Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21698 del 06/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 06/09/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 06/09/2018), n.21698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25287-2016 proposto da:

BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RUGGERO FAURO, 102, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO

COSTANTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELLO CARINCI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO OZZOLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

GE.FA. SCARL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2028/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2018 dal Presidente Relatore Dott. ANDREA

SCALDAFERRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

rilevato che BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA (BPER), quale incorporante la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona s.p.a. (giusta rogito in data 16/05/2013), impugna la sentenza App. Roma 29.03.2016 con la quale, riuniti gli appelli della odierna ricorrente e di GE.FA. società consortile a r.l., in riforma parziale della sentenza Trib. Roma 28.7.2010, n. 16550 già contenente declaratoria d’inefficacia L. Fall., ex art. 44 di tutte le operazioni intervenute dopo la dichiarazione di fallimento sul conto corrente presso l’istituto bancario ricorrente della fallita (OMISSIS) s.p.a. (GEOSONDA), la conseguente condanna restitutoria era stata ridotta dagli iniziali Euro 942.159,42 ad Euro 739.327,54, oltre interessi legali dai versamenti; parimenti, GE.FA società consortile a r.l. era stata condannata a corrispondere alla medesima banca detta somma;

che la corte d’appello ha osservato: 1) che Geosonda e Costruzioni Geom. F.L. s.r.l. si sono aggiudicate congiuntamente un appalto della Regione Molise per l’esecuzione di alcune opere e, al fine di coordinare al meglio i lavori, hanno costituito, con atto notarile, una Associazione Temporanea di Imprese (ATI), conferendo a (OMISSIS) il relativo mandato; 2) che a distanza di circa un anno, il 12.01.2000, le due società hanno posto in essere una società consortile (la GE.FA. r.l.) ai sensi del D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 26 conferendo alla stessa l’esecuzione totale dei lavori acquisiti; 3) che non essendo stata ripartita secondo quote percentuali, in sede di costituzione dell’ATI, l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto, occorre rifarsi alla quota di partecipazione alla società consortile, che quei lavori avrebbe dovuto espletare, per individuare la percentuale di partecipazione ai lavori e, di conseguenza, agli utili (misura pari all’80% quanto a (OMISSIS); al 20% quanto a Falcione); 4) che la P.A. appaltante aveva disposto che i pagamenti venissero eseguiti in favore di (OMISSIS), in quanto mandataria dell’ATI, presso il conto corrente acceso da quest’ultima in una filiale della BPER; 5) che (OMISSIS), da parte sua, aveva preventivamente ordinato all’istituto bancario ricorrente di bonificare in pari data e con pari valuta tutte le somme versate dalla Regione Molise su altro conto, intestato alla destinataria GE.FA.; 6) che il 17/07/2002 (OMISSIS) è stata dichiarata fallita dal Trib. di Roma e il 31/07/2002 la Regione Molise ha versato Euro 924.159,12 presso il conto della fallita, per pagamento dei lavori espletati: l’istituto bancario, in adempimento delle prescrizioni precedentemente ricevute, ha trasferito l’ammontare sul conto corrente della GE.FA.; 7) che la movimentazione di tale somma è stata ritenuta dal primo giudice inefficace ai sensi della L. Fall., artt. 42-44 e la BPER è stata condannata a versare la somma stessa alla curatela; la GE.FA., per parte sua e come detto, è stata condannata a tenere indenne la banca; 8) che le doglianze mosse dall’odierna ricorrente sono parzialmente fondate, atteso che, essendo venuti meno, alla data del fatto e in virtù del fallimento, il rapporto di mandato per ATI rilasciato alla fallita (OMISSIS) e, conseguentemente, i poteri di gestione e di rappresentanza già in capo alla stessa, la curatela deve ritenersi legittimata a riscuotere (e trattenere) dall’amministrazione il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto solo per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati la cui realizzazione, in base all’accordo di associazione temporanea, era di spettanza della fallita (pari all’80%), sì che l’istituto bancario è tenuto alla restituzione alla curatela della minor somma di Euro 739.327,55 (oltre interessi), ed in tali limiti deve simmetricamente ritenersi la GE.FA. tenuta a propria volta alla restituzione in favore di BPER;

considerato che con il ricorso, in tre motivi, la banca ricorrente contesta: la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 42 e 44, nella parte in cui si sono considerate depauperative del patrimonio della fallita le operazioni compiute dall’istituto bancario; la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 16 e 17 applicabili ratione temporis, poichè si è ritenuto che gli effetti del fallimento nei confronti dei terzi si producessero indipendentemente dalla loro conoscenza dello stesso, piuttosto che adottare un’interpretazione orientata ai principi introdotti dalla novella del 2006; il dubbio di legittimità costituzionale dei due articoli, nella parte in cui non prevedevano, a differenza di quanto contempli l’odierna formulazione degli stessi, che gli effetti del fallimento nei confronti dei terzi si producano solo dal momento in cui la sentenza dichiarativa abbia avuto effettiva pubblicità;

che il Fallimento resiste con controricorso;

ritenuto che il primo motivo di ricorso è inammissibile già per difetto di specificità, apparendo non sufficientemente individuata la puntuale contestazione delle norme di diritto su cui la sentenza si fonda e piuttosto volto a ricostruire secondo criteri sostanziali, ma senza indicare parametri giuridici alternativi, la negazione di un qualunque titolo in capo alla società fallita, circostanza da cui viene fatta discendere la neutralizzazione del costrutto giuridico adottato dalla corte, del tutto eluso; invero, la ratio della sentenza è, più semplicemente, imperniata sull’avvenuto scioglimento, L. Fall., ex art. 78, del rapporto di conto corrente con la dichiarazione di fallimento di (OMISSIS), e la contestuale doverosità della restituzione, in capo al curatore conseguentemente nominato, di tutte le somme che vi siano entrate dopo il fallimento e però fuoriuscite verso terzi da detto conto, per concorso operazionale della banca, quali atti del tutto inefficaci verso la massa dei creditori.

che orientamento pacifico di questa Corte, infatti, vuole che, da un canto, “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consista nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implichi necessariamente un problema interpretativo della stessa” (Cass. 4178/2017); nel caso di specie, a voler riportare ad unità le censure, non si coglie quale sia stata la erronea interpretazione della L. Fall., artt. 42 e 44, cui la corte romana si sarebbe attenuta rispetto a consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia; discende invero, e d’altro canto, direttamente dal dettato legislativo che “i prelievi dal conto corrente bancario fatti dal correntista fallito e i pagamenti eseguiti dalla banca a terzi sullo stesso conto siano, a norma della L. Fall., art. 44, inefficaci verso i creditori, per cui la banca, nei confronti degli organi della procedura, non può sottrarsi alla restituzione invocando l’uso fatto delle somme versate nel conto ed è tenuta a restituire quanto ricevuto dal fallito a qualsiasi titolo, senza poter dedurre dall’obbligo di restituzione – nei limiti delle somme ricevute – i prelievi e i pagamenti eseguiti per conto del fallito, in ciò differenziandosi dall’ipotesi regolata dalla L. Fall., art. 42 che, ove le rimesse costituiscano proventi di un’attività d’impresa (autorizzata (e nuova rispetto a quella di cui è stato dichiarato il fallimento)), legittima la curatela a reclamare dalla banca la restituzione del solo saldo attivo del conto, corrispondente all’utile di impresa” (Cass. 26501/2013): nella vicenda, è del tutto pacifico, non trova applicazione la L. Fall., art. 42, comma 2, nella parte in cui esso presuppone la deduzione dei costi sostenuti per i ricavi connessi ad attività posteriore al fallimento, perciò non dubitandosi che nessun dibattito processuale può essere affrontato, da questo punto di vista, sulla genesi del pagamento ricevuto da (OMISSIS), essendo stata con chiarezza riferita alla sua qualità di mandataria dell’ATI la giustificazione fattuale e poi la legittimazione all’incasso del SAL di un appalto così conferito dalla Regione Molise, senza contemplare la società consortile solo posteriormente costituita dai due partecipanti all’ATI stessa;

