Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21698 del 26/08/2019

Cassazione civile sez. II, 26/08/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 26/08/2019), n.21698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3768-2015 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI

79/H, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO LACCHIN;

– ricorrente –

contro

PA.GA., già titolare dell’omonima impresa individuale

FOOTBALL & SPORT di PA.GA., elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA SISTINA 42, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA

GIORGIANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato EUGENIO CORRIAS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2882/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Varese, con sentenza n,.401 del 2011, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso su istanza dell’avv. P.E. nei confronti della Ditta Football & Sports di Pa.Ga., per il pagamento dell’importo di Euro 17.979,27 oltre interessi, a titolo di compenso dell’attività, prestata nella causa civile definita con sentenza del Tribunale di Varese n. 352 del 2004, ed aveva condannato l’opponente al pagamento della minor somma di Euro 4.200,00, così risultata dalla rideterminazione del compenso dovuto in Euro 7.200,00, e dalla detrazione degli acconti già ricevuti dal professionista.

2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata in data 23 luglio 2014, ha rigettato il gravame.

2.1. Dopo aver esaminato la documentazione inserita nel fascicolo del ricorso monitorio, ritualmente ricostruito, la Corte territoriale ha ritenuto che non fosse provato l’espletamento di attività ulteriore rispetto a quella connessa al giudizio definito con la sentenza del Tribunale di Varese n. 352 del 2004.

2.2. La stessa Corte ha quindi affermato che la determinazione del compenso spettante al professionista era stata effettuata dal Tribunale sulla base del materiale istruttorio, tenuto conto che il parere di congruità reso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati non era vincolante nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Per altro verso, l’oggettiva incongruenza tra il valore effettivo della causa patrocinata dall’avv. P. e quello preteso rendeva inapplicabile il solo criterio previsto dall’art. 1193 c.c., e il Tribunale aveva individuato correttamente il valore della causa nell’importo riconosciuto dal giudice, e quindi aveva fatto applicazione dello scaglione di riferimento.

2.3. Infine, la Corte d’appello ha confermato l’imputazione degli acconti pari ad Euro 3.000,00 all’attività svolta nella causa in oggetto, e condannato la ditta appellata al pagamento dell’importo di Euro 4.168,00 oltre accessori ed interessi legali.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’avv. P.E., sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso Pa.Ga., titolare della Ditta Football Sports. Il contoricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata “inesistente e/o omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione” sul un punto decisivo della controversia, costituito dallo smarrimento del fascicolo di parte nel giudizio di primo grado, nonchè omessa e/o erronea applicazione dei principi e delle norme di diritto in relazione alle prove documentali.

2. Con il secondo motivo è denunciata “errata applicazione della norma di diritto afferente il conferimento di incarico al difensore” e delle norme in tema di prova documentale, nonchè erronea valutazione delle prove.

3. Con il terzo motivo è denunciata “errata applicazione di principi di diritto e (…) contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia costituito dalla asserita possibilità per il giudice di revocare e/o modificare l’importo riconosciuto congruo dal Consiglio dell’ordine degli avvocati”.

4. Con il quarto motivo è denunciata “errata e/o omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia avente ad oggetto la individuazione dello scaglione di riferimento”, nonchè violazione ed erronea applicazione di norme.

5. Con il quinto motivo è denunciata “illogicità e/o incoerenza e/o contraddittorietà dei criteri a presidio della determinazione del compenso spettante all’avv. P.; omessa e/o errata e/o insufficiente motivazione”.

6. Con il sesto motivo è denunciata “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte d’appello fatto ricorso a liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.”, nonchè vizio di motivazione in ordine allo scostamento dall’orientamento della Suprema Corte sul punto decisivo della controversia relativo al “procedimento” di determinazione del compenso.

7. I motivi sono tutti inammissibili.

7.1. Il vizio di motivazione è dedotto al di fuori del paradigma delineato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (ex multis, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/09/2016, n. 19312) secondo cui, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modif. dalla L. n. 134 del 2012, non è più consentito denunciare un vizio di motivazione se non quando esso dia luogo, in realtà, ad una vera e propria violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Ciò si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie. Il controllo sulla motivazione da parte del giudice di legittimità si risolve, quindi, in un controllo ab intrinseco, nel senso che la violazione del citato art. 132 c.p.c., n. 4, deve emergere obiettivamente dalla lettura della sentenza, senza possibilità di ricavarlo dal confronto con atti o documenti acquisiti nel corso dei gradi di merito.-Sempre secondo le Sezioni Unite n. 8053 del 2014, l’omesso esame previsto dall’art. 360, n. 5 deve riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico), principale. (costitutivo, impeditivo, estintivo o.modificativo del diritto azionato) o secondario, cioè dedotto in funzione probatoria, il che peraltro non implica che possa denunciarsi l’omesso esame di elementi probatori, essendo sufficiente che il fatto sia stato esaminato anche se il giudice di merito non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti.

7.2. Oltre a non rispondere allo schema sopra delineato, le doglianze prospettate investono la valutazione di atti e documenti senza riportarne il contenuto, come invece richiesto dal principio di specificità ex art. 366 c.p.c., n. 6, la cui violazione è sanzionata appunto con l’inammissibilità.

7.3. Analogamente, sono inammissibili le doglianze con cui si denuncia violazione di legge, in quanto i pretesi errori di diritto sono dedotti in modo generico, in larga parte senza indicare le norme in assunto violate, in ogni caso senza fornire elementi di riscontro per l’invocato controllo di legittimità.

7.4. Risulta inammissibile anche il sesto motivo di ricorso con il quale si denuncia l’applicazione dell’art. 1226 c.c. che disciplina la liquidazione del danno, tema palesemente estraneo alla decisione impugnata. E’ vero, infatti, che la Corte d’appello ha utilizzato la locuzione “giusto criterio equitativo” per significare che il giudice di primo grado aveva valutato prudenzialmente le attività svolte dal difensore, all’interno dello scaglione di riferimento.

8. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricoprente alle spese come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019

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