Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21686 del 05/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2018, (ud. 08/02/2018, dep. 05/09/2018), n.21686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso proposto da:

B.T., elettivamente domiciliata in Roma, via Vaiadier 39,

presso l’avv. Antonio Cucino, rappresentata e difesa, per procura

allegata al ricorso, dall’avv. Franca D’Amario (fax; p.e.c.) che

indica per le comunicazioni relative al ricorso il fax n.

0861/410196 e la p.e.c. franca.damario.pec-avvocatiteramo.it;

– ricorrente –

nei confronti di:

Procura della Repubblica presso la Corte di Appello de L’Aquila in

persona del Procuratore Generale; avv. G.S., nella sua

qualità di curatore speciale del minore B.K.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 15/2016 della Corte di appello di L’Aquila

emessa il e depositata il 19 luglio 2016 R.G. n. 163/2016;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Giacinto Bisogni.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La sig.ra B.T., nata a (OMISSIS) e soggiornante da alcuni anni in Italia, ha messo alla luce alla fine del (OMISSIS) il figlio K.. Nel 2014 è stato aperto procedimento di adottabilità del minore a seguito di segnalazioni dei Carabinieri e dei Servizi sociali che hanno riferito dell’affidamento del figlio alla nonna I.K., alcolista e soggetta a crisi depressive, in una delle quali aveva tentato il suicidio lanciandosi dalla finestra, e dell’apparente trasferimento della B. a Perugia per svolgere l’attività di badante ma in realtà per prostituirsi e spacciare droga. Il bambino è stato quindi affidato ai Servizi sociali che lo hanno collocato in una struttura di accoglienza nella quale si è subito ambientato con grande facilità dimostrando uno scarso attaccamento alla madre e alla nonna. Nel corso del procedimento si è potuta riscontrare la scarsa puntualità della B. nelle visite al figlio e la sua difficoltà a relazionarsi.

Tuttavia, progressivamente, la madre ha dato segni di ravvedimento seguendo le prescrizioni dei Servizi sociali. Anche la nonna di K. ha seguito un percorso di disintossicazione e sostegno per interrompere la dipendenza dall’alcol. E’ stata espletata una CTU che ha segnalato l’assoluta casualità della maternità, la totale esclusione della figura paterna, rimasta ignota per volontà della donna, la scarsa capacità di recupero o meglio di acquisizione della capacità genitoriale che richiederebbe una lunga psicoterapia per ipotizzare un recupero e l’inadeguatezza dell’apporto che può dare la nonna del piccolo K. con i suoi problemi di alcolismo e depressione.

2. Sulla base di questi elementi il Tribunale per i minorenni ha dichiarato l’adottabilità del minore con sentenza del 4 aprile 2016.

3. Ha proposto appello la B. che ha fatto rimarcare i progressi compiuti dalla madre, il suo radicale cambiamento di vita coronato da un imminente matrimonio, con un compagno che era ben disposto ad occuparsi del piccolo K., e dalla acquisizione di un lavoro a tempo indeterminato. Ha rilevato che è stata sottovalutata la diversità culturale nel rapporto con il figlio, che è stata scambiata per difetto di empatia, mentre in realtà esiste un forte legame affettivo da entrambi i lati del rapporto e il piccolo K. è anche molto legato alla nonna e al figlio che quest’ultima ha avuto da una seconda relazione. Ha dichiarato di voler acquisire le capacità genitoriali necessarie con un percorso psicoterapeutico e educativo per cui è disposta a collaborare e a richiedere l’aiuto necessario ai servizi sociali.

4. La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado con la sentenza n. 15/2016 del 5/19 luglio 2016.

5. Ricorre per cassazione la sig.ra B.T. deducendo: a) violazione di legge per erronea applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 1 e art. 8; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. della L. n. 184 del 1983 (artt. 15 e seguenti) e vizio di omessa motivazione; c) violazione dell’art. 132 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Diritto

RITENUTO

che:

6. Il ricorso per cassazione ripropone le argomentazioni di cui all’atto di appello e, come si è detto, le inquadra nella deduzione di violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 con ampio riferimento alla giurisprudenza CEDU, alla violazione dell’art. 116 c.p.c. della L. n. 184 del 1983, artt. 15 e segg. alla violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

7. La Corte di appello ha preso atto della situazione di grave abbandono in cui il piccolo K. ha vissuto i suoi primi anni di vita prima dell’affidamento ai servizi sociali e della grave esclusione della figura paterna per volontà dell’odierna ricorrente. Ha riscontrato poi il giudizio negativo sulle capacità genitoriali della madre e sulle capacità di sostegno e di supplenza della nonna e sottolineato la constatazione del C.T.U. secondo cui solo attraverso un lungo percorso psicoterapeutico e di sostegno sarebbe ipotizzabile l’acquisizione delle necessarie capacità di cura e di educazione oltre che di interrelazione da parte della madre.

8. Su questi presupposti la Corte di appello ha ritenuto che i tempi necessari per una reintegrazione del minore nella sua famiglia di origine, in una situazione adeguata alla sua crescita, siano incompatibili con la realizzazione delle sue esigenze gravemente lese dallo stato di abbandono in cui ha vissuto i suoi primi anni di vita e che continuerebbero ad essere frustrate dal protrarsi di un incerto procedimento sulla dichiarazione di adottabilità che renderebbe di fatto impossibile la opportunità della adozione. Si tratta di un giudizio fondato sulla valutazione di merito riservata alla Corte di appello che l’ha espressa sulla base del riscontro di una grave situazione abbandonica che ha portato all’affidamento extra-familiare del minore e all’esito di un lungo procedimento articolato nei due gradi del giudizio di merito che, secondo la valutazione del consulente tecnico e della Corte di appello, non ha consentito di esprimere un giudizio positivo sulle possibilità di positivo reinserimento nel nucleo familiare d’origine. Tale valutazione non può essere sindacata in sede di legittimità perchè è giurisprudenza consolidata di questa Corte che il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine incontra il limite della verifica del suo stato di abbandono e della impossibilità di recuperare in tempi adeguati alla crescita del minore le capacità genitoriali necessarie.

9. Il ricorso per cassazione va pertanto respinto senza statuizioni sulle spese processuali. Non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per essere il processo esente dal contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2018

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