Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21697 del 26/08/2019

Cassazione civile sez. II, 26/08/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 26/08/2019), n.21697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3221-2015 proposto da:

D.D.S., D.D.C., D.D.L.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Dei Gracchi 137, presso lo

studio dell’avvocato Mario Franchi, rappresentati e difesi

dall’avvocato Carlo Pettinelli;

– ricorrenti –

contro

D.M.C., e E.O., ex lege domiciliati a Roma,

p.zza Cavour presso la cancelleria della Corte di cassazione e

rappresentati e difesi dall’avvocato Rosanna De Antoniis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 720/2014 della Corte d’appello di L’Aquila,

depositata il 27/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Capasso Lucio, che ha chiesto l’accoglimento del

secondo e terzo motivo, assorbimento del primo e rigetto del quarto.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 23/1/2015 nei confronti della sentenza della Corte d’appello de L’Aquila che aveva respinto il gravame proposto da D.D.G., in proprio e quale procuratore generale di D.D.S., D.D.L. e d.D.C., avverso la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva respinto la sua domanda di accertamento delle vedute aperte da E.O. e D.M.C. sulla particella (OMISSIS), bene comune non censibile a servizio di alcuni mappali di sua proprietà esclusiva;

– l’attore chiedeva, in particolare, dichiararsi l’inesistenza in capo ai convenuti di qualsiasi diritto sulla particella, ancorchè condominiale;

– i convenuti, da parte loro, deducevano che l’area interessata era condominiale e, in via riconvenzionale, chiedevano la condanna dell’attore a rimuovere tutto quanto realizzato su questa particella (recinzione, pozzo artesiano ed orto privato) ed a risarcire il danno provocato da infiltrazioni d’acqua provenienti da un terrazzo di sua proprietà;

– all’esito dell’istruttoria articolata nella consulenza tecnica, il tribunale adito rigettava la domanda attorea e condannava lo stesso alla rimozione di tutte le opere idonee a determinare un uso esclusivo, a pagare una somma a titolo di risarcimento danni e, inoltre, alla demolizione della parete realizzata a ridosso del portone principale della palazzina;

– proposto appello da parte del D.D., la corte territoriale disattendeva tutti i tre profili di impugnazione;

– precisava che la natura condominiale della particella (OMISSIS) era stata accertata dal tribunale sulla base dei rilievi tecnici della ctu ed era, stata riconosciuta dallo stesso appellante che l’aveva infatti definita” bene comune” cosicchè non risultavano pertinenti i richiami ad un uso esclusivo dell’attore;

– parimenti incontestabile, erano ritenute le risultanze della ctu in ordine alla provenienza delle infiltrazioni dal terrazzo di proprietà esclusiva dell’attore;

– infine, con riguardo all’ultimo profilo di appello, la corte osservava come la circostanza che la parete e la porta realizzata nel vano scala non impediscano ai convenuti di raggiungere l’autorimessa di loro proprietà non escludeva l’avvenuta sottrazione di una parte del vano alla simultanea fruizione da parte degli altri condomini;

– perciò, concludeva, il giudice d’appello, l’uso fatto da parte attrice non poteva essere ricondotta all’ambito della facoltà riconosciuta a ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intensa utilizzazione, integrando piuttosto un uso illegittimo del bene comune, vietato dall’art. 1102 c.c.;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta da S., L. e D.D.C. sulla base di quattro motivi, illustratri da memoria ex art. 380 bis c.p.c. cui resistono con controricorso, pure illustrato da memoria, E.O. e D.M.C..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti nonchè la violazione dell’art. 91 c.p.c. per non avere la pronuncia gravata dato conto dell’impugnazione proposta avverso il capo della sentenza del tribunale che nulla aveva statuito circa le spese della fase cautelare poste a carico del ricorrente riconosciuto soccombente;

– in realtà, deducevano i ricorrenti, la soccombenza non era dipesa dal riconoscimento del buon diritto della controparte ma solo dall’impegno assunto da quest’ultima a regolarizzare la situazione mediante chiusura delle denunciate aperture con blocchetti in vetro cemento;