che, avendo pertanto in tal modo il giudice di merito ricostruito nella originaria posizione contrattuale dell’appalto la pertinenza delle somme poi pervenute al soggetto fallito, ciò che rileva è il loro oggettivo affluire posteriomente alla sentenza di fallimento e la ridestinazione impropria che di esse è stata fatta dalla banca; sul punto, la giurisprudenza più volte ha ribadito che “il fallimento del correntista, determinando “ipso iure” lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario e la cristallizzazione, alla corrispondente data, dei rapporti di debito/credito tra le parti (rende) inefficace, rispetto ai creditori, ogni addebito (o accredito) ivi eseguito successivamente ad essa” (Cass. 19325/2013), e ciò indipendentemente dalla lesività concreta dell’atto per la massa; tanto la L. Fall., art. 44 (con l’inefficacia) quanto art. 42 (con lo spossessamento), infatti, costituiscono il logico corollario della perdita della disponibilità dei beni da parte del fallito a seguito del fallimento e mirano, prescindendo dalla valutazione caso per caso ed invece in via assoluta, a preservare l’integrità dell’attivo onde assicurare la par condicio creditorum; non è in altri termini l’aggiramento di tale regola, dal valore oggettivo, a poter consentire la disamina dell’eventuale rapporto di debito-credito più complesso tra fallito e terzi, riversandosi la relativa disputa innanzitutto negli istituti dell’accertamento del passivo, così superandosi ogni teorica dell’indebito, stante la terzietà del curatore rispetto al rapporto originario (cfr.anche Cass. 3086/2018: “l’azione promossa dal curatore, ai sensi della L. Fall., art. 44, comma 2, ha, peraltro, natura autonoma rispetto al rapporto causale che ha determinato il pagamento”);

ritenuto che anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, ponendosi in contrasto con il dettato della legge che reggeva l’atto al momento del suo compimento e, ancora, con il consolidato orientamento assunto dalla giurisprudenza di questa Corte;

che, nella disciplina anteriore al D.Lgs. n. 5 del 2006, la legge non prescrive l’adempimento di particolari forme pubblicitarie per l’opponibilità ai terzi della sentenza di fallimento, sicchè il fallito resta privo dell’amministrazione e della disponibilità dei beni sin dall’ora zero del giorno della sua pubblicazione (Cass. 14779/2013); si producono, così, automaticamente effetti erga omnes ai quali consegue l’irrilevanza dell’ignoranza che il terzo eventualmente abbia di tale dichiarazione; si può ripetere, ancora con Cass. 3086/2018, che “è affatto irrilevante l’eventuale buona fede del terzo, posto che la inefficacia di cui alla L. Fall., art. 44 non è fondata su una presunzione di conoscenza della perdita, da parte del fallito, del potere di disporre del proprio patrimonio, ma costituisce una sanzione di carattere obiettivo, che prescinde dalla effettiva conoscenza, da parte del solvens, della intervenuta dichiarazione di fallimento del creditore”;

che, inoltre, la sollevata questione di legittimità costituzionale dei medesimi articoli risulta inammissibile, e ciò non solo perchè la ricorrente si è limitata a dedurre genericamente l’illegittimità delle norme senza dar conto delle ragioni di contrasto con le disposizioni costituzionali eventualmente indicate e non sufficientemente motivando circa le cause di incoerenza con i parametri costituzionali (Cass. 10123/2005), ma anche perchè la Corte costituzionale, sebbene in riferimento alla L. Fall., art. 44, si è espressa sul punto per ben due volte (Corte cost. n. 228/1995; Corte cost. n. 234/1998), chiarendo come la scelta compiuta allora dal legislatore di non attribuire rilevanza allo stato soggettivo di conoscenza del terzo – essendo fondata sulla volontà di assicurare assolutezza al principio secondo cui la dichiarazione di fallimento dalla data di deposito priva il fallito dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio – non possa essere considerata manifestamente irragionevole e, perciò, censurabile sul piano della legittimità; tale convincimento ha rinvenuto anche di recente conferma presso questa Corte, allorchè si è sostenuto che “l’irrilevanza, agli effetti dell’inopponibilità alla massa dei creditori dei pagamenti fatti e/o ricevuti dal fallito, dello stato soggettivo di conoscenza del solvens, proprio in quanto necessario riflesso dell’assolutezza del suddetto principio, trova giustificazione nell’esigenza di tutela della massa dei creditori: trattasi, all’evidenza, di una scelta del legislatore non manifestamente irragionevole e, perciò stesso, non censurabile sul piano della legittimità costituzionale” (Cass. 3086/2018), anche in ragione della discrezionalità del legislatore di differire, in chiave temporale, la vigenza di un diverso regime;

ritenuto pertanto che la declaratoria di inammissibilità del ricorso si impone, con la conseguente condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso, in favore della parte costituita, delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 7.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre al 15% a forfait sul compenso e agli accessori di legge.

Dà inoltre atto, ai sensi della D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2018

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