Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21692 del 26/08/2019

Cassazione civile sez. un., 26/08/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 26/08/2019), n.21692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1029-2018 proposto da:

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI – SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE

SICILIANA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ODERISIO DA

GUBBIO 51, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA MESSINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO FINAZZO;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA – UFFICIO

SCOLASTICO REGIONALE PER LA SICILIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 149/2017 della CORTE DEI CONTI – SEZIONE

GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA PALERMO,

depositata il 28/11/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/05/2019 dal Consigliere UMBERTO BERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CAPASSO LUCIO, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

udito l’Avvocato Alessandro Finazzo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia ingiunse all’insegnante F.A. il pagamento della somma di Euro 385.332,53, ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, art. 1 e ss. per avere il medesimo percepito tale importo in conseguenza di attività extra-istituzionale svolta senza autorizzazione (fatti accertati per il periodo dal 2.2.2010 al 28.2.2012).

A seguito di impugnativa del F., la Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana della Corte dei Conti dichiarò la carenza di potere dell’amministrazione ad emettere l’atto ingiuntivo ed annullò il provvedimento impugnato, ritenuto illegittimo, con salvezza degli effetti della richiesta di pagamento priva di efficacia esecutiva e senza pregiudizio per l’accertamento della responsabilità amministrativa su iniziativa del P.M., mentre dichiarò assorbita la domanda di accertamento negativo di responsabilità proposta dall’interessato.

In pratica, secondo il primo giudice, la predetta ingiunzione non poteva essere adottata in quanto la pubblica amministrazione vantava un credito derivante da presunta responsabilità amministrativa a fronte della quale il destinatario aveva invocato la tutela giudiziaria, impugnando la stessa ingiunzione innanzi alla Corte dei Conti.

A seguito di appello, principale da parte della Procura Generale ed incidentale da parte del F. e del Ministero per l’Istruzione, la Sezione Giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana della Corte dei Conti ha accolto l’appello incidentale del Ministero, incentrato sul difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, vertendosi in ipotesi di recupero del credito che prescindeva dall’accertamento della responsabilità amministrativa, e per l’effetto ha annullato la sentenza impugnata, mentre ha dichiarato inammissibile l’appello principale della Procura Regionale e quello incidentale di F.A..

Ha spiegato il collegio giudicante che l’actio negatoria di responsabilità non poteva trovare ingresso nel processo contabile se non come conseguenza del rigetto dell’azione positiva di responsabilità promossa dal P.M. contabile che, invece, nella fattispecie l’aveva proposta irritualmente in via riconvenzionale ed oralmente solo all’udienza celebratasi innanzi al giudice di primo grado, reiterandola in sede di appello. Inoltre, il provvedimento gravato era diretto a far valere un diritto di credito della Pubblica Amministrazione nascente da un rapporto di lavoro ed era stato adottato dall’amministrazione in qualità di datrice di lavoro, per cui la giurisdizione spettava al giudice ordinario, con conseguente riforma del capo della sentenza contenente la dichiarazione di annullamento dell’ordinanza – ingiunzione.

Ricorre in Cassazione il Procuratore Generale della Corte dei Conti presso la Sezione Giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana chiedendo che venga affermata la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine all’actio negatoria, alla riconvenzionale del P.M. e al giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione, con rinvio degli atti al giudice di secondo grado in diversa composizione.

Resiste con controricorso Antonio F., mentre rimane intimato il M.I.U.R. Il ricorrente deposita, altresì, memoria.

Il P.G. conclude per l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un primo motivo il Procuratore Generale, rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, contesta l’impugnata sentenza nella parte in cui il Collegio giudicante ha rilevato la inammissibilità dell’accertamento negativo di responsabilità amministrativa contabile, invocato dal F. al fine di escludere proprie responsabilità e ritenuto invece ammissibile dal P.M. al fine opposto di sentir rigettare tale richiesta, sul presupposto che l’actio negatoria di responsabilità non potesse trovare ingresso nel processo contabile se non come conseguenza del rigetto dell’azione positiva di responsabilità promossa dal P.M. contabile.

1.1. Il ricorrente evidenzia che a sostegno di tale affermazione il Collegio giudicante ha richiamato il codice di giustizia contabile che disciplina in maniera compiuta e rigorosa l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa-contabile, riservandola all’autonoma iniziativa del Pubblico Ministero della Corte dei conti, il quale può esercitarla, a pena di inammissibilità, solo previa apposita istruttoria con invito a dedurre e, in ogni caso, in presenza di una specifica e concreta notizia di danno. Quindi, in base al ragionamento seguito dal Collegio giudicante, sarebbe stata preclusa al privato la possibilità di proporre in via autonoma l’actio negatoria di responsabilità, in quanto la stessa avrebbe potuto rappresentare un modo surrettizio di pervenire ad un’assoluzione nel merito.

