Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21679 del 05/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 05/09/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 05/09/2018), n.21679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 137-2017 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBA N

12/A, presso lo studio dell’Avvocato CARLO ALESSANDRINI unitamente

all’Avvocato LOREDANA DI FOLCO che lo rappresenta e lo difende;

– ricorrente – controricorrente incidentale –

contro

FCA ITALY SPA, (già FIAT GROUP AUTOMBILES spa), in persona del

legale rappresentante pt, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, 19, presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO,

che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocati ITALICO PERLINI

e GAETANO CAPPUCCI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4915/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/10/2016 R.G.N. 235612016;

udita la relazione della cauta svolta

pubblica udienza del 08/05/2018 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO

CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato LOREDANA DI FOLCO;

udito l’Avvocato MATTEO PERLINI per delega verbale dell’Avvocato

ITALICO PERLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.D., dipendente della Fiat Group Automobiles spa con inquadramento nel 5 gruppo professionale, 2 fascia CCNL 13.12.2011 e con mansioni di magazziniere presso il reparto centro di consolidamento, in data 6.3.2014 veniva licenziato per giusta causa a seguito di contestazione disciplinare del 26.2.2014 con la quale gli era stato addebitato di essere stato sorpreso dai carabinieri, durante la pausa di lavoro, in possesso di 25 grammi di hashish, al fine di spaccio, custoditi nella tuta di lavoro, mentre stava rientrando in azienda, tanto è che era stato arrestato con grave discredito del nome commerciale della società per l’eco della notizia che vi era stato, anche in ambiente extra-lavorativo, come era emerso dall’articolo del 19.2.2014 sul quotidiano locale “(OMISSIS)”, intitolato “(OMISSIS)”.

2. Impugnato il licenziamento innanzi al Tribunale di Cassino, con ordinanza del 19.1.2015 venivano rigettate le domande avanzate dal F. e, a seguito di opposizione, con sentenza depositata il 9.5.2016 veniva dichiarato risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannata la società a pagare al dipendente un’indennità risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

3. Proposti autonomi reclami L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, sia dalla società che dal dipendente, la Corte di appello di Roma confermava la gravata sentenza compensando le spese di lite.

4. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure rilevavano che: a) correttamente il Tribunale aveva considerato ammissibili le circostanze dedotte dal F. per la prima volta con il ricorso in opposizione; b) era condivisibile la tesi della società secondo la quale se il F. non fosse stato arrestato dai Carabinieri, sarebbe rientrato in azienda detenendo un discreto quantitativo di sostanza stupefacente (circa 25 grammi di hashish); c) tale quantitativo, tuttavia, non consentiva di affermare neppure in via presuntiva il fine di spaccio, mentre restava rilevante soltanto la condotta di detenzione di sostanza stupefacente per uso personale, quale condotta certamente extra-lavorativa, tenuta nell’arco temporale di “non lavoro” in quanto dedicato alla pausa pranzo; d) la peculiarità di tale comportamento, che si distingueva dal mero fatto extra-lavorativo, presentava indubbiamente elementi di maggiore gravità rispetto al fatto extra-lavorativo; e) correttamente dal primo giudice era stata esclusa la proporzionalità per fatto addebitato e sanzione espulsiva adottata ed il vincolo fiduciario aveva subito un pregiudizio ma non tale da giustificare l’estinzione del rapporto di lavoro con la massima sanzione espulsiva; f) il fatto in esame, disciplinarmente rilevante, non poteva essere ricondotto all’art. 32 del CCNL perchè potenzialmente, in caso di consumo di gruppo della sostanza, sarebbero state pregiudicate l’igiene e la sicurezza dell’intera azienda e non dello stabilimento e perchè la società aveva ricevuto un oggettivo discredito, essendo stato il F. arrestato con la tuta portante il marchio Fiat, con la sostanza custodita nella tasca della tuta, durante la pausa pranzo e durante il rientro in azienda.

5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione F.D. affidato a tre motivi.

6. Ha resistito con controricorso la Fiat Group Automobiles spa formulando ricorso incidentale sulla base di un motivo cui ha resistito a sua volta il F..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo articolato motivo il ricorrente principale lamenta: 1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4; 2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il difetto di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; 3) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5. Si censura il capo della sentenza relativo alle conseguenze della illegittimità, comunque accertata, del licenziamento di cui è causa e la motivazione apparente e viziata da una manifesta e irriducibile inconsistenza, tale da rendere incomprensibile il percorso argomentativo seguito sulla tesi che ad essere interessati dal pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza, sia stata l’intera azienda e non il solo stabilimento.

