Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21673 del 23/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21673 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 19590-2013 proposto da:
ALONZI SILVIO VALTER, ALTOBELLI PIETRO, AMATO
RITA, AMBRIFI ANNA, AMOROSO GIULIANA, ANDREOZZI
VINICIO, BERTI FAUSTO, BOLDRINI MARIO, BONGO
GENEROSO, CACIOPPO OTTAVIO, CALDAROLA
FRANCESCO, CANINO SALVATORE, CAPONECCHIA
ANTONIO, EREDE DI CAPOROSSI ROBERTO in persona di
TAGLIACOZZO INES, CAPOROSSI MONICA, CAPOROSSI
RENZO, CAPOROSSI MARZIO, CAZZANICA FRANCO,
CECCHINI ANNAMARIA, CENCI GIANCARLO, COTUGNO
GIORGIO, CRO ALBERTO, D’AGNOLO CLELIA, D’ALONZO
NINA, D’ANDREA MARIA, DE SANTIS PIETRO, DI LORETO

Data pubblicazione: 23/10/2015

SANTINA, DI PALMA EMILIANO e MATURI LIDIA eredi di DI
PALMA GERARDO, DI GIULIO GASTONE, DOMINICI GIAN
PIERO, DUCA MICHELE, EL SAA DIEGO, EL SAA SABRINA,
in proprio e quali eredi di El Saa Gabriel, EREDI DI LEPORI LIDIA
in persona di LEPORI EMANUELE, LEPORI ALBERTO, LEPORI

ROBERTO, EREDI DI FINAMORE MARIO sigg.ri FINAMORE
MARIA CRISTINA, FINAMORE CARMINE, GERMANI ANNA
MARIA, EREDI MANIERI ELENA in persona dei sigg.ri
VERONESE ANTONIO, VERONESE LOREDANA,
VERONESE VITTORIA e VERONESE ENZO, EVANGELISTA
FRANCESCO, FINOCCHI BRUNO, FLAMINI FRANCO,
LAURENTI GUALTIERO, LEPORE SILVIA FRANCESCA, LUZI
VITTORIO, MAFFEI GRAZIANO, MASCI ROLANDO,
MASTRANTONIO ALVARO, MIGNANO ROLANDO
GIUSEPPE quale unico erede di Mignano Candeloro e di Capecchi
Denise, MORI MARIO, MOTTOLA LIBORIO, PACE FRANCO,
PICA GIORGIO, PICCARDI IMPERO in persona degli eredi
LEONORO LIDIA, PICCARDI ANNALISA e PICCARDI DAVID,
PIOL FRANCO, RANALDI CARLO, ROSSETTI LUIGI,
SALATINO FRANCESCA, SARTORI FRANCA, SAULLI ANNA
MARIA, SCARVAGLIERI GIOVANNI, SCIPIONE MARIO,
SENSI ROSA ANNA, SERENELLI ILVA, SITTA CATERIfiNA,
TONI LUIGI, TROIANI GOFFREDO, VALERIT VALERIO,
VERCELLI ELINA, VIOLA LINA, GALATEO PATRIZIA,
GALATEO MASSIMO quali eredi di Galateo Renato, VOLPICELLA
ANNA, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI
SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato LIDIA MANDRA’,

Ric. 2013 n. 19590 sez. M2 – ud. 19-03-2015
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FRANCESCA, MASCIONI GIORDANO e MASCIONI

rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO FORTE (procuratore
antistatario), giuste deleghe in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

80415740580 in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende, ope legis;

controricorrente

avverso il decreto nel procedimento R.G. 738/2011 della CORTE
D’APPELLO di PERUGIA dell’11.3.2013, depositato il 05/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Bruno Forte che si riporta agli scritti.

Ric. 2013 n. 19590 sez. M2 – ud. 19-03-2015
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MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

IN FATTO
Con separati ricorsi di poi riuniti presentati a partire dal 18.2.2011, gli
odierni ricorrenti adivano la Corte d’appello di Perugia per ottenere la
condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di un

relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55. Giudizio
presupposto, della cui durata irragionevole si dolevano, un processo
amministrativo instaurato innanzi al TAR Lazio il 2.3.1990, nei confronti
della Regione Lazio, definito con sentenza del Consiglio di Stato del
26.9.2001 (con successive fasi di correzione di errore materiale conclusesi nel
dicembre 2002), cui aveva fatto seguito un giudizio d’ottemperanza iniziato
davanti al TAR Lazio 1’1.10.2007 e definito in grado d’appello con sentenza
del Consiglio di Stato pubblicata 1’8.2.2011.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 5.4.2013 la Corte d’appello rigettava i ricorsi. Richiamato
il precedente di Cass. S.U. n. 27348/09, in base al quale processo
amministrativo di cognizione e successivo giudizio d’ottemperanza sono tra
loro strutturalmente e funzionalmente autonomi, la Corte territoriale
osservava che, nella specie, la domanda d’equo indennizzo era improponibile
relativamente al giudizio di merito, conclusosi con una sentenza risalente a
circa dieci anni prima della proposizione del ricorso ex lege n. 89/01. Quanto
al giudizio d’ottemperanza, esso aveva avuto una durata complessiva
ragionevole (5 mesi in primo grado, un anno e 11 mesi in appello).