1.2. Per tali considerazioni, osserva il ricorrente, il Collegio giudicante ha ritenuto di non poter prendere in considerazione la domanda, formulata nell’appello principale della Procura Generale, di esaminare e di rigettare l’azione di accertamento negativo di responsabilità proposta dalla controparte, pervenendo, in tal modo, ad un sostanziale diniego di giurisdizione. Parimenti, aggiunge il ricorrente, lo stesso Collegio ha ritenuto di non poter esaminare la domanda riconvenzionale di condanna proposta dal P.M..

1.3. Il ricorrente assume, quindi, di non condividere tali conclusioni, spiegando che l’ammissibilità dell’actio negatoria e della domanda riconvenzionale della Procura si fondava proprio sulle esigenze del cosiddetto giusto processo ed in particolare sui principi di concentrazione e speditezza processuale, così come ricavabili dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6della C.E.D.U., senza considerare, oltretutto, che in caso di inammissibilità dell’actio negatoria e dell’eventuale domanda riconvenzionale della Procura si perverrebbe al risultato iniquo di esporre la controparte ad un possibile nuovo giudizio di responsabilità su iniziativa dell’Ufficio Inquirente.

1.4. Osserva la Corte che il motivo è inammissibile.

Si è, infatti, ribadito di recente (Sez. U. n. 29285 del 14.11.2018) che ” Il ricorso per cassazione contro le decisioni della Corte dei conti è consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicchè il controllo della S.C. è circoscritto all’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi ad “errores in procedendo” o ad “errores in iudicando”, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, salvo i casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento tali da ridondare in denegata giustizia”.

Infatti, in precedenza si è affermato (Sez. U. n. 12497 del 18.5.2017) che ” Il ricorso per cassazione contro la decisione della Corte dei conti è consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicchè il controllo della S.C. è circoscritto all’osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale. Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’accertamento in ordine ad “errores in procedendo” o ad “errores in iudicando” rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata” (in senso conf. v. anche Sez. U. n. 31226 del 29.12.2017).

1.5. Orbene, nella fattispecie l’oggetto della doglianza inerisce ad un asserito “error in procedendo” ricondotto dal ricorrente alla pronuncia di inammissibilità dell’accertamento negativo di responsabilità amministrativa contabile, invocata dal F. al fine di escludere proprie responsabilità e ritenuta invece ammissibile dal P.M. al fine opposto di sentir rigettare tale richiesta.

In realtà, tale pronunzia rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, trattandosi di statuizione riguardante una violazione endoprocessuale concernente il modo d’esercizio della stessa giurisdizione speciale, che non denota affatto un radicale stravolgimento delle norme di riferimento, tale da ridondare in denegata giustizia.

2. Con un secondo motivo il ricorrente censura il capo della sentenza col quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine all’opposizione all’ordinanza-ingiunzione, statuizione, questa, motivata sulla base del rilievo che il provvedimento gravato con l’originario ricorso introduttivo era diretto a far valere un diritto di credito della stessa Amministrazione scolastica, sorto a seguito dell’obbligo di riversamento delle somme ritenute indebitamente percepite dal F. come retribuzione per incarichi extra-istituzionali non autorizzati.

2.1. Quindi, aggiunge il ricorrente, ad avviso del Collegio giudicante il Direttore Scolastico regionale avrebbe avuto pieno diritto di esigere, in via amministrativa, attraverso ordinanza-ingiunzione, il credito dell’Amministrazione scolastica, senza che ciò potesse avere effetto preclusivo dell’autonoma azione di responsabilità che poteva (ma ciò non era stato fatto) essere proposta dal P.M. contabile davanti la Corte dei conti, con l’unica limitazione che nel frattempo non fosse intervenuta l’integrale soddisfazione della pretesa creditoria della Pubblica Amministrazione.

2.2. Sostiene, invece, il ricorrente che erroneamente il Collegio giudicante ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione su una fattispecie, come quella di cui ci si occupa, che non può non rientrare nell’area della giurisdizione amministrativa per danno erariale che, pur avendo essenzialmente natura risarcitoria, reca in sè profili latamente sanzionatori. Ciò in quanto la responsabilità amministrativa-contabile, oltre ad assolvere alla tradizionale funzione di perseguire un ripristino dell’equilibrio patrimoniale tra l’ente pubblico danneggiato e l’autore del fatto illecito, è assurta anche a strumento di tutela della fondamentale esigenza che le risorse finanziarie e patrimoniali pubbliche vengano utilizzate legittimamente per il perseguimento, in maniera economica, efficiente ed efficace, delle finalità istituzionali della pubblica amministrazione, nonchè di deterrenza avverso eventuali condotte e comportamenti devianti da tali parametri.

2.3. Anche tale motivo è inammissibile.

Invero, la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi a seguito della pronuncia resa da Cass., S.U., 28 settembre 2016, n. 19072, è nel senso che la controversia avente ad oggetto la domanda della Pubblica Amministrazione rivolta ad ottenere dal proprio dipendente il versamento dei corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (così: Cass., S.U., 10 gennaio 2017, n. 8688; Cass., S.U., 19 gennaio 2018, n. 1415; Cass., S.U., 9 marzo 2018, n. 5789; Cass., S.U., 28 maggio 2018, n. 13239; Cass., S.U., 3 agosto 2018, n. 20533).

Si è, infatti, affermato che l’amministrazione creditrice ha titolo per richiedere l’adempimento dell’obbligazione senza doversi rivolgere alla Procura della Corte dei conti, la quale sarà notiziata soltanto ove possa prospettarsi l’esistenza di danni.

In questa prospettiva è stato posto in rilievo che l’obbligo di versamento imposto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53,comma 7, si configura come una particolare sanzione ex lege volta a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico. Pertanto, l’obbligo di versamento in esame “prescinde dai presupposti della responsabilità per danno (evento; nesso di causalità; elemento psicologico)”, non dovendosi confondere “il concetto attinente alla mera reversione del profitto con quello del danno”, ciò che “condurrebbe all’estensione del limite della giurisdizione contabile al di fuori dei suoi confini istituzionali”. Invero, “la prestazione resa dal pubblico dipendente a favore di terzi non necessariamente implica un danno per l’amministrazione (ben potendo il pubblico dipendente aver correttamente adempiuto tutti gli altri obblighi lavorativi malgrado lo svolgimento di altra attività non autorizzata)” e “la previsione d’una fattispecie determinativa di danno risulterebbe dissonante con la quantificazione del risarcimento in misura invariabilmente coincidente con gli emolumenti indebitamente percepiti dal pubblico dipendente”.

2.4. D’altronde – si precisa nelle pronunce sopra richiamate -, “se il mero percepire da terzi determinati compensi costituisse di per sè ipotesi di responsabilità erariale, dovrebbe – a rigore – essere attivata soltanto ad iniziativa della Procura della Corte dei conti”. A tanto, però, “osta il tenore letterale dell’art. 53, comma 7, cit., che prevede l’obbligo di versamento dell’indebito compenso a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore”, là dove in nessun caso la Procura della Corte dei conti potrebbe agire per danno erariale nei confronti dell’erogante, che non si trovi in rapporto alcuno con la pubblica amministrazione. “Nè sarebbe ragionevole ipotizzare una diversa giurisdizione per il recupero delle somme (contabile nei confronti del percettore, ordinaria nei confronti dell’erogante), foriera di potenziali contrasti di giudicati”. Dunque, la giurisdizione contabile è ravvisabile “solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all’omesso versamento della somma pari al compenso indebitamente percepito dal dipendente si accompagnino specifici profili di danno”.

2.5. Tale orientamento giurisprudenziale si è formato in fattispecie, come quella di cui ci si occupa, nelle quali è stata la Pubblica Amministrazione ad agire per il recupero dei compensi erogati al dipendente pubblico per incarichi espletati in assenza di autorizzazione e per fatti antecedenti alla introduzione dell’art. 53, comma 7 bis ad opera della L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 42, lett. b), in forza del quale “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”. Nei casi scrutinati da questa Corte regolatrice (ad eccezione di quello deciso dalla citata Cass., S.U., n. 1415/2018, in cui però non sono resi evidenti i termini temporali degli accadimenti) si è, infatti, precisato non era rilevante stabilire l’effettiva portata del citato art. 53, comma 7-bis introdotto dalla L. n. 190 del 2012, “giacchè la controversia si riferisce ad un periodo temporale… anteriore alla novella” (così anche le citate Cass., S.U., n. 5789/2018, Cass., S.U., n. 13239/2018 e Cass., S.U., 20533/2018, successive a Cass., S.U., n. 1415/2018).

2.6. Diversamente, allorquando l’azione nei confronti del percettore delle somme riscosse per incarichi non autorizzati dalla Pubblica Amministrazione venga promossa dal Procuratore contabile sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nell’ipotesi disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7. In tal caso, infatti, l’azione, promossa nei confronti di soggetto legato da un rapporto d’impiego o di servizio con la P.A., trova giustificazione nella violazione “del dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi e del conseguente (rafforzativo) obbligo di riversare all’Amministrazione i compensi per essi ricevuti”, queste “prescrizioni chiaramente strumentali al corretto esercizio delle mansioni, in quanto preordinate a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il previo controllo dell’Amministrazione sulla possibilità, per il dipendente, d’impegnarsi in un’ulteriore attività senza pregiudizio dei compiti d’istituto” (in tal senso di recente v. Sez. U., Ordinanza n. 17124 del 26.6.2019).

2.7. Pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019

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