Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21698 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 08/10/2020), n.21698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11955/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

La Goldoncina s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Tomassini e

Giuseppe Ferrara Franco, con domicilio eletto presso il loro studio,

sito in Roma, via dei Due Macelli, 66;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, sez. dist. di Livorno, n. 2073/14/11, depositata il 29

ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. Eugenio De Bonis, per la ricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, sez. dist. di Livorno, depositata il 29 ottobre 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso de La Goldoncina s.r.l. per l’annullamento dell’atto di contestazione con cui era stata irrogata la sanzione per mancata regolarizzazione di operazioni di acquisto non fatturate dal cedente.

2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che tale atto faceva riferimento ad un’operazione di acquisto di un compendio immobiliare in relazione alla quale erano stati versati dalla contribuente, quale parte cessionaria, acconti sul prezzo, non accompagnati dalla emissione della relativa fattura e dall’applicazione della relativa i.v.a. da parte della cessionaria.

3. Il giudice di appello ha respinto il gravame erariale ritenendo, in conformità con quanto statuito dalla Commissione provinciale, che l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di accertamento, avuto riguardo al mancato rispetto del termine quinquennale previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, e all’insussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio dei termini di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, commi da 24 a 26, in quanto, in relazione al periodo di imposta in oggetto, non risultavano commesse violazioni che comportavano un obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

4. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.

5. Resiste con controricorso la Goldoncina s.r.l.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso proposto l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, così come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, commi da 24 a 26, conv. nella L. 4 luglio 2006, n. 246, per aver il giudice di appello escluso che ricorressero gli estremi per il raddoppio dei termini di accertamento, benchè la condotta posta in essere dalla contribuente nel periodo di imposta in esame, valutata unitamente alle ulteriori azioni dalla medesima posta in essere nel periodo di imposta successivo, avvinte da un nesso teleologico, assumesse rilevanza ai fini che interessano in questa sede e in relazione a tali fatti, unitariamente considerati, era stata presentata segnalazione di reato ai sensi dell’art. 331 c.p.p..

1.1. Il motivo è fondato.

Il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha stabilito che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

Il medesimo D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 25, introduce analoga disposizione in materia di i.v.a., previa modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.

Tali disposizioni trovano applicazione al caso in esame, benchè relativo a periodo di imposta antecedente l’entrata in vigore delle richiamate disposizioni, in quanto, ai sensi del menzionato D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 26, il raddoppio dei termini si applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, siano ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento, per cui interessa anche il caso in esame relativo ad un avviso di accertamento emesso in relazione al periodo di imposta 2005 (cfr., in tema, Cass., ord., 13 settembre 2018, n. 22337; Cass. 16 dicembre 2016, n. 26037).

Non vengono, invece, in rilievo, le modifiche introdotte, dapprima, dal D.Lgs. 3 agosto 2015, n. 128, art. 2, commi 1 e 2, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, quindi, dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi da 130 a 132, che ha tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari.

Infatti, quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è intervenuta in data 12 giugno 2012.

Quanto alla ulteriore modifica, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015 per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 3, comma 2, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto.

1.2. Ciò posto, secondo la disciplina applicabile al caso in esame, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione odi condanna (cfr., altresì, Cass., ord., 30 maggio 2016, n. 11171).

Infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

1.3. La specificità della situazione in esame è rappresentata dal fatto che la condotta che ha dato luogo alla irrogazione della sanzione, ossia la mancata regolarizzazione di operazioni di acquisto non fatturate dal cedente, non integra, di per sè, l’elemento oggettivo di una delle fattispecie incriminatrici previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, ma assume rilevanza, a tali fini, laddove lo si valuti unitamente alle altre condotte poste in essere nel periodo di imposta successivo dalla contribuente, nonchè dagli operatori coinvolti nell’operazione, risolvendosi in un segmento del fatto tipico penalmente rilevante.

Viene, dunque, in rilievo, un comportamento astrattamente idoneo ad integrare un segmento della condotta della fattispecie incriminatrice, poi perfezionatasi a seguito del compimento di ulteriori azioni ad esso collegate, e, in quanto tale, avente efficacia causale alla realizzazione del fatto illecito.

Si rammenta, in proposito, che contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, laddove si accerti la sussistenza della relazione di causalità efficiente tra tale contributo e le attività poste in essere dagli altri concorrenti (cfr. Cass. 16 novembre 2017, Raduano; nonchè, più in generale, Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2003, P.G., Andreotti e altro).

Alla luce delle considerazioni che precedono deve ritenersi che, con riferimento al caso in esame, l’obbligo di denuncia è venuto ad esistenza solamente quanto tutti gli elementi della fattispecie delittuosa sono stati realizzati e, per tale ragione, sia emersa la configurabilità di un fatto penalmente rilevante.

Una siffatta conclusione è coerente con la ratio di prevedere un più ampio termine decadenziale per quelle condotte che presentano un maggiore disvalore, in relazione alla loro rilevanza penale, che verrebbe disattesa qualora si escludesse l’operatività della disposizione in esame nei casi in cui la condotta criminosa si presenti particolarmente articolata e si perfezioni attraverso il suo frazionamento in una pluralità di azioni o omissioni, ciascuna di esse neutre sotto il profilo penale, se unitariamente apprezzate, ma la cui valutazione unitaria evidenzia il loro carattere delittuoso.

1.4. Pertanto, la Commissione regionale, nell’escludere l’operatività della disposizione che prevede il termine di decadenza raddoppiato rispetto a quello ordinario in ragione dell’assenza di un disvalore penale delle condotte oggetto del provvedimento sanzionatorio, senza valutare il loro inserimento in una più articolata condotta integrante gli estremi di una delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto.

2. La sentenza impugnata va, dunque, cassata e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, sez. dist. di Livorno, in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione regionale della Toscana, sez. dist. di Livorno, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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