Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21689 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 19/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 19/10/2011), n.21689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato VALENZA DINO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO DI

TEODORO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimata –

avverse la sentenza n. 4095/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO STILE;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.

La Corte: letta la relazione del Cons. Paolo Stile;

udite le conclusioni del P.G., dott. Carlo Destro.

esaminati gli atti.

Fatto

OSSERVA

la questione centrale, oggetto di controversia, riguarda la sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato tra C. F. e l’avv. M.A., sostenendo, la prima, di avere svolto attività di segretaria alle dipendenze del secondo.

In primo grado, il Tribunale di Larino, ha accolto la domanda della C. nei confronti di A.M., erede di A., mentre la Corte d’appello di Campobasso si è mostrata di contrario avviso.

Con sentenza n. 16456/07 questa Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso della C., valutata come illogica e contraddittoria la motivazione della Corte di Campobasso con riferimento alla ritenuta assenza di prova della subordinazione, ha cassato la sentenza di detta Corte, rinviando la causa alla Corte d’appello di Bari, che, pronunciandosi con sentenza del 19.11.09- 19.1.2010, ha dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la C. e l’avv. M.A. dall’1.1.1997 (recte: 1977) al 28.12.1993, condannando Angelo M., quale erede del primo, a corrispondere alla C. la complessiva somma di Euro 173.377, 58 a titolo di differenze retributive ed accessori.

Il soccombente M.A. ha impugnato per cassazione tale pronuncia denunciando vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie e mancata applicazione del principio dell’onere della prova nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. per avere, la Corte territoriale, erroneamente affermato che la sussistenza di alcuni elementi cd. secondari della subordinazione fosse sufficiente ad integrare il rapporto di lavoro subordinato, ed, ancora, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Diritto:

Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, appare manifestamente infondato.

La Corte di Bari, infatti, dopo avere passato in rassegna le deposizioni dei vari testi, è pervenuta alla conclusione che la C., per quasi vent’anni e con continuità, ha svolto mansioni di segretaria dello studio legale, compiendo tutte le attività tipiche di tale mansione: ricevendo i clienti dello studio, fissando loro appuntamenti in considerazione del calendario di impegni dell’Avv. M., rispondendo al telefono (fornendo anche informazioni), prendendo e mettendo a disposizione dello stesso avvocato fascicoli e cartelle dietro semplice richiesta, ricevendo notificazioni di atti giudiziari e consegnando la corrispondenza, scrivendo a macchina e a mano atti giudiziari secondo le istruzioni ricevute dall’avvocato.

Trattandosi di compiti riconducibili alle mansioni di segretaria e considerato ancora: 1) che l’Avv. M. era solito presentare la C. quale sua segretaria; 2) che era risultato che lo stesso avvocato aveva intenzione di regolarizzare il rapporto di lavoro della sua segretaria; 3) che la C. era in possesso di un assegno, a firma dell’Avv. M., di importo pari a L. 500.000, a riprova della onerosità della prestazione, a fronte della tesi – rimasta indimostrata dal resistente- secondo cui quell’assegno era stato versato per un titolo diverso, la Corte distrettuale ha ritenuto la presenza di elementi sintomatici di un rapporto di lavoro subordinato tra la C. e l’Avv. M., quali la continuità dello svolgimento delle mansioni, il versamento del compenso, la presenza di direttive tecniche e poteri di controllo, il coordinamento dell’attività lavorativa rispetto all’assetto organizzativo aziendale e l’alienità del risultato, l’esecuzione del lavoro all’interno della struttura dell’impresa e attraverso materiali ed attrezzature della medesima e l’assenza del rischio economico.

Se è vero che il rapporto di lavoro subordinato, ai sensi degli artt. 2094 e 2086 c.c., si caratterizza per la sottoposizione del lavoratore al potere gerarchico e disciplinare del datore dell’imprenditore, è anche vero che, quando il carattere della subordinazione non è immediatamente apprezzabile per la particolarità delle mansioni svolte e per il concreto atteggiarsi del rapporto (come nella specie), può farsi riferimento a criteri complementari e sussidiari che, pur essendo di per sè privi di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi del rapporto subordinato (cfr. Cass. 5508/04; 9492/03).

La Corte d’appello ha anche considerato che il M., pur avendo riconosciuto che la C. svolgeva attività lavorativa con continuità, ha dedotto che tanto era avvenuto in ragione del rapporto affettivo che la legava all’avvocato.

Ma a tale deduzione ha correttamente replicato, richiamando Cass. n. 3602/06, che l’esistenza di un rapporto affettivo tra la C. e il M., in assenza di alcuna prova della gratuità della prestazione, non escludeva l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Non risultando sussistere la denunciata violazione di norme di legge e apparendo corretto l’iter argomentativo adottato dalla Corte di Bari a sostegno delle sue conclusioni, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, non avendo la C. svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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