– una simile circostanza non poteva sostenere, ad avviso del ricorrente un giudizio in termini di soccombenza ai sensi dell’art. 91 c.p.c.;

– inoltre, la decisione trascurava la circostanza di fatto che quanto promesso nel corso della fase cautelare non era stato poi realizzato;

– il motivo è inammissibile per più ordini di ragione;

– innanzitutto, perchè non è stato indicato da parte dei ricorrenti, dove era stata specificamente impugnata la condanna alle spese disposta all’esito della fase cautelare, atteso che di detta questione la sentenza d’appello non tratta e nel ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti esaminata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. 1435/2013; id. 27568/2017, 16347/2018);

– in mancanza di detta specificazione, la doglianza è inammissibile;

– il motivo è altresì inammissibile perchè, tenuto conto del regime processuale vigente al momento dell’introduzione del ricorso per denuncia di nuova opera, proposto nel 1999 e soggetto alle disposizioni degli artt. 669 bis c.p.c. e ss. (introdotti dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 74), il ricorrente avrebbe dovuto proporre, avverso il provvedimento che lo aveva condannato alle spese, l’opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. come specificamente disposto dall’art. 669-septies c.p.c., comma 3 e non censurare il provvedimento del tribunale che nulla aveva disposto con specifico riferimento a quelle spese;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il difetto di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti e cioè sia l’omesso esame del titolo di provenienza degli appellanti, sia l’omessa disamina della conclusione espressa dal ctu che, diversamente da quanto affermato nella sentenza, non aveva ravvisato la natura di bene comune al servizio anche del sub. (OMISSIS), ma soltanto al servizio dei sub. (OMISSIS) e dei posti macchina situati al piano seminterrato con i sub. (OMISSIS), ovvero tutti i beni di proprietà dei ricorrenti, secondo, proprio, quanto previsto dal titolo;

– con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la corte territoriale ha ritenuto che il sub. (OMISSIS) della particella (OMISSIS) costituisca oggetto di proprietà comune a tutti i proprietari di unità nell’ambito delle palazzine A e B, formulando al contempo una conclusione contraddittoria con quella risultante dalla ctu, secondo al quale il sub. (OMISSIS) sarebbe bene comune al servizio soltanto dei subalterni di proprietà esclusiva degli appellanti;

– così ritenendo la corte avrebbe violato la presunzione di condominialità, riconoscendo detta natura ad una particella che sarebbe, tuttavia, ad uso esclusivo di alcune unità, le quali in ragione della riconosciuta natura comune non potrebbero però esercitare l’uso esclusivo riconosciuto dal titolo;

– nell’ambito del medesimo motivo si censura la sentenza d’appello per avere individuato le opere da demolire e rimuovere in quelle idonee a realizzare in concreto un uso esclusivo del sub. (OMISSIS) come indicate a pag. 8 della ctu, perchè in tal modo si era finito per comprendere anche quelle di sistemazione e di livellamento con riporto di terreno, costruzione di eventuali muri di contenimento e gradinate di collegamento al fine di rendere le aree idonee alla loro destinazione e riconducibili all’attuazione dell’art. 6 del regolamento di condominio;

– in riferimento a detto ordine di demolizione e rimozione, la sentenza d’appello appare, ad avviso di parte ricorrente, contraddittoria, posto che i ricorrenti sono autorizzati a fare uso del subalterno (OMISSIS) dal titolo di provenienza;

-i due motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè riguardano la motivazione con la quale la pronuncia impugnata è pervenuta alla qualifica condominiale attribuita al sub (OMISSIS);

– la conclusione viene censurata sotto diversi profili, tutti destituiti di fondamento perchè l’affermata natura comune del bene in oggetto è conforme al principio sancito dall’art. 1117 c.c. e non smentita dai parametri utilizzabili per stabilire la natura condominiale o meno delle parti di un edificio o delle aree adiacenti;

– in particolare, la corte aquilana ha escluso sulla scorta dell’accertamento in fatto e dei rilievi svolti dal ctu, l’incidenza dell’uso esclusivo dei ricorrenti, che non trasforma in esclusiva la proprietà comune, peraltro riconosciuta tale dagli stessi ricorrenti;

– tale motivazione, seppure sinteticamente redatta per relationem rispetto a quella del Tribunale che aveva a sua volta richiamato la pag. 8 della relazione scritta del ctu, non appare puntualmente contestata in riferimento al contenuto richiamato;

– infatti, al fine di ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali. (cfr. Cass. Sez. Un. 7074/2017);

– ciò posto, la doglianza non individua, avuto riguardo alla richiamata relazione del ctu, l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure e poi quello d’appello, nella valorizzazione dei rilevi dell’ausiliario;

– peraltro si evince dalla stessa doglianza che si tratta di una conclusione reiterata dai vari tecnici incaricati nelle diverse fasi processuali (cautelare e merito), i quali tutti hanno confermato la qualità di bene condominiale del sub. (OMISSIS) al servizio di tutti i proprietari di unità delle palazzine A e B, al contempo escludendo che lo stesso fosse ad uso esclusivo anche del sub. (OMISSIS) dei controricorrenti (cfr. pagg. 7, 10 e 11 del controricorso);

– appare inoltre infondata la censura articolata sulla violazione di legge poichè, come assumono gli stessi ricorrenti e riconosce anche la sentenza impugnata, il sub. (OMISSIS) è stato ritenuto bene comune ad esclusivo servizio dei ricorrenti conformemente al titolo (cfr. pa. (OMISSIS), in realtà (OMISSIS) del ricorso), sicchè la decisione della corte territoriale appare sul punto correttamente formulata alla stregua del principio di diritto sancito nell’art. 1117 c.c.secondo il quale per vincere la presunzione di condominialità occorre avere riguardo al titolo di provenienza, sia esso negoziale o, come nel caso di specie, di formazione giudiziale ed in cui la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto dell’atto di trasferimento (cfr. Cass. 2670/2001);

– poichè non si deduce un titolo contrario a detta presunzione, la conclusione non è contraria a diritto;

-la sentenza impugnata ha altresì escluso la pertinenza del richiamo al condominio parziale e neppure tale ratio decidendi risulta specificamente contestata mediante l’indicazione degli argomenti che lo fanno, invece, ritenere rilevante, non potendo dedursi sic et simpliciter dall’uso esclusivo del bene comune la sussistenza delle caratteristiche richieste dalla giurisprudenza per la configurazione del condominio parziale (cfr. Cass. 23851/2010);

– infine, appare inammissibile anche il profilo di doglianza riguardante l’individuazione delle opere da demolire poichè, come già osservato in relazione al primo motivo, di detta questione la sentenza d’appello non tratta e parte ricorrente non allega l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, precludendo la possibilità di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. 1435/2013; id. 27568/2017, 16347/2018);

– con il quarto motivo si denuncia il difetto di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione alla condanna al risarcimento dei danni per le infiltrazioni perchè non è provata la responsabilità degli attori/ricorrenti in considerazione delle caratteristiche strutturali dell’immobile e dell’incuria in cui è stato lasciato dalla data di apertura del fallimento sino alla parziale chiusura dello stesso;

– si censura altresì l’ordine di demolizione della parete realizzata a ridosso del portone principale della palazzina A poichè non impedisce all’ E. di raggiungere attraverso il vano scala l’autorimessa di sua proprietà ubicata al primo piano interrato;

-la doglianza appare inammissibile perchè, con riguardo al primo aspetto, si censura la motivazione della decisione assunta dal giudice e fondata sulla ctu, auspicando una diversa conclusione;

– per il secondo aspetto la censura è inammissibile perchè non attacca l’affermazione della corte secondo la quale la realizzazione della parete aveva determinato la sottrazione del vano scala alla pari e simultanea fruizione da parte di altri condomini, integrando una violazione dell’art. 1102 c.c.;

– l’esito sfavorevole di tutti i motivi, comporta il rigetto del ricorso e, in applicazione della soccombenza, la rifusione delle spese di lite nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore della controparte che liquida in Euro 3100,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019

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