Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21701 del 26/08/2019

Cassazione civile sez. II, 26/08/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 26/08/2019), n.21701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 15088/’15) proposto da:

EDILTIRRENA COSTRUZIONI S.R.L., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in forza

di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Salvatore Trani

ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Dario Manna,

in Roma, v. Paolo Emilio, n. 34;

– ricorrenti –

contro

M.A.M. (C.F.: (OMISSIS)), P.E. (C.F.:

(OMISSIS)) e T.E. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentate e

difese, in virtù di procura speciale in calce al controricorso,

dall’Avv. Gian Luca Cardarelli ed elettivamente domiciliate presso

il suo studio, in Roma, v. Latina, n. 276;

– controricorrenti –

e

T.F., (C.F.: (OMISSIS)) e D.P.S. (C.F.:

(OMISSIS));

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 7415/2014,

depositata il 2 dicembre 2014 (non notificata).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con atto di citazione ritualmente notificato la Ediltirrena Costruzioni s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, T.F., T.E., P.E. e M.A.M., per sentir dichiarare la responsabilità contrattuale del primo, in quanto procuratore, e delle altre tre, quali promittenti venditrici, per la mancata stipula di un contratto di vendita di un complesso immobiliare sito in (OMISSIS), già oggetto di un contratto preliminare stipulato con il T.F., definitosi procuratore delle proprietarie.

Nella costituzione delle parti convenute, l’adito Tribunale, con sentenza n. 16988/2008, dichiarava l’inammissibilità della proposta domanda per violazione del principio del “ne bis in idem” sul presupposto che la società attrice aveva già ottenuto nei confronti del T.F. un decreto ingiuntivo, non opposto e divenuto, perciò, definitivamente esecutivo, sia pure “inutilmente”, atteso il verificarsi dello spoglio dei beni da parte dell’ingiunto, con conseguente preclusione dell’esame delle altre domande.

Decidendo sull’appello formulato dalla Ediltirrena Costruzioni s.r.l. e nella resistenza degli appellati T.F. e D.P.S. nonchè nella contumacia delle altre parti appellate, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 7415/2014 (depositata il 2 dicembre 2014), rigettava il gravame.

A fondamento dell’adottata pronuncia, la Corte laziale, disattese alcune eccezioni pregiudiziali di rito, confermava l’incidenza sull’esito della causa dell’accertata definitività del decreto monitorio in favore dell’appellante e nei confronti del T.F. (con derivante formazione del giudicato interno sulla circostanza dell’esercizio da parte dello stesso T. di una rappresentanza senza potere) e, in ogni caso, rilevava che la stessa Ediltirrena non aveva provato nulla circa la riferibilità del preliminare alle proprietarie, non ritenendosi necessaria, a tal fine, l’ammissione dei mezzi di prova dedotti dalla medesima appellante, siccome relative a circostanze già accertate anche in via documentale, pure perchè esse non investivano l’oggetto dell’intervenuta ratifica dell’operato del “falsus procurator”, la quale, oltretutto, imponeva l’osservanza della stessa forma (ovvero scritta) dell’atto di riferimento.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Ediltirrena Costruzioni s.r.l., riferito a tre motivi, al quale hanno resistito con un unico controricorso le intimate T.E., P.E. e M.A.M.. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

2. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di motivazione illogica e/o contraddittoria avuto riguardo alla valutazione della Corte di appello nella parte in cui, da un lato, aveva ritenuto che si fosse formato un giudicato interno (per effetto del decreto ingiuntivo divenuto definitivamente esecutivo) sulla circostanza che il T.F. avesse agito quale rappresentante senza potere di T.E., P.E. e M.A.M. e, dall’altro lato, che il contratto preliminare non fosse stato riferibile a queste ultime tre quali proprietarie dell’immobile oggetto del preliminare, che, invece, avrebbero dovuto considerarsi come parti che avevano operato una ratifica tacita dell’operato del “falsus procurator”.

3. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, con correlata violazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo alla mancata valutazione sul merito della controversia, con illegittimo addebito ad essa di una totale assenza nell’assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla riferibilità del preliminare alle tre suddette proprietarie, di fatto esonerandole da qualsiasi responsabilità e connivenza con il T.F. e, di fatto, privandola di ogni tutela nei confronti delle medesime proprietarie.

4. Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il vizio di omessa valutazione del materiale istruttorio ed un “error in procedendo” determinante la nullità del procedimento, con riferimento all’asserita erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui con essa era stata ravvisata l’irrilevanza delle prove orali da essa articolate (e non ammesse) con riguardo all’omessa intervenuta ratifica dell’operato del “falsus procurator”.

