Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21703 del 26/08/2019

Cassazione civile sez. II, 26/08/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 26/08/2019), n.21703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 21416/’15) proposto da:

IMPRESA Z. S.R.L.,(P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Maria Gorgoglione

e Beatrice De Siervo ed elettivamente domiciliata presso lo studio

della seconda, in Roma, alla v. Panama, n. 52;

– ricorrente –

contro

P.C., (C.F.: (OMISSIS));

– intimata –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 597/2015,

depositata il 5 febbraio 2015 (non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8

maggio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Patrone Ignazio, che ha concluso per

l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso;

uditi l’Avv. Maria Gorgoglione, per la ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 222/2010, il Tribunale di Busto Arsizio, nel decidere

sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da P.C. nei confronti dell’impresa Z. s.r.l. con riferimento al ricorso in sede monitoria per l’ottenimento del corrispettivo relativo ad un contratto di appalto intercorso tra le parti riguardante l’esecuzione di opere di ristrutturazione e per il recupero parziale del sottotetto dell’abitazione sita in (OMISSIS) di proprietà della committente, così provvedeva: – rigettava la domanda di risoluzione contrattuale formulata dalla P.; – respingeva la domanda di reintegrazione nel possesso avanzata sempre dalla suddetta committente nei riguardi dell’impresa appaltatrice; – accoglieva l’eccezione di inadempimento proposta dall’Impresa Z. ai sensi dell’art. 1460 c.c., alla quale veniva riconosciuto un credito per il pagamento del corrispettivo relativo all’esecuzione delle opere appaltate nella misura di Euro 88.935,71.

Pronunciando sull’appello formulato dall’Impresa Z. s.r.l. e nella costituzione dell’appellata, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 597/2015 (depositata il 5 febbraio 2015), respingeva il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte territoriale rigettava tutte le censure dedotte dalla società appaltatrice sia con riguardo alla rilevazione dei, vizi asseriti come commessi nell’esecuzione dell’appalto (che avevano inciso sul riconoscimento in suo favore di un prezzo ridotto rispetto al reclamato corrispettivo) sia con riferimento alla concreta determinazione del corrispettivo dovuto in favore di essa appellante.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’Impresa Z. s.r.l.

L’intimata P.C. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. per essere stata ritenuta esistente la domanda relativa all’accertamento del c.d. vizio “altezza solaio” ed il conseguente risarcimento del danno oltre alla violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 1661 c.c. per essere stato negato il diritto alla prova.

1.2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, – la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 1 (rectius: comma 2), n. 4), per non avere la Corte di appello risposto al motivo di gravame proposto e per non aver tenuto conto delle seguenti circostanze: 1) il cantiere è sospeso e, quindi, aperto; 2) non è stata consegnata al Comune la dichiarazione di fine lavori; 3) non è stata verificata nè accertata l’esistenza di un abuso edilizio ovvero che la maggior altezza del sottotetto non era rispettosa dei parametri imposti dal Comune di Caronno; 4) la maggior altezza del tetto era regolarizzabile in via amministrativa con il deposito di un progetto in variante; 5) via era la possibilità di riallineare il tetto secondo l’originario progetto; 6) la maggiore volumetria di un locale non costituiva danno e non diminuiva il valore di un immobile bensì lo incrementava.

1.3. Con la terza doglianza la ricorrente ha prospettato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 1 (rectius: comma 2), n. 4), per non aver la Corte di appello risposto al motivo di gravame dedotto in ordine al ritenuto “erroneo piano del terrazzo eseguito” e per non aver tenuto conto delle seguenti circostanze: 1) il getto strutturale del terrazzo viene sempre effettuato prima di qualsiasi ulteriore intervento (posa di soletta, impermeabilizzazione, posa di eventuali tubature, posa di piastrelle); 2) la committente aveva fatto collocare le tubazioni di vari impianti elettrici, idrici, di riscaldamento da altre imprese DOPO che l’Impresa aveva provveduto alla gettata strutturale; 3) l’Impresa aveva rispettato le quote indicate nel progetto; 4) le tubazioni potevano essere collocate all’interno dell’abitazione.

1.4. Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, – la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 1 (rectius: comma 2), n. 4), per non aver la Corte di appello risposto al motivo di gravame dedotto in merito all’erroneo criterio di quantificazione del danno per i ritenuti vizi inemendabili (calcolato sul valore commerciale dell’immobile finito per mq in relazione all’intera superficie del’immobile anzichè sulla sola superficie interessata dalla ristrutturazione e sul valore al rustico) con conseguente abnorme sproporzione tra importo totale dell’appalto (Euro 66.044,14) e danno riconosciuto (Euro 25.289,24).

1.5. Con la quinta ed ultima censura la ricorrente ha dedotto – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 1 (rectius: comma 2), n. 4), oltre che dell’art. 2697 c.c., per non aver la Corte di appello risposto al motivo attinente alla non debenza del ritenuto danno per oneri pulizia del giardino e per non aver tenuto conto delle seguenti circostanze: 1) il cantiere era ancora aperto in capo ad essa Impresa Z.; 2) la pulizia del giardino segue la fine dei lavori che, allo stato, non erano stati ancora ultimati.

