Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21702 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 29/07/2021), n.21702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2003-2016 proposto da:

ICOTER SRL IN LIQUIDAZIONE, T.J.L. elettivamente

domiciliati in ROMA, Piazza Cavour, presso la cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato TULLIO

MATARESE;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1222/2015 della COMM. TRIB. REG. EMILIA

ROMAGNA, depositata il 10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/04/2021 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La società Icoter srl in liquidazione ed il socio unico T.J.L. ricorrono contro la sentenza della CTR dell’Emilia-Romagna che, a conferma della sentenza della CTP di Bologna, ha respinto i ricorsi e riconosciuto come non deducibili i costi contabilizzati dalla società per l’anno 2007 relativi al pagamento di fatture emesse da soggetti terzi.

In particolare, con l’avviso di accertamento per l’anno 2007 l’ufficio aveva recuperato a tassazione nei confronti della società e del socio unico tali costi, rappresentati dalle fatture emesse dalla ditta C.G., B.G. e Co.Ad., ritenendoli non inerenti.

Impugnato l’accertamento, la CTP di Bologna rigettava i ricorsi riuniti, confermando il giudizio di non inerenza dei costi.

La CTR rigettava l’appello dei contribuenti.

Contro quest’ultima sentenza ricorrono i contribuenti sulla base di tre motivi. L’ufficio si è costituito con controricorso.

Emerge dagli atti che l’istanza di definizione agevolata presentata nel frattempo dalla società ai sensi del D.L. n. 118 del 2019, è stata respinta perché il contribuente non ha versato l’importo dovuto, e non risulta che quest’ultimo provvedimento sia stato impugnato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo i contribuenti deducono violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 241 del 1990, art. 21-septies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR avrebbe errato a non riconoscere la nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di sottoscrizione di soggetto abilitato.

Il motivo è inammissibile alla luce delle seguenti circostanze:

– non vi è prova che il ricorrente lo avesse dedotto nei gradi precedenti; dagli atti non emerge questo elemento essenziale per valutarne l’ammissibilità; anzi, quando il ricorrente, a pag. 4 del ricorso, riassume lo svolgimento dell’intero procedimento ed i motivi dedotti nei gradi precedenti, non menziona in alcun modo tale vizio dell’avviso di accertamento. Ora, questa Corte ha affermato, contrariamente a quanto ritiene il contribuente sulla rilevabilità d’ufficio della nullità dell’avviso di accertamento (elemento che, tra l’altro, conferma indirettamente il fatto che non fosse stato dedotto nei gradi precedenti), che “e’ inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità”. (sez. V, n. 13126 del 2016, n. 10802 del 2010, n. 8114 del 2002, n. 13087 del 2003, n. 3731 del 1993, n. 22810 del 2015, n. 706 del 2017).

– il ricorrente, inoltre, doveva circostanziare più approfonditamente come si presentava l’avviso di accertamento in questione, cioè da chi era firmato in concreto, e perché tale specifica sottoscrizione avrebbe reso l’atto nullo. E’ vero che si fa riferimento ad un avviso di accertamento sottoscritto dal capo team e non dal capo ufficio, e si prospetta una mancanza di delega, ma il motivo non specifica le effettive ragioni per cui il funzionario che nel caso concreto ebbe a sottoscrivere l’opposto avviso di accertamento non sarebbe stato efficacemente e validamente delegato a tanto. Il vizio, cioè, avrebbe dovuto essere dimostrato in concreto in riferimento all’avviso di accertamento in questione, per esempio allegando o descrivendo la relativa pagina dell’avviso che viene in rilievo nel presente caso. Così come è dedotto, invece, il motivo sembra risolversi in un puro esercizio teorico sul tema, sganciato dalla rilevanza del caso concreto. In altri termini, il ricorrente invoca la nullità di un avviso firmato dal capo team senza una delega specifica, ma non dimostra in alcun modo che quello impugnato nel caso di specie presentasse tale vizio. Non si tratta di un’inversione dell’onere della prova, ma semplicemente di circostanziare il motivo di impugnazione in modo da rendere esplicita la rilevanza nel caso concreto.

Con il secondo motivo deducono violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e dell’art. art. 2779 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR avrebbe errato laddove ha riconosciuto la gravità degli indizi, non ha tenuto conto del fatto che il concetto di inerenza è legato alla attività di impresa e non ai ricavi e non ha tenuto conto della effettività dei pagamenti delle fatture, non contestati.

