Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21685 del 19/10/2011
Cassazione civile sez. VI, 19/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 19/10/2011), n.21685
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 9129-2010 proposto da:
R.M.R. (OMISSIS), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 123 presso lo studio
dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CINQUANTA ERASMO giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
G.D. (OMISSIS), in proprio e nella qualità di
esercente la potestà genitoriale sulla minore Gi.Fl.
P., GI.RO. (OMISSIS), GI.FA.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CONFALONIERI 2, presso lo studio dell’avvocato PARISI PIETRO, che li
rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1850/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 03/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/09/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;
udito l’Avvocato Parisi Pietro difensore dei controricorrenti che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla
osserva.
La Corte, letta la relazione del Cons. Paolo Stile;
udite le conclusioni del P.G., dott. Carlo Destro.
esaminati gli atti, ivi comprese le memorie delle parti:
Fatto
OSSERVA
L’arch. R., censurando la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1850/09 per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 c.c. nonchè dell’art. 2697 c.c. in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamenta con l’unico, complesso motivo di gravame che la Corte territoriale, con motivazione insufficiente, contraddittoria o omessa, nel confermare la sentenza del Tribunale di Roma n. 21905/06 emessa inter partes, avrebbe violato o disapplicato l’art. 2094 c.c. che definisce il prestatore di lavoro subordinato, l’art. 2222 c.c. che configura il contratto d’opera e l’art. 2697 c.c. che distribuisce tra le parti in causa l’onere probatorio.
Più in dettaglio, il ricorrente critica la sentenza impugnata per avere ritenuto che le prove raccolte in primo grado non avrebbero consentito di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con gli architetti Gi..
Il ricorso è manifestamente infondato.
Invero, la Corte d’appello si è data carico di riesaminare e valutare le testimonianze raccolte in primo grado ed ha espresso il suo motivato giudizio, ispirato alla norma fondamentale che regola l’onere probatorio, l’art. 2697 c.c., ed in coerenza alla copiosa ed univoca giurisprudenza di legittimità in subjecta materia.
E’, infatti, orientamento consolidato di questa Corte, al quale il Giudice a quo si è riportato, che l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e di per se non decisiva;
sicchè qualora vi sia una situazione oggettiva di incertezza probatoria, il giudice deve ritenere che l’onere della prova a carico dell’attore non sia stato assolto e non già propendere per la natura subordinata del rapporto (ex plurimis, Cass. n. 21028/06).
Va soggiunto, quanto alla valutazione del materiale probatorio, che il giudizio sull’attendibiità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive”( Cass. 20.3.2008 n. 7600; Cass. 8.3.2007 n. 5286; Cass. 15.4.2004 n. 7201).
Per le considerazioni sopra svolte il ricorso, va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011