2. Rileva il collegio che il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile.

In via preliminare deve essere riconfermato il principio generale reiteratamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., da ultimo, Cass. n. 23940/2017) – secondo cui, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento del giudice di merito opera interamente sul piano dell’apprezzamento delle circostanze fattuali, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione di vizi afferenti ad assunte errate valutazioni di dette circostanze da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012.

Ciò premesso, si osserva che con la prospettazione dell’asserito vizio ricondotto – con la prima censura da parte della ricorrente – alla violazione dell’art. 112 c.p.c. è stata, in effetti, dedotta una questione attinente all’interpretazione dell’ambito della domanda originaria della P. circa i vizi dalla stessa contestati, con riguardo alla quale la Corte di appello di Milano (confermando sul punto la sentenza di primo grado) ha ritenuto che fosse stato dedotto – nel complesso della domanda formulata – anche il vizio riconducibile all’erroneo piano del terrazzo, assumente una propria autonomia (anche nel caso – come sostiene la ricorrente – che esso fosse stato dedotto in funzione della riduzione del prezzo pattuito per l’esecuzione dell’appalto).

Al riguardo va evidenziato che l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale non è contestabile con la deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c. (da sussumersi nel motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) bensì è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità del relativo esame motivazionale e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale.

Il motivo è, quindi, inammissibile perchè riferito erroneamente ad una violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

3. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile perchè con lo stesso – lungi dal comportare la configurazione di una violazione in senso proprio del medesimo principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato – la ricorrente ha, invero, invocato una rivalutazione sul merito con riferimento alle circostanze esposte nella medesima censura (precedentemente riportate), nel mentre avrebbe dovuto dedurre, più propriamente, il vizio di omesso esame di fatti ritenuti decisivi ai fini di un possibile diverso esito della controversia (cfr. Cass. SU n. 17931/2013 e Cass. n. 10862/2018).

Ad ogni modo, la Corte territoriale ha espresso una motivazione sulle questioni dedotte (e non l’ha, quindi, omessa), rilevando come – sul presupposto che l’appellante non aveva contestato l’errata realizzazione del tetto dell’immobile sui cui dovevano essere eseguiti i lavori appaltati – non fosse stata manifestata una precisa contestazione dell’importo determinato dal c.t.u. in relazione a tale verificata difformità, essendosi anzi l’appellante dichiarata disponibile “a procedere al suo abbassamento”, circostanza questa che non poteva essere considerata in virtù del disinteresse della committente che aveva, invece, optato per la tutela delle sue ragioni con l’azione risarcitoria.

4. Pure il terzo motivo si profila inammissibile perchè – non vertendosi in un caso di violazione dell’art. 112 c.p.c. – esso si risolve, in effetti, nella contestazione di una valutazione di merito (anche in relazione alla risultanze della c.t.u.) che, sul punto specifico, è stata comunque compiuta dalla Corte di appello con una motivazione sufficiente, come riportata all’inizio dello stesso svolgimento del motivo.

Ed infatti, proprio con riferimento al vizio consistente nell’erroneo piano del terrazzo, la Corte territoriale ha riconfermato l’accertamento di detto vizio sulla scorta delle risultanze della c.t.u., ha ritenuto irrilevanti le osservazioni avverso la relazione tecnica dell’ausiliario giudiziario e ha rilevato che, a fronte dell’impropria scelta della committente, essa appaltatrice avrebbe dovuto farsi carico di segnalare le conseguenze derivanti da quella scelta relativa alla realizzazione del piano del terrazzo e non procedere, invece, all’esecuzione del relativo intervento con il posizionamento errato del piano.

5. Anche la quarta censura incorre nella sanzione dell’inammissibilità perchè, ancora una volta, non è riconducibile – come, invece, denunciato dalla ricorrente – alla configurabilità della violazione dell’art. 112 c.p.c..

La ricorrente avrebbe dovuto dedurre il vizio di omesso esame di fatti ritenuti decisivi con riguardo all’asserita mancata valutazione della questione della possibile incidenza sulla determinazione dell’entità dei danni del deprezzamento dell’immobile sia sul criterio di applicazione della percentuale di deprezzamento e, in senso più generale, con riferimento ai vizi ritenuti inemendabili (per il cui danno si sarebbe fatto riferimento erroneamente al valore commerciale dell’immobile finito).

6. Il quinto ed ultimo motivo è infondato sia perchè la Corte di appello (v. parte finale di pag. 3 dell’impugnata sentenza) ha preso specificamente in esame la critica avverso la sentenza di primo grado riguardante il riconoscimento o meno dell’importo per la pulizia del giardino sia perchè ha offerto, in proposito, una motivazione comunque sufficiente.

7. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, senza doversi adottare alcuna pronuncia sulle spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019

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