Il motivo è infondato.

La sentenza affronta il tema della non inerenza sotto il profilo della inesistenza del rapporto sottostante alle fatture, desume questo elemento da una serie di circostanze fattuali (gli emittenti erano evasori totali, un contratto di lavoro non aveva indicazioni specifiche, nessun prezzo, non avevano struttura, macchinari per eseguire le opere) e ritiene tutti questi elementi gravi, precisi e concordanti, quindi il motivo non appare del tutto centrato rispetto al contenuto della sentenza.

Quanto alle circostanze di fatto in base alle quali la decisione impugnata è giunta alla sua conclusione, in quanto tali sono sottratte al sindacato di questa Corte, una volta che siano congruamente motivate come nel caso di specie.

Neppure il fatto che qualche fattura sia stata pagata è sufficiente per ritenere non corretto il principio affermato dalla sentenza impugnata. In tema di iva, che è imposta coinvolta dall’accertamento in questione, questa Corte (sez. V, ord. n. 8919 del 2020) ha affermato che:

“il diritto alla detrazione dell’imposta non sorge per il solo fatto dell’avvenuto pagamento dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, requisito questo mancante in relazione all’IVA corrisposta per operazioni (anche parzialmente)oggettivamente inesistenti, stante la sua inidoneità a configurare un pagamento a titolo di rivalsa in quanto costituente un costo non inerente all’attività dell’impresa e potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da spezzare il detto nesso di inerenza”.

E ancora (sez. VI-5, ord. n. 11873 del 2018):

“In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili”.

Si tratta di principio, peraltro, già affermato in sentenze anche risalenti nel tempo (sez. V, n. 15228 del 2001):

“In tema di IVA, ove l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente. Detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, e che, pertanto, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali”.

Con il terzo motivo deducono violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e dell’art. 2779 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La CTR avrebbe errato nel non riconoscere la buona fede del socio unico di Icoter, tra l’altro attestata dal fatto che il procedimento penale per uso di fatture false è stato archiviato, ed ha errato nel non riconoscere il concetto di inerenza nella sua accezione più ampia, come relazione con l’attività di impresa.

Il motivo è al limite della inammissibilità, prima di tutto perché è dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, valutabile necessariamente nella versione successiva alla riforma del 2012, ma allora doveva vertere sul mancato esame di un fatto decisivo, mentre per molti paragrafi riguarda invece il concetto di inerenza, l’errata contestazione della violazione nell’avviso di accertamento. Non è indicato, cioè, un “fatto storico” di cui la CTR avrebbe omesso l’esame, decisivo ai fini del giudizio.

Se per “fatto” il cui esame è stato omesso, invece, si vuole intendere l’archiviazione del procedimento penale, citata più volte nel motivo, è vero che sez. V, n. 21953 del 2007 ha cassato la sentenza che non aveva considerato il decreto di archiviazione. Tuttavia, a parte problemi di autosufficienza perché il decreto di archiviazione non è riprodotto (sez. V, n. 13625 del 2019), non è di immediata evidenza che il provvedimento di archiviazione di un procedimento penale sia un “fatto storico” nel senso richiesto dal nuovo n. 5. Il decreto di archiviazione è un provvedimento giuridico più che un fatto storico.

Ancora, se anche potesse considerarsi “fatto storico”, il collegio non ne ravvisa la “decisività” richiesta dall’art. 360 c.p.c., n. 5, atteso che l’archiviazione in sede penale non ha alcun effetto decisivo ed automatico sul giudizio tributario, in base al principio di assoluta indipendenza fra procedimento penale e procedimento fiscale. Il decreto di archiviazione penale, intervenuto per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari, è un elemento di prova per il giudice tributario, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie (n. 17624 del 2018). Nel caso di specie, si avrebbe una sorta di motivazione implicita di irrilevanza dell’archiviazione a fronte degli altri fatti che il giudice ha ritenuto prevalenti.

Se, invece, si vuole interpretare il motivo, in base al suo contenuto e non in base alla rubrica, come censura per violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la CTR ha ritenuto, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede, che nella specie le fatture fossero state emesse per operazioni inesistenti, dopo avere espressamente affermato di avere valutato gli elementi addotti dal contribuente. Ha compiuto una corretta analisi del principio di gravità, precisione e concordanza che fondano le presunzioni e che non vi fosse spazio per una lettura alternativa.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto a carico del ricorrente e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito. Doppio contributo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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