Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21687 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 08/10/2020), n.21687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 28190 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Santa Maria Società Semplice, in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dall’Avv. Laroma Jezzi Philip per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 679/25/2015, depositata in data 16

aprile 2015;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 12 dicembre

2019 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso un atto di diniego dell’istanza di rimborso Iva, relativo all’anno 1999, presentata dalla società Costantine Società Semplice di F.H., già Arise s.a.s. di F.H., relativo a opere di ristrutturazione degli immobili facenti parte del Borgo denominato (OMISSIS) ed acquistato in precedenza, intorno agli anni ‘80, al fine di restaurarlo e utilizzarlo come struttura alberghiera; il diniego del rimborso era stato motivato per mancanza del presupposto soggettivo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1, non avendo la società mai esercitato un’attività organizzata diretta alla prestazioni di servizi; avverso il provvedimento di diniego la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale aveva accolto l’appello e l’Agenzia delle entrate aveva proposto ricorso in cassazione; la Corte di cassazione, con sentenza n. 4157/13, aveva accolto il ricorso e cassato con rinvio alla Commissione tributaria regionale;

riassunto il giudizio, il giudice del gravame ha rigettato il ricorso, in particolare ha ritenuto che: l’oggetto della controversia, a seguito della pronuncia rescindente della Corte di cassazione, atteneva alla verifica se le spese per i lavori eseguiti dalla società per la ristrutturazione degli immobili acquistati potevano essere considerati inerenti all’esercizio dell’attività alberghiera; la suddetta attività non era stata mai di fatto esercitata e la società di persone, cui la società si era trasformata, era carente dei requisiti soggettivi necessari per richiedere il rimborso, in quanto le società semplici non svolgono attività di impresa commerciale, salvo che non svolgano attività agricola;

avverso la pronuncia del giudice del gravame ha proposto ricorso la società affidato a due motivi di censura, illustrati con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Giacalone Giovanni, ha depositato le proprie osservazioni scritte con le quali ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., per non essersi conformata al principio di diritto e a quanto statuito dalla Corte di cassazione in sede di giudizio di rinvio;

in particolare, evidenzia che la Corte di cassazione aveva demandato al giudice del rinvio di accertare se i beni e i servizi acquisiti, in relazione ai quali era stata richiesta la detrazione Iva, fossero inerenti all’attività di impresa concretamente esercitata, mentre il giudice del gravame ha del tutto omesso il suddetto accertamento, essendosi pronunciato unicamente sull’assenza del requisito soggettivo della società ricorrente in quanto priva della natura di ente commerciale;

il motivo è infondato;

la pronuncia di questa Corte, cui ha fatto seguito il giudizio in sede di rinvio nel quale è stata resa la sentenza censurata, ha, in primo luogo, evidenziato l’errore in diritto nel quale questa era incorsa, avendo ritenuto che, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione Iva, fosse sufficiente il semplice status desumibile dal riconoscimento della qualità di soggetto passivo d’Iva alla società commerciale, salva l’avversa prova, il cui onere gravava sull’amministrazione finanziaria, dell’insorgenza di dinamiche fraudolente, rilevanti in sede di detrazione d’imposta;

conseguentemente, ha precisato che il sistema delineato dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,4,17 e 19, non consente di qualificare come inerente all’esercizio dell’impresa qualsiasi operazione (attiva come) passiva compiuta dalle società commerciali, imponendo, invece di attribuire in ogni caso, a dette società, l’onere del versamento dell’imposta sulle operazioni attive, riservando la detraibilità del tributo solo alle operazioni passive compiute nell’effettivo esercizio dell’impresa: in tale prospettiva, la qualità d’imprenditore societario è bastevole unicamente per rendere assoggettabili a Iva le operazioni attive, mentre la compatibilità con l’oggetto sociale (per quanto rileva nella specie, attinente alla gestione di complessi immobiliari a scopo turistico-alberghiero) di voci di spesa relative alla compravendita e/o alla ristrutturazione di immobili costituisce, rispetto alla detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, elemento puramente indiziario dell’inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa, come tale valutabile dal giudice di merito insieme con altre circostanze della concreta vicenda, idonee a fondarne il convincimento circa l’effettiva inerenza delle medesime operazioni passive all’espletamento della progettata attività imprenditoriale, all’interno di un criterio di ripartizione che vede onerata della prova la società;

