Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21670 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/10/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 26/10/2016), n.21670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16897-2014 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.P., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

avverso il decreto nei procedimenti nn. 53916/2010 e 55434/2010 della

CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 23/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi – poi riuniti – depositati in data 7 aprile 2010 presso la Corte d’appello di Roma, S.P., + ALTRI OMESSI

L’adita Corte d’appello considerava ragionevole la durata della complessiva della procedura in quattro anni, per cui riteneva che fosse indennizzabile un ritardo di nove anni e liquidava la somma di Euro 9.000,00 per ciascun ricorrente.

Avverso detto decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo il Ministero ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia determinato la durata ragionevole della procedura fallimentare presupposta in quattro anni, notoriamente applicabile ai giudizi di cognizione ordinaria di complessità superiore alla media, non già ad una procedura fallimentare, peraltro quella in esame era di complessità superiore alla media sia per la pluralità dei creditori sia per l’entità del passivo e la laboriosità delle operazioni.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni, allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti (Cass. n. 8468 del 2012).

All’evidenza, la Corte d’appello si è discostata dall’indicato orientamento ritenendo ragionevole una durata di quattro anni, pur adducendo la “indiscutibile” difficoltà di chiudere il fallimento in tempi rapidi e, pertanto, la determinazione del ritardo va riconsiderato.

Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 75 e 112 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, dolendosi che la Corte d’appello abbia individuato il dies a quo nella data di dichiarazione del fallimento, anzichè in quella successiva del 16.2.2002 di presentazione da parte degli originari ricorrenti della data di presentazione di istanza di insinuazione allo stato passivo.

Parimenti fondati sono i motivi da due a quattro alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare, la durata del procedimento va determinata avendo riguardo alla data di proposizione dell’istanza L. Fall., ex art. 101, con cui il creditore diventa parte della procedura (Cass. n. 2207 del 2010; Cass. n. 20732 del 2011).

Ne consegue che erroneamente la corte di merito ha considerato quale dies a quem la data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, da cui ha calcolato la durata complessiva del giudizio presupposto in tredici anni, anzichè in otto (v. pag. 3 del provvedimento impugnato).

Il quinto mezzo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2 per avere la corte di merito liquidato d’ufficio interessi con decorrenza dalla domanda, non richiesti, anzichè dalla pronuncia del decreto.

Anche detto motivo è fondato.

L’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura, non già come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico e dal suo carattere indennitario discende che gli interessi legali possono decorrere, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere d’incertezza e illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere accordata (Cass. n. 18150 del 2011).

Nella specie, dall’esame diretto degli atti (ai quali questa Corte ha accesso trattandosi della verifica di un error in procedendo) risulta che l’allora ricorrente non formulò istanza per la corresponsione degli interessi, per cui la pronuncia impugnata è incorsa nel prospettato vizio di ultrapetizione. Gli interessi, pertanto, vanno riconosciuti soltanto dal decreto, come la stessa parte ricorrente ammette siano dovuti.

Sulla base delle considerazioni svolte, il decreto impugnato va cassato per la necessità di rideterminare del periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto.

Le spese del giudizio di legittimità vanno rimesse al giudice di rinvio, individuato nella Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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