2. Con il secondo motivo F.D. si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1 e dell’art. 4 del titolo secondo CCSL 13.12.2011 nonchè della violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per non avere ritenuto la Corte di merito che, nel caso in esame, non si verteva in una ipotesi di “pausa pranzo” (qualificata come intervallo di non lavoro) ma di un lasso temporale pacificamente non rientrante nell’orario di lavoro, con la conseguenza che la condotta addebitata era da riferirsi puramente e specificamente ad un fatto extralavorativo; inoltre, sostiene che l’argomentazione circa lo sviluppo del comportamento del lavoratore, diretto a introdurre la sostanza stupefacente nello stabilimento, non sarebbe stata caratterizzata da indizi gravi, precisi e concordanti a fronte dell’unico dato certo costituito dall’acquisto di una modica quantità di stupefacente leggero, fuori dal luogo di lavoro.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 2014,2015 e 2016, della L. n. 604 del 1966, art. 5, della L. n. 300 del 1970, art. 128 e degli artt. 112,115e 116 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto la Corte di appello allegata e dimostrata la lesione degli interessi del datore di lavoro a seguito del comportamento disciplinarmente rilevante sotto l’aspetto materiale e immateriale, per non avere considerato che la circostanza dell’avere tenuta indossata la tuta era stata determinata dal fatto che l’azienda non aveva inteso corrispondere l’emolumento legato al cd. “tempo tuta” e per non avere rilevato la totale carenza di allegazione e prova con riferimento alla lesione del rapporto fiduciario di talchè alla irrilevanza giuridica del fatto doveva corrispondere la insussistenza materiale dello stesso, con conseguente applicazione della tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4.

4. Con il ricorso incidentale la società lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), costituito dal non avere correttamente valutato la Corte di merito la potenzialità lesiva del comportamento contestato (detenzione di sostanza stupefacente con rientro in fabbrica del quantitativo di droga acquistato) che era idoneo, sulla base di precedenti giurisprudenziali di legittimità, a giustificare la sanzione espulsiva.

5. Il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere esaminati congiuntamente per la loro interdipendenza logico-giuridica, in quanto attingono al giudizio operato dalla Corte territoriale di sussunzione della fattispecie nella previsione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 novellato, sulla base della gravità della condotta, da un lato, sollecitandone una attenuazione, con il risultato di rendere applicabile la tutela reintegratoria, dall’altro, un inasprimento, con il risultato di farla rientrare nel’alveo dell’art. 2119 c.c. e, quindi, di rendere il licenziamento legittimo.

6. Deve, in proposito ribadirsi che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. L’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denunzia di incoerenza rispetto agli standars, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 23.9.2016 n. 18715; Cass. n. 8367/2014; Cass. n. 5095/2011).

7. Nell’approccio che è stato definito dalla dottrina “multifattoriale”, secondo il quale la condotta disciplinarmente rilevante deve essere collocata nel contesto complessivo in cui è avvenuta, possono poi emergere una serie di circostanze, soggettive od oggettive, che consentano al giudice di escludere, in concreto e pur a fronte di un fatto astrattamente grave, l’idoneità dell’inadempimento a configurare giusta causa o giustificato motivo soggettivo, e quindi determinino una sproporzione tra la condotta così come effettivamente realizzata ed il licenziamento (Cass. 16.10.2015 n. 21017).

8. Sotto il profilo della tutela è stato affermato (cfr. Cass. 25.5.2017 n. 13178) che la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18,come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, riconosce al comma 4 la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonchè nei casi in cui il fatto sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore; la non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nel 4 comma quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili che stabiliscano per esso una sanzione conservativa, diversamente verificandosi le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per le quali il 5 comma dell’art. 18 prevede la tutela indennitaria cd. forte.

9. E’ pur vero che, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, proprio perchè quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, le eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito. Egli – anzi – ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive al disposto dell’art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, ex art. 2106 c.c., solo ad eventuali sanzioni conservative. Ma ciò non gli consente di fare l’inverso, cioè di estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggettivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti (cfr. ex aliis Cass. N. 11027/2017; Cass. N. 9223/2015; Cass. N. 13353/2011; Cass. N. 19053/1995; Cass. N. 1173/1996), nel senso che condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse, con clausola migliorativa per il lavoratore, sanzioni meramente conservative.