pertanto, l’accertamento demandato al giudice del rinvio atteneva alla verifica della sussistenza di elementi idonei a provare l’inerenza delle operazioni passive realizzate in favore della società contribuente;

ciò precisato, va quindi detto che, differentemente da quanto sostenuto dalla società, il giudice del rinvio si è conformato ai principi di diritto sopra indicati;

nella sentenza, in particolare, è precisato che l’accertamento aveva ad oggetto la verifica, in concreto, della riconducibilità delle spese per i lavori di ristrutturazione eseguiti alla finalità di impiego degli immobili per fini turistici e, sotto tale profilo, ha evidenziato che la società non aveva mai di fatto esercitato l’attività alberghiera;

diversamente, quindi, da quanto sostenuto da parte ricorrente, vi è, nella pronuncia in esame, uno specifico accertamento in fatto in ordine alla verifica circa il rapporto di strumentalità tra le spese e l’attività eventualmente esercitata in concreto, avendo escluso l’esercizio di fatto di una attività di impresa, circostanza che costituisce una cesura di ogni legame logico e causale tra gli acquisti fatti e un’attività imprenditoriale;

peraltro, la pronuncia censurata ha analizzato la vicenda non solo sotto il profilo, statico, del concreto svolgimento dell’attività di impresa esercitata, ma ha, correttamente, verificato se l’inerenza dei costi potesse essere valutata anche da un punto di vista meramente prospettico;

proprio il riferimento alla successiva trasformazione della società (da società in accomandita semplice a società semplice) trova la sua giustificazione nella considerazione della mancanza di una finalità prospettica del sostenimento delle spese da parte della ricorrente, profilo valorizzato dal giudice del gravame, per l’appunto, laddove ha evidenziato che, nella fattispecie, vi è stato solo un mutamento della veste giuridica, da società in accomandita semplice in società semplice, in quanto tale, priva della connotazione per svolgere attività di impresa;

va, peraltro, ribadito che la compatibilità con l’oggetto sociale (per quanto rileva nella specie, attinente alla gestione di complessi immobiliari a scopo turistico-alberghiero) di voci di spesa relative alla compravendita e/o alla ristrutturazione di immobili costituisce, rispetto alla detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, elemento puramente indiziario dell’inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa, come tale valutabile dal giudice di merito insieme con altre circostanze della concreta vicenda, idonee a fondarne il convincimento circa l’effettiva inerenza delle medesime operazioni passive all’espletamento della progettata attività imprenditoriale, all’interno di un criterio di ripartizione che vede onerata della prova la società;

sicchè, il giudice del gravame ha escluso, avendo accertato che nessuna attività alberghiera era stata di fatto esercitata, che sussistessero elementi di prova idonei a fondare un giudizio di inerenza, con la conseguenza che non sussiste alcuna violazione dell’art. 384, c.p.c.;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo tra le parti oggetto di discussione, consistente nella sussistenza degli elementi di prova forniti dalla società in ordine alla inerenza e strumentalità delle operazioni passive in esame;

il motivo è infondato;

con riferimento al diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti compiuti dalla società, l’inerenza all’esercizio dell’impresa di tali operazioni passive non può essere ritenuta, ai fini della detraibilità dell’imposta, in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell’acquirente, ma va accertata su un piano di effettività, in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, e con onere della prova a carico di colui che la detrazione invochi;

sotto tale profilo, la compatibilità con l’oggetto sociale (per quanto rileva nella specie, attinente alla gestione di complessi immobiliari a scopo turistico-alberghiero) di voci di spesa relative alla compravendita e/o alla ristrutturazione di immobili costituisce, rispetto alla detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, elemento puramente indiziario dell’inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa, come tale valutabile dal giudice di merito insieme con altre circostanze della concreta vicenda, idonee a fondarne il convincimento circa l’effettiva inerenza delle medesime operazioni passive all’espletamento della progettata attività imprenditoriale, all’interno di un criterio di ripartizione che vede onerata della prova la società;

le circostanze, evidenziate dalla ricorrente, la cui valutazione sarebbe stata omessa dal giudice del gravame, relative al fatto in sè dell’esecuzione dei lavori per la ristrutturazione degli immobili, non hanno valenza univoca circa la concreta attuazione di una attività di impresa, mancando, nel caso di specie, ulteriori elementi di prova idonei al suddetto accertamento, debitamente fatti valere nell’ambito dei giudizi di merito;

in conclusione, i motivi di ricorso sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 7.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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