Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21701 del 20/10/2011
Cassazione civile sez. III, 20/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 20/10/2011), n.21701
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.L. (OMISSIS), M.E.
(OMISSIS), M.L. (OMISSIS), elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA PIETRO ROVETTI 170, presso lo studio
dell’avvocato STEFANIA CAVALLARO, rappresentati e difesi
dall’avvocato CARANDENTE TARTAGLIA LEOPOLDO giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
INA ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA in persona del
Procuratore Speciale Avv. M.M., elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA BENACO 5, presso lo studio dell’avvocato MARIA CHIARA
MORABITO, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRI RICCARDO giusta
delega in atti;
– controricorrente –
e contro
CO.RO., CA.CA., F.LLI CACCIAPU’ S.N.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 309/2008 del TRIBUNALE DI NAPOLI SEDE
DISTACCATA DI MARANO DI NAPOLI, depositata il 09/06/2008, R.G.N.
1077/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/09/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SGROI Carmelo che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso Avv.
C. in proprio, inammissibilità o rigetto nel resto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 9 giugno 2008 il Tribunale di Napoli (sezione distaccata di Marano) ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’avv. C.L. avverso la decisione del locale giudice di pace del 20 luglio 2004 e rigettato l’appello proposto contro la medesima decisione da M.L. M.E., rispettivamente proprietaria e conducente della vettura Smart (OMISSIS), con la quale la società F.lli Cacciapuoti, proprietaria di un furgoncino Fiat era stata condannata, in solido con la compagnia di assicurazioni Assitalia – Le assicurazioni di Italia, al risarcimento dei danni alla vettura ed al conducente, ed al pagamento delle spese legali, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, con distrazione in favore dell’avv. C.. Avverso tale decisione proponevano appello L. ed M.E., deducendo che il primo giudice aveva applicato erroneamente la tabella di riferimento relativa alla quantificazione del danno biologico subito dal M.. Con lo stesso appello, l’avv. C. proponeva impugnazione per se stesso, osservando che il giudice di pace aveva determinato le spese, diritti ed onorari di procedura ben di sotto dei minimi tariffari.
Avverso la sentenza del Tribunale hanno proposto ricorso per cassazione l’avv. C., L. ed M.E. formulando un unico motivo di censura.
Resiste con controricorso la INA Assitalia. Gli altri intimati non hanno svolto difese.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano errata applicazione o violazione di legge e comunque carente e contraddittoria motivazione della impugnata sentenza, in ordine ad entrambi i motivi di appello, nonchè sua nullità per essere stata emessa “ultra petita”.
Il giudice di appello aveva rigettato la domanda intesa ad ottenere una diversa quantificazione del danno biologico, il tutto senza adeguata motivazione.
Il calcolo operato dal Tribunale portava, comunque, ad una liquidazione del danno biologico superiore a quella effettuata dal primo giudice.
Pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto accogliere, sia pure in parte, il primo motivo di appello.
Quanto alle spese, il giudice avrebbe dovuto prendere in considerazione la seconda nota depositata, quella del 22 giugno 2004.
La sentenza impugnata non aveva deciso in ordine alla eventuale nullità della sentenza di primo grado, carente di qualsiasi motivazione in ordine alla liquidazione delle spese.
Il ricorso è inammissibile, in quanto i quesiti di diritti formulati (pag. 10) appaiono del tutto generici.
Nell’unico motivo di ricorso non sono indicate le disposizioni di legge che si assumono essere state violate.
La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non è formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.
Nell’atto di appello non erano state indicate le ragioni per le quali veniva richiesto il riconoscimento di un risarcimento maggiore di quello già liquidato dal primo giudice, nè invocata la applicazione delle tabelle allegate alla L. n. 57 del 2001.
Ciò nonostante, il giudice di appello ha ritenuto di poter riesaminare il conteggio predisposto dal giudice di pace, confermandolo dopo aver dato atto che le tabelle di cui alla L. n. 57 del 2001 portavano ad un risultato pressochè equivalente a quello raggiunto dal primo giudice – con una propria valutazione equitativa.
Quanto alle censure relative alle spese del giudizio di primo grado, le stesse sono del tutto generiche.
Inoltre, i quesiti di diritto posti ai nn. 4, 5 e 6 del ricorso non sono in linea con quanto previsto dalle disposizioni di legge applicabili “ratione temporis” al caso di specie.
Con essi si chiede a questa Corte di accertare se la sentenza impugnata sia carente di motivazione nella parte in cui ha deciso in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, non avendo tenuto presente la seconda nota spese depositata dal medesimo procuratore (provvedendo, eventualmente, di ufficio nel caso in cui avesse ritenuto che non fosse stata depositata una regolare nota spese).
Si richiama la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per la quale: “La parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore”.
Nel caso di specie, invece, i ricorrenti si sono limitati a ribadire che le spese, competenze ed onorari del giudizio di primo grado sarebbero state liquidate in misura non adeguata rispetto alla attività spiegata dal difensore e che il giudice di appello non avrebbe provveduto a correggere tale errore.
Donde la inammissibilità delle censure sollevate da L. e M.E..
Quanto alla posizione dell’avv. C., è appena il caso di ricordare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale:
“Il procuratore distrattario è parte limitatamente al capo della pronuncia con il quale gli sono state attribuite le spese ed alle censure che investono specificamente e direttamente tale capo; egli, pertanto, è legittimato a partecipare in proprio al giudizio di impugnazione soltanto se, con questa, si contesti il capo della pronuncia concernente la distrazione, e non la questione relativa all’entità delle spese e/o alla compensazione di esse” (Cass. 6 marzo 2006 n. 4792). Ed ancora: “La qualità di procuratore della parte nei cui confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo titolare alla proposizione dell’impugnazione in proprio, neanche quando si controverta unicamente in punto di spese processuali, salvo che lo stesso procuratore non se ne sia dichiarato antistatario ed i motivi delle proposte censure attengano esclusivamente alla concessione della distrazione”. (Cass. 28 aprile 1993 n. 4975).
Da ciò consegue che l’avv. C. non era legittimato a proporre appello e ricorso per cassazione in ordine alla quantificazione delle spese.
Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna dei ricorrenti in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in Euro 800,00 (ottocento/00) di cui Euro 200,00 (duecento/00) per spese, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 settembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011