10. Orbene, nella fattispecie in esame, deve darsi atto che la Corte di merito -con adeguata motivazione- ha proceduto ad analizzare compiutamente l’episodio sia sul piano fattuale che circostanziale, specificando che il fatto contestato (detenzione di gr. 25 di hashish, non a fini di spaccio, durante la “pausa pranzo” al di fuori del luogo di lavoro ma con rientro verso lo stesso) avesse un suo incontestabile rilievo disciplinare, ma non tale da legittimare una risoluzione in tronco del rapporto.

11. In particolare, i giudici del merito hanno valutato il carattere extra-lavorativo della condotta, sia pur con la particolarità del caso concreto che prevedeva il rientro nello stabilimento; hanno precisato con argomentazioni congrue ed esenti da critiche che l’episodio in questione potesse essere comparato a quello del rinvenimento del dipendente trovato in stato di manifesta ubriachezza durante l’orario di lavoro, sanzionato con una misura conservativa; hanno escluso, per l’insieme delle specifiche circostanze oggettive e soggettive che avevano caratterizzato l’episodio, che il vincolo fiduciario fosse irrimediabilmente compromesso per la assenza di potenziale pregiudizialità derivante al datore di lavoro dal comportamento del dipendente.

12. La suddetta valutazione è corretta giuridicamente, alla stregua dei principi sopra evidenziati in tema di sindacato di legittimità sulla giusta causa, ed è condivisibile e completa logicamente di talchè il ricorso incidentale deve essere rigettato.

13. Non è, invece, esatto, a parere del Collegio, l’assunto dei giudici di seconde cure che non hanno ritenuto sussumibile nella previsione dell’art. 32 del CCNL di settore (che prevede una sanzione conservativa per il lavoratore che commetta “qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dello stabilimento”), opinando che ad essere coinvolta dal comportamento del F. non era lo stabilimento ma l’intera azienda, vista “la possibile condivisione del fumo con altri colleghi di lavoro, essendo notorio il cd. passaggio di sigaretta da un soggetto ad altro nei fenomeni di consumo di gruppo, nell’ambito dell’intera azienda”; analogamente, non è senza errori l’affermazione della Corte territoriale che ha considerato la sussistenza dell’ulteriore stato lesivo, rappresentato dall’oggettivo discredito prodotto a danno della società per essere stato il lavoratore arrestato con la tuta portante il marchio FIAT, con sostanza custodita nella tasca della tuta stessa, durante la pausa pranzo e nel mentre ritornava in azienda.

14. Invero, premesso che per stabilimento deve intendersi l’edificio all’interno del quale si svolge l’attività lavorativa espletata dal dipendente mentre per azienda deve considerarsi, in termini più generali, tutto l’insieme delle attività finalizzate alla produzione dei beni materiali, quali gli impianti, gli uffici, la logistica (etc.), la ricostruzione adottata dalla Corte di merito risulta carente ed insussistente, sotto il profilo motivazionale, sia in ordine al presupposto da cui parte, circa la “possibile condivisione del fumo con altri colleghi”, ben potendo la detenzione, nel caso in esame, per il quantitativo della sostanza, essere finalizzata esclusivamente ad un consumo personale magari da attuarsi fuori l’ambiente lavorativo e fuori l’orario di lavoro, sia per l’asserito coinvolgimento di tutta l’azienda in un cd. fenomeno di consumo di gruppo e non del solo stabilimento cui era addetto il F., non risultando ciò avvalorato da alcun elemento di fatto.

15. Quanto, poi, all’asserito discredito prodotto a danno della società, va rilevato che anche su questo punto manca un accertamento concreto in relazione a tale requisito (cfr. Cass. n. 20545/2015), perchè con la diffusione meramente locale del quotidiano che aveva riportato la notizia, non risultava dimostrata alcuna lesione degli interessi di parte datoriale nella loro oggettività in considerazione di un episodio avente comunque carattere extralavorativo.

16. In conclusione, quindi, il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto, con assorbimento dell’esame degli altri, mentre va rigettato il ricorso incidentale. La sentenza cassata deve essere rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie sulla base delle indicazioni di cui sopra e provvederà alla determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA