Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21677 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/10/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 08/10/2020), n.21677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6741/2018 R.G. proposto da:

Linea Metalli Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Benincasa,

elettivamente domiciliato presso l’Avv. Alessandro Voglino in Roma

via F. Siacci n. 4, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 6771/17/17, depositata il 18 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 novembre

2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della Linea Metalli SrL avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2009 ai fini Iva, Ires ed Irap, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, recuperando a tassazione la maggiore Iva e i costi indebitamente detratti, nonchè irrogando le conseguenti sanzioni.

L’Ufficio, con separato avviso, contestava altresì l’omesso versamento delle ritenute sugli utili extracontabili derivanti dalle operazioni oggettivamente inesistenti e presuntivamente distribuiti al socio M.N., titolare della quota del 3% della società.

La contribuente proponeva separate impugnazioni innanzi alla CTP di Napoli, che rigettava il ricorso avverso il primo avviso, emesso per operazioni oggettivamente inesistenti, ed accoglieva il secondo.

La CTR riuniva i gravami proposti dalle parti e rigettava la domanda della contribuente.

Linea Metalli Srl propone ricorso per cassazione con quattro motivi, cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 per aver la CTR omesso di statuire sul procedimento avverso la sentenza della CTP n. 20746/2015, relativa all’omesso versamento delle ritenute sugli utili extracontabili, limitandosi a decidere sul procedimento avverso la sentenza della CTP n. 14050/2015, relativa alla falsa fatturazione.

1.1. Il motivo è inammissibile per carenza d’interesse.

L’appello avverso la sentenza della CTP n. 20746/2015 è stato proposto dall’Agenzia delle entrate, rivestendo la contribuente la sola veste di parte appellata.

Ne deriva che l’unico soggetto che avrebbe ragione di dolersi per l’eventuale mancata pronuncia va identificato nell’appellante, ossia proprio nell’Agenzia delle entrate, mentre, a tal fine, è privo di rilievo che la contribuente avesse riproposto in appello questioni rimaste assorbite dalla statuizione di primo grado.

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sul motivo con cui si lamentava la mancata applicazione del cumulo giuridico per le sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 12, comma 5.

2.1. Il motivo è fondato.

La CTR, invero, nel rigettare l’appello, ha “disatteso o dichiarata assorbita ogni ulteriore eccezione, deduzione ed istanza”; in tal modo, tuttavia, ha impropriamente – ed illogicamente trattandosi di profilo, pertinente alle sanzioni, ulteriore e successivo rispetto a quelli esplicitamente considerati, riferiti alla fondatezza della pretesa – ritenuto assorbita la censura.

La dichiarazione di assorbimento, dunque, si risolve, in realtà, in una omessa pronuncia (v. recentemente Cass. n. 11459 del 30/04/2019).

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, commi 7 e 8, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9, bis 3, come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015.

La contribuente lamenta, in sostanza, che, trovando applicazione nei suoi confronti per le operazioni compiute il regime del reverse charge in forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 8, come sostituito dal D.L. n. 269 del 2003, art. 35 l’Iva non è stata nè incassata, nè detratta, nè, quindi, poteva essere recuperata.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. La questione, invero, è già stata oggetto di esame da parte della Corte con le sentenze n. 16679 del 09/08/2016 e, più recentemente, n. 2862 del 31/01/2019, relative a fattispecie analoghe a quella qui in giudizio (operazioni di cessione di rottami soggette agli effetti dell’Iva al regime di reverse charge ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, commi 7 e 8, e qualificate – ivi – come soggettivamente inesistenti dal Fisco in quanto rese da una mera cartiera) (v. anche, in precedenza, per operazioni intracomunitarie, Cass. n. 22532 del 11/12/2012 e Cass. n. 6229 del 13/03/2013).

La disciplina nazionale per il commercio dei rottami, qui in rilievo, prevede, invero, che la fattura sia emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e ss. e con l’indicazione di cui all’art. 74, comma 8 che si tratta di operazione con Iva non addebitata in via di rivalsa; la fattura è quindi integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo d’imposta, con l’indicazione dell’aliquota e della imposta stessa, per essere, poi, registrata nel registro delle vendite dal cessionario, che in tal modo assolve l’obbligo di pagamento del tributo, detratto con la parallela annotazione nel registro degli acquisti; trattandosi di operazione imponibile, inoltre, il cedente conserva il diritto all’ordinaria detrazione dell’imposta relativa agli acquisti inerenti.

