalle parti e la condotta dalle stesse tenuta.

9. Con il sesto motivo di ricorso infine la società lamenta la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e/o comma 8 e della L. n. 164 del 1975, art. 5 con riferimento all’art. 1362 c.c. per non aver ritenuto che l’accordo intervenuto tra la Società ed il sindacato era idoneo a far superare le anomalie formali sulle modalità di consultazione essendo stato comunque raggiunto lo scopo dalle stesse perseguito.

10. Le censure, da esaminare congiuntamente perchè sotto diversi aspetti investono la medesima questione, sono infondate.

10.1. Occorre premettere che in sede di impugnazione di un provvedimento aziendale di sospensione per messa in Cassa integrazione effettuato a norma della L. n. 223 del 1991, ove venga contestata, da parte del lavoratore, la mancata osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità, grava sul datore di lavoro l’onere di indicare e provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei suddetti criteri. (cfr. Cass. 26/01/2006 n. 1550 e già 24/08/2004 n. 16680 e più recentemente Cass. 21/09/2011 n. 19235).

10.2. Nello specifico, poi, la Corte di merito ha accertato, prima ancora di scendere nel merito della concreta applicazione dei criteri fissati sia per la scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione sia per la attuazione della rotazione, che gli stessi per la estrema genericità della loro formulazione viziassero la procedura rendendola illegittima.

10.3. In sostanza la Corte territoriale, davanti alla quale era stata riproposta la questione della inidoneità dei criteri fissati a costituire un valido riferimento per l’individuazione dei destinatari della procedura di cassa integrazione, si è posta su un piano diverso rispetto al giudice di primo grado e ancor prima di scendere nel concreto ha ritenuto che la formulazione astratta degli stessi fosse generica. Diviene irrilevante, allora, perchè riferita ad una fase successiva la valutazione del primo giudice che ha verificato in concreto l’osservanza di criteri ritenuti radicalmente inidonei per lo scopo al quale erano destinati.

10.4. Nè rileva ai fini della valutazione della specificità dei criteri per la collocazione in cassa integrazione la circostanza che la procedura fosse connessa alla procedura di mobilità. E’ evidente la diversità di finalità cui sono ispirati e di funzioni cui assolvono i criteri di scelta per individuare i lavoratori da sospendere in CIG (nella prospettiva di una ripresa dell’attività di impresa secondo un programma di ristrutturazione, di riorganizzazione o di conversione rispetto alla quale essi sono soggetti ad una sospensione o riduzione temporanea della prestazione lavorativa), ovvero da licenziare, qualora invece l’attuazione del suddetto programma non ne consenta un integrale reimpiego, nell’assenza di misure alternative (cfr. Cass. 07/11/2016 n. 22546).

10.5. A tali principi si è attenuto il giudice di merito che ha esattamente posto in rilievo che la connessione tra la procedura di mobilità e quelle di cassa integrazione non esimevano dal rispetto dal rispetto delle regole dettate per queste ultime dalla L. n. 223 del 1991 nè esoneravano dagli obblighi di comunicazione indicati dall’art. 7 stessa legge atteso che tale comunicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori svolge una funzione più pregnante, di garanzia procedimentale, e lo scopo della disposizione di legge è quello di rendere trasparente e verificabile la scelta del datore di lavoro in funzione di tutela di quei lavoratori che, subendo la scelta suddetta, si trovano in una situazione di mera soggezione.

11. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. La mancata costituzione del P., rimasto intimato, esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2018

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