5. Rileva il collegio che il primo motivo – nei termini in cui è stato proposto, ovvero come afferente ad un supposto vizio di illogica e, comunque, contraddittoria motivazione – è inammissibile.

Esso, infatti, è stato riferito all’antecedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tuttavia “ratione temporis” inapplicabile nella fattispecie poichè l’impugnata sentenza risulta pubblicata successivamente all’11 settembre 2012 (data di entrata in vigore del testo novellato di detta norma).

Costituisce ormai giurisprudenza di questa giurisprudenza (cfr. Cass. SU n. 8053/2014, Cass. n. 23940/2017 e Cass. n. 22598/2018) che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nessuno di questi casi risulta essersi configurato nella controversia in esame, donde l’inammissibilità della prima censura, avendo comunque la Corte territoriale rilevato – in senso decisivo – la preclusione da giudicato interno con riferimento al fatto relativo all’esercizio da parte del T.F. di una rappresentanza senza potere.

6. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente poichè afferiscono alla medesima questione giuridica.

Essi non sono meritevoli di accoglimento.

Si profila, in particolare, come inammissibile il secondo poichè con esso risulta denunciata la violazione del’art. 112 c.p.c., la quale, però, non è configurabile (cfr., ad es., Cass. n. 14242/1999 e Cass. n. 13981/2004) allorquando venga prospettata l’illegittimità dell’impugnata pronuncia per la mancata ammissione di mezzi istruttori su apposite circostanze fattuali (nella specie quella della riferibilità del preliminare alle tre proprietarie).

E’ inammissibile anche il terzo ed ultimo motivo dal momento che la ricorrente, con lo stesso, ha operato un’indebita commistione tra violazione riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nella specie ricollegata all’omessa valutazione di risultanze istruttorie, dalla quale sarebbe derivata la nullità del procedimento – e violazione da sussumersi nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avuto riguardo all’eventuale omissione dell’esame di fatti da ritenersi decisivi ed emergenti dalle prove assunte.

Le Sezioni unite di questa Corte – con la sentenza n. 17931/2013 – hanno, infatti, statuito che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi, con la conseguenza che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa valutazione di risultanze istruttorie e denunci per tale ragione il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ponendo riferimento alla nullità della decisione derivante da detta omissione, lo stesso va dichiarato inammissibile allorquando non sia stato ricondotto alla violazione specificamente prevista dal n. 5) cit. art. (v., da ultimo, Cass. n. 10862/2018).

Occorre, perciò, affermare che, in tema di valutazione delle prove, l’omessa od incoerente valutazione del materiale istruttorio non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012.

Ad ogni modo, con la terza censura, la ricorrente non ha attinto la ratio decidendi, da considerarsi determinante ai fini dell’esito della controversia, circa la necessità che la ratifica – da parte delle tre promittenti venditrici concernente l’operato del falsus procurator avrebbe richiesto la medesima forma dell’atto concluso dal T.F., ovvero quella scritta, invece non provata e che non aveva, invero, costituito oggetto delle istanze probatorie dedotte nell’interesse della stessa Ediltirrena Costruzioni s.r.l..

E’ pacifico, peraltro, che la ratifica è una dichiarazione di volontà unilaterale, la quale deve necessariamente rispettare la forma prescritta per il contratto concluso dal falsus procurator, ed ha carattere ricettizio, richiedendo, per produrre effetto, la notifica o la comunicazione all’altro contraente (cfr. Cass. n. 27399/2009 e Cass. n. 2572/2011).

7. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il proposto ricorso deve essere dichiarato integralmente inammissibile (senza che, tuttavia, sussistano le condizioni per far luogo alla richiesta condanna ex art. 96 c.p.c. per asserita responsabilità aggravata).

A tale pronuncia consegue la condanna della ricorrente al pagamento – in favore delle controricorrenti ed in via solidale – delle spese del presente giudizio, che si liquidano nella misura di cui in dispositivo, con attribuzione al loro difensore per dichiarato anticipo.

Non deve disporsi alcunchè sulle spese relative ai rapporti processuali instauratisi tra la ricorrente e gli altri due intimati, non avendo questi ultimi svolto attività difensiva in questa sede processuale.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento – in favore delle controricorrenti, in solido fra loro – delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge, con attribuzione al difensore delle stesse controricorrenti per dichiarato anticipo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019

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