3.2. Orbene, nella vicenda in esame, non è contestato che la società contribuente abbia regolarmente effettuato l’inversione contabile a suo carico e reso neutrali le operazioni; rileva, invece, che dette operazioni siano state ritenute inesistenti – in particolare, oggettivamente inesistenti – dalla CTR.

Su una tale problematica, peraltro, la Corte di Giustizia ha precisato che “la presentazione di false fatture o di false dichiarazioni, alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è idonea ad impedire la riscossione dell’importo esatto dell’imposta e, pertanto, è atta a compromettere il buon funzionamento del sistema comune dell’IVA” e “pertanto, il diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi” (sentenza, 7 dicembre 2010, in C-285/09, R., punti 48 e 49).

Nè in senso contrario rileva che la Corte medesima abbia escluso la perdita del diritto di detrazione per la mera inosservanza di requisiti formali, che anzi rafforza le indicazioni sopra esposte: la sentenza 11 dicembre 2014, in C-590/13, Idexx Laboratoires Italia, in particolare, ha statuito che l’art. 18, paragrafo 1, lett. d), e art. 22 della direttiva 77/388/CEE, come modificati, devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni dettano requisiti formali del diritto a detrazione la cui mancata osservanza, “in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale”, non può determinare la perdita del diritto medesimo ove sussistano i requisiti sostanziali del diritto a detrazione che sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione del diritto, la sua insorgenza, (punto 41 della sentenza Idexx), e consistono nelle circostanze che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili (punto 43).

E’ evidente, dunque, che ove manchino, come nella vicenda in giudizio, i presupposti sostanziali non è certo sufficiente l’apparente osservanza dei requisiti formali.

3.3. Coerente con i principi unionali è la disciplina nazionale: infatti, come rilevato nelle sentenze su citate, “il disposto dell’art. 21 comma 7, d.Iva per un verso incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio comunitario di cui all’art. 28-octies, par. 1, lett. d), dir. 1977/388/CE (ora art. 203 dir. 2006/112/CE). Per un altro verso incide indirettamente, in combinato disposto con l’art. 19, comma 1 e l’art. 26, comma 3 diva, pure sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta in carenza del suo presupposto (v. Cass. 12353/2005, 2823/2008, 24231/2011). Nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all’art. 28-octies, anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto dell’art. 21, comma 7, art. 19, comma 1 e art. 26, comma 3 cit. – sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza anche soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata”.

In tali ipotesi, il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra Iva “a valle” ed Iva “a monte”) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 D.P.R. cit., neppure potendosi avvalere della procedura di rettifica D.P.R., ex art. 26 medesimo (v. Cass. n. 12995 del 09/06/2014; Cass. n. 6229 del 13/03/2013).

3.4. Non assume rilievo, infine, la modifica del D.P.R. n. 633 cit., art. 21, comma 7, operata con il D.L. n. 158 del 2015, art. 31 (sostituito con il testo “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”) e mirata ad escludere dall’ambito della disposizione le operazioni in reverse charge, in quanto, D.Lgs. n. 158 del 2015, ex art. 31, comma 1,espressamente applicabile a far data dal 1 gennaio 2016, e che, comunque, riguarda “unicamente la posizione del cedente verso il fisco e non quella del cessionario il quale per le operazioni inesistenti, anche se solo soggettivamente, ma pur sempre imponibili perde comunque il diritto di detrazione” per effetto del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 633 cit., art. 19, comma 1 e art. 26, comma 3, (Cass. n. 16679 del 2016 cit.).

4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, identificati nell’effettività delle prestazioni come risultante dalla documentazione prodotta in giudizio, non esaminata dalla CTR.

4.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che non consente più la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nel caso vi sia stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito sulle medesime questioni di fatto, circostanza che risulta dalla stessa motivazione della decisione impugnata, che, in particolare, ha affermato che “la difesa della società è unicamente ancorata alle evidenze contabili ed a certificazioni camerali e comunque a documenti che non forniscono alcun elemento fattuale di certezza sulla effettività dell’operazione commerciale di compravendita”.

5. In accoglimento del secondo motivo, inammissibili il primo ed il quarto ed infondato il secondo, la sentenza va cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio, anche per le spese alla CTR competente in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibili il primo ed il quarto ed infondato il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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