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equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in

La cassazione di tale decreto è chiesta dai predetti ricorrenti in base a
cinque motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
MOTIVI DELLA DECISIONE

e 4 legge n. 89/01, e 6, 13, 25, 26 e 35 CEDU, in connessione con l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5
c.p.c.; il secondo mezzo espone la violazione dell’art. 1 del Trattato di
Lisbona, ratificato con legge n. 130/08, nonché degli artt. 24 Cost. e 6 e 13
CEDU, deducendone la diretta applicabilità da parte dei giudici nazionali a
seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato disposta, a sua volta, dal Trattato
di Lisbona; col terzo motivo è dedotta la violazione del Trattato di Nizza,
ratificato con legge n. 102/02, e la sua mancata applicazione diretta; il quarto
motivo lamenta la violazione degli artt. 111 e 117 Cost., 2 e 4 legge n. 89/01,
6, 13, 26, 35 e 41 CEDU; infine, col quinto motivo, logicamente subordinato
ai precedenti, parte ricorrente chiede sollevarsi la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2, 2-bis (questo inapplicabile alla specie ratione
temporis: n.d.r.) e 4 legge n. 89/01, per violazione degli artt. 117 e 111 Cost.,
nella parte in cui le norme denunciate non prevedono che per decisione
interna definitiva, ai fini della proponibilità del ricorso ex lege n. 89/01, debba
intendersi il momento in cui il diritto del ricorrente abbia avuto effettiva
esecuzione e realizzazione, e nella parte in cui considerano separatamente ai
fini anzi detti il processo di cognizione e quello d’esecuzione.
2. – Sotto angolazioni complementari che ne impongono l’esame
congiunto, i suddetti motivi si affidano essenzialmente a due proposizioni:
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1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2

una di metodo, l’altra di merito, entrambe saldate all’interno del principio di
effettività della tutela giurisdizionale.
La prima contesta l’orientamento della Corte costituzionale, secondo cui la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) è una

interne incompatibili rispetto ad essa è mediata dall’incidente di legittimità
costituzionale. Richiama, a sostegno della tesi opposta, quanto affermato da
Consiglio di Stato n. 1220/10 e TAR Lazio n. 11984/10, secondo cui la nuova
formulazione dell’art. 6 del Trattato dell’Unione europea, come modificato
dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1°.12.2009 (“L’Unione aderisce alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (…). I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e
risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte
del diritto dell’Unione in quanto principi generali”), avrebbe attribuito alla
Convenzione il medesimo statuto delle norme comunitarie. Con la
conseguente sua applicabilità diretta nell’ordinamento nazionale, previa
disapplicazione delle norme interne incompatibili.
La seconda richiama (in antitesi al diverso indirizzo di Cass. S.U. n.
27348/09, e in adesione a Cass. n. 7978/05) la nozione di decisione interna
definitiva elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU, in base alla quale
l’esecuzione di una decisione o di una sentenza deve essere considerata quale
parte integrante del processo stesso, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione.
Nella specie il commissario ad acta, nominato con sentenza del Consiglio di
Stato n. 839 dell’8.2.2011, ha completato il proprio incarico il 25.10.2012, ma
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fonte interposta, di rango sub costituzionale, la cui prevalenza sulle norme

ciò nonostante la Regione Lazio non ha ancora provveduto a pagare quanto
spettante ai ricorrenti, sicché la decisione definitiva interna deve ritenersi non
ancora conseguita.
3. – Entrambe le tesi anzi dette, ivi inclusa la questione di legittimità

3.1. – La prima è confutata dall’ormai nota pronuncia n. 80/11 della Corte
costituzionale, la quale ha escluso che alla luce del nuovo testo dell’art. 6 del
Trattato sull’Unione europea il giudice possa disapplicare le norme interne
ritenute incompatibili con quelle della Convenzione dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali. Infatti, ha osservato la Corte costituzionale deve
escludersi che dalla qualificazione dei diritti fondamentali oggetto di
disposizioni della CEDU come principi generali del diritto comunitario,
operata dalla Corte di giustizia, prima, e dall’art. 6 del Trattato, poi, “possa
farsi discendere la riferibilità alla CEDU del parametro di cui all’art. 11 Cost.
e, con essa, la spettanza al giudice comune del potere-dovere di non applicare
le norme interne contrastanti con la Convenzione. Né ha pregio l’argomento
tratto dalla prevista adesione dell’Unione europea alla CEDU, per
l’assorbente ragione che l’adesione non è ancora avvenuta, sicché, la
statuizione del paragrafo 2 del nuovo art. 6 del Trattato resta, allo stato,
ancora improduttiva di effetti. Quanto, poi, al richiamo alla CEDU contenuto
nel paragrafo 3 del medesimo art. 6 – secondo cui i diritti fondamentali
garantiti dalla Convenzione <> – si tratta di una disposizione che riprende lo schema del
previgente paragrafo 2 dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea: evocando,
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costituzionale dell’art. 4 legge n. 89/01, non possono trovare condivisione.

con ciò, una forma di protezione preesistente al Trattato di Lisbona; dal che
discende l’impossibilità, nelle materie cui non sia applicabile il diritto
dell’Unione, di far derivare la riferibilità alla CEDU dell’art. 11 Cost. dalla
qualificazione dei diritti fondamentali in essa riconosciuti come <

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