Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21681 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 29/07/2021), n.21681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16304/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA PRORACE COMUNICATION, in

persona del legale rappresentante;

– intimata –

avverso la sentenza n. 171/20/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 28 dicembre 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 febbraio

2021 dal Consigliere Dott. Corradini Grazia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione Tributaria Provinciale di Como, con sentenza n. 142/3/2011, respinse il ricorso della Associazione Sportiva Dilettantistica Prorace Comunication contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo ad IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2 eli con cui l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un processo di constatazione della Guardia di Finanza, aveva accertato che la Associazione Sportiva, in violazione della L. n. 342 del 2000, art. 37, comma 5, , aveva effettuato numerosi pagamenti in contanti per un importo superiore ad Euro 516,46, così decadendo dalle agevolazioni di cui alla L. n. 398 del 1991 ed aveva omesso la presentazione della dichiarazione IVA, commettendo altresì irregolarità nella tenuta dei conti e mediante numerosi prelevamenti in contanti.

Investita dall’appello della contribuente, con sentenza n. 171h12/g012, depositata in data 2812-2012, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia lo accolse limitatamente alla applicabilità del criterio di competenza, in luogo di quello di cassa applicato dall’Agenzia delle Entrate, mandando all’Ufficio per la rideterminazione del reddito.

La Commissione Tributaria Regionale ritenne in proposito che i ricavi dovessero essere determinati secondo il criterio di competenza, in luogo di quello di cassa, così come deciso con separata sentenza n. 157/08/2011 per le annualità di imposta 2003 e 2004.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, con atto notificato alla controparte in data 21- 26/6/2013.

La contribuente è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la sentenza impugnata motivato esclusivamente mediante rinvio per relationem ad altra sentenza, senza riprodurre i contenuti mutuati e senza riportarne i passaggi fondamentali onde sottoporli ad autonoma valutazione critica e senza esplicitare le ragioni della loro rilevanza nel caso di specie, così omettendo di adempiere al dovere di motivazione.

2. Con il secondo motivo si duole, in via subordinata, di omessa ed apparente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando in modo apodittico che il reddito di impresa sarebbe stato determinato secondo il criterio di cassa anziché secondo quello di competenza, benché dall’avviso di accertamento e dal pvc richiamato per relationem nell’avviso di accertamento risultasse chiaramente che l’Ufficio aveva determinato il reddito di impresa secondo il criterio di competenza la cui applicazione era stata sempre riconosciuta come quella corretta, il che era stato evidenziato dall’Ufficio in tutte le difese nel giudizio di merito ed anche in quelle del giudizio da cui era stata scaturita la sentenza n. 157/8/2011 che era stata impugnata per cassazione dalla Agenzia anche per il rilievo che non era vero che l’Ufficio avesse applicato un criterio diverso da quello di competenza.

3. Con il terzo motivo deduce – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, qualora dovesse essere ritenuta applicabile la modifica legislativa – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla determinazione del reddito di impresa secondo il criterio di cassa (come affermato dalla contribuente) ovvero secondo quello di competenza (come evidenziato dalla Amministrazione Finanziaria).

4. Il quarto motivo rileva, in via ulteriormente subordinata ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2909 c.c., della L. n. 398 del 1992, art. 1 e 2, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 2, art. 109, comma 1, artt. 143, 144 e 148, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e 40, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 3 e 5, per avere la sentenza impugnata accolto l’appello proposto dalla contribuente limitandosi a richiamare per relationem la sentenza n. 157/8/2011, così attribuendo alla stessa efficacia vincolante benché non fosse passata in giudicato, omettendo altresì di esaminare la fattispecie concreta sottoposta a giudizio nella specifica annualità di imposta e di considerare che l’unico criterio di imputazione delle componenti positive e negative del reddito di impresa, che le associazioni sportive dilettantistiche erano legislativamente tenute ad osservare, era quello della competenza.

5. Infine, con i quinto motivo lamenta error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 per difetto di esercizio del potere giurisdizionale in relazione al principio di diritto vivente della natura di “impugnazione-merito” del processo tributario, desumibile dagli artt. 1, 2, 7 e 36 del Digs 31.12.1992 n. 546, in combinato disposto con gli artt. 112 e 115 c.p.c., con contestuale falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. 22 dicembre 2986, n. 917, art. 73, comma 2, e dell’art. 109, comma 1, , nonché violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1362 c.c. e s.s. cc. ed omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’interpretazione degli atti processuali delle parti, per avere la sentenza impugnata annullato l’atto impositivo nella parte relativa alla determinazione del reddito di impresa, mentre invece avrebbe dovuto esaminare nel merito la pretesa impositiva e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte.

6. Il primo motivo è fondato atteso che nella sentenza d’appello l’accoglimento del motivo di appello con cui veniva richiesto di imporre alla Amministrazione Finanziaria la rideterminazione del reddito secondo il criterio di competenza è avvenuto con motivazione apparente per tautologia, avendo la CTR affermato esclusivamente che “già in una precedente circostanza relativa ad analoghi appelli della associazione sportiva Prorace Comunication per i periodi di imposta 2003 e 2004, questa CTR (sentenza 157/8/11) per la determinazione del reddito di impresa si era pronunciata per l’applicazione del criterio di competenza e non per quello di cassa”.

6.1. Invero la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla per error in procedendo quando non renda percepibile l’iter argomentativo che fonda la decisione (per tutte, in ultimo, Cass., SU, n. 22232/2016), il che è avvenuto nel caso in esame considerato che la motivazione sopra trascritta, benché graficamente esistente, non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, non essendo possibile desumerne il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento in merito alla scelta del criterio seguito per la determinazione del reddito, così lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.

7. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, proposti in via meramente subordinata, restano assorbiti.

8. Il quinto motivo è ugualmente fondato poiché correttamente la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove il giudice di appello, dopo aver statuito che i redditi per gli anni in contestazione dovessero essere “liquidati in base ai criteri di “competenza””, aveva poi rimesso all’Ufficio l’onere di procedere alla liquidazione, in quanto, rimettendo alla parte pubblica tali attività, era venuto meno all’obbligo di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta e delle sanzioni dovute dalla contribuente (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26157 del 2013).

8.1. In proposito questa Corte ha più volte ribadito in fattispecie consimili (cfr., ex multis, Cass. nn. 13294/2016, 24611 e 26532 del 2014, 6918/2013, 13034 e 11935 del 2012, 15825/2006) che dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, ma tra i processi di ìmpugnazione-merito, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte.

8.2. La conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto trarre dall’erronea liquidazione delle imposte mediante utilizzo per la formazione del reddito imponibile di criterio diverso da quello di competenza, era la determinazione dell’ammontare effettivo delle imposte dovute, risolvendosi invece la statuizione nella specie adottata dalla CTR, laddove ha rimesso all’Ufficio la rideterminazione del reddito, sostanzialmente, in una pronuncia parziale, sull’an della pretesa tributaria ma non sul quantum, in violazione del divieto posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, di pronuncia da parte delle commissioni tributarie di sentenza di condanna generica, avente natura di sentenza non definitiva (v. Cass. Cass. n. 7909 del 2007; n. 2254 del 2011; e successive conformi).

9. In conseguenza, accolti il primo ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto (formulati in subordine), la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame e regolamento delle spese ad altra sezione della CTR della Lombardia.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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