Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21667 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/08/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 23/08/2019), n.21667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16078-2015 proposto da:

G.G.B. & FRATELLI S.A.S., già

G.G.B. & FRATELLI S.N.C. in persona del legale rappresentante

pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 26, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIA LUCCHESI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FILIPPO TORTORICI;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANTONIO SPADAFORA;

– controricorrente –

e contro

A.A., in proprio e quale procuratrice di G.V.,

G.G., G.S., I.G., in

proprio e quale procuratrice di R.S., R.A.,

RU.AN., Z.S., Z.R., Z.O.,

Z.I., Z.R., B.H.A.R., in proprio e quale

genitore esercente la patria potestà sulla minore M.I.

nonchè quale procuratrice di G.F.B.M.,

M.O., M.M., G.R.;

– intimati –

e da:

B.H.A.R., Z.R., R.A.,

I.G., A.A., G.F.B.M.,

Z.I., G.G., G.V. Z.R.,

Z.O., RU.AN., G.S., Z.S.,

R.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTEZEBIO 25, presso

lo studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FRANCESCO EMANUELE MUSCOLINO;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

contro

G.G.B. E FRATELLI S.A.S., G.R.,

ALLIANZ ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 364/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 25/03/2015 R.G.N. 918/2012; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2019 dal Consigliere

Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato FILIPPO TORTORICI;

udito l’Avvocato MARIA AVERSA per delega Avvocato GIORGIO SPADAFORA;

udito l’Avvocato MASSIMO ERRANTE per delega verbale Avvocato EMANUELE

FRANCESCO MUSCOLINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.G., in proprio e quale procuratrice del figlio R.S. nonchè R.A. e Ru.An., premesso che il proprio congiunto, R.B., imbarcato sul M/P G.F., di proprietà della datrice di lavoro G.G.B. e F.lli s.n.c., aveva perso la vita insieme ad altri tre colleghi in occasione di un naufragio occorso alla predetta imbarcazione per effetto della collisione con la nave (OMISSIS) e che il sinistro si era verificato per colpa del comandante dell’imbarcazione, G.R., chiedevano la condanna in solido di quest’ultimo e della società datrice di lavoro alla corresponsione dei danni subiti iure hereditatis (nella specie danno tanatologico e danno morale del congiunto per essersi questo reso conto dell’approssimarsi irreversibile della morte) e iure proprio (nella duplice veste di danno patrimoniale e di danno morale). Analoghi ricorsi venivano proposti dagli eredi degli altri tre marittimi – G.A., Z.Y. e M.R. – deceduti nel medesimo incidente.

2. I quattro giudizi, nei quali si erano costituiti la G.G.B. e F.lli s.n.c. e G.R. ed era stata chiamata in causa, ai fini di manleva, su richiesta della società armatrice, la Allianz Assicurazioni s.p.a., erano definiti ciascuno con sentenza di condanna in solido degli originari convenuti al risarcimento del danno morale iure proprio e iure hereditatis e al risarcimento del danno patrimoniale e di condanna di Allianz Assicurazioni s.p.a. a tenere indenne la società armatrice delle somme che la stessa era stata condannata a pagare agli originari ricorrenti a titolo di danni sofferti iure proprio.

3. Avverso le richiamate sentenze di primo grado proponeva appello Allianz Assicurazioni s.p.a. chiedendo in via preliminare il rigetto della domanda di garanzia spiegata nei propri confronti per essere l’incidente in questione estraneo al rischio assicurato e per avere la società armatrice tardivamente denunziato l’evento; in via subordinata chiedeva la riduzione delle avverse pretese risarcitorie nei limiti del massimale “unico” (ed unitario per tutte le posizioni individuali) pari a Euro 1.036.000,00 per sinistro con un tetto di Euro 775.000,00 per persona. Proponeva, inoltre, appello la G.G.B. e Fratelli s.a.s. (già G.G.B. e Fratelli s.n.c.) chiedendo l’integrale rigetto delle pretese avversarie.

3.1. La Corte di appello di Palermo, riuniti i procedimenti, in parziale riforma delle sentenze di primo grado, nel resto confermate, rigettava la domanda di manleva proposta dalla G.G.B. e Fratelli s.a.s. nei confronti di Allianz Assicurazioni s.p.a..

3.2. Per quel che ancora rileva la Corte territoriale ha ritenuto: a) non necessaria l’integrazione del contraddittorio con la società armatrice della (OMISSIS), imbarcazione correponsabile del sinistro, sul rilievo che il vincolo di solidarietà passiva in un giudizio di risarcimento del danno non genera mai un litisconsorzio necessario; b) giustificato, ai sensi dell’art. 40 c.p.c., il radicamento della competenza del giudice del lavoro stante la connessione funzionale tra le domande intese al riconoscimento iure hereditatis del danno tanatologico e morale sofferto dai danti causa (di competenza del giudice dei lavoro) e le domande intese al riconoscimento iure proprio del danno morale e del danno patrimoniale causato dalla perdita degli stretti congiunti (di competenza del giudice “ordinario”), in quanto entrambe fondate sul medesimo presupposto rappresentato dalla verifica delle modalità del sinistro e della responsabilità dei convenuti nella relativa produzione; c) sussistente, alla stregua delle emergenze in atti, ai sensi dell’art. 2049 c.c., la responsabilità indiretta del datore di lavoro per fatto dannoso del proprio dipendente (nello specifico del Comandante dell’imbarcazione il quale era incorso in plurime, ripetute, omissioni alle più elementari regole di condotta); d) dovuto l’integrale risarcimento richiesto in quanto, in sintesi, destinato a ristorare voci di danno estranee a quelle coperte dalla rendita liquidata dall’IPSEMA, ente di previdenza dei marittimi; e) sussistente la legittimazione ad agire di B.H.A.R. in nome e per conto dei figli minori, pur in assenza di autorizzazione del giudice tutelare, secondo quanto previsto dalla legge nazionale tunisina, applicabile a mente della L. n. 218 del 1995, art. 22, ed in particolare dall’art. 154 del Codice dello Statuto personale Tunisino del 1956 che tale autorizzazione non esige in caso di decesso del padre; a tale ipotesi era, infatti, riconducibile la fattispecie in esame non configurandosi, alla luce della rigida nozione di cui all’art. 48 c.c., una ipotesi di “scomparsa” -, considerata altresì la intervenuta dichiarazione di decesso del marittimo da parte delle Autorità italiane e tunisine; f) non coperti dalla polizza assicurativa stipulata dalla società armatrice con Allianz Assicurazioni s.p.a. anche i danni subiti dagli eredi dei marittimi imbarcati sulla motonave, in quanto non annoverabili, in caso di pretesa risarcitoria fatta valere iure proprio, fra i “terzi” in favore dei quali era stata stipulata la polizza, dovendosi escludere che siffatta responsabilità potesse discendere, direttamente o indirettamente (per effetto della eventuale nullità della clausola contrattuale per contrasto con la richiamata previsione legislativa) dal disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122 secondo il quale “l’assicurazione comprende la responsabilità per i danni causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto”.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società armatrice sulla base di sei motivi. Allianz s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso; l’Avv. Francesco Emanuele Muscolino, quale procuratore e difensore di I.G., R.S., R.A., Ru.An., Z.S., Z.R. e Z.O., A.A., G.G., G.S., G.V. e B.H.A.R., Z.I., Z.R. e Gu.Fa. ha depositato controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo; M.R.O., M.R.M. e G.R. non hanno svolto attività difensiva;

4.1. La società Allianz s.p.a. e i controricorrenti – ricorrenti incidentali hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve rilevarsi la inammissibilità del controricorso con ricorso incidentale per difetto di valida procura alle liti in capo all’Avv. Francesco Emanuele Muscolino.

1.1. Nel controricorso con ricorso incidentale la fonte del relativo ius postulandi viene, infatti, individuata mediante richiamo alle procure generali alle liti conferite dalle parti rappresentate in epoca antecedente alla sentenza impugnata.

1.2. Tanto è sufficiente a determinare la inammissibilità del controricorso con ricorso incidentale in quanto la procura per proporre ricorso per cassazione deve essere speciale e non può essere rilasciata in via preventiva, dal momento che il requisito della specialità implica l’esigenza che questa riguardi espressamente il giudizio di legittimità sulla base di una valutazione della sentenza impugnata. Ne consegue che la procura non può considerarsi speciale se rilasciata in data precedente a quella della sentenza da impugnare, rispondendo tale prescrizione all’esigenza, coerente con il principio del giusto processo, di assicurare la certezza giuridica della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa (Cass. n. 27540 del 2017, Cass. n. 5554 del 2011, Cass. n. 27724 del 2005). Tale principio, per espresso richiamo dell’art. 365 c.p.c. contenuto nello art. 370, comporta che anche il controricorso – al pari del ricorso – debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato munito di procura speciale di talchè, fuori dell’ipotesi in cui la procura sia rilasciata in calce o a margine del controricorso, per potersi qualificare speciale una procura conferita con atto separato questo deve contenere la specifica indicazione non solo dello incarico all’avvocato di proporre il controricorso, ma anche della sentenza all’impugnazione della quale si intende contraddire (Cass. n. 7084 del 2006, Cass. n. 4492 del 1979).

2. Con il primo motivo di ricorso principale la società ricorrente deduce violazione e falsa interpretazione dell’art. 102 c.p.c. con riferimento all’art. 484 c.n. ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo. Assume che la decisione è frutto della errata interpretazione dell’art. 484 c.n. il quale stabilisce un principio parzialmente diverso da quello previsto dall’art. 2054 c.c. e dalle norme relative alla responsabilità solidale prescrivendo in caso di urto tra navi che ciascuna risponda anche nei confronti dei terzi in proporzione della propria colpa; solo ove non sia possibile determinare il contributo di ciascuna alla produzione del danno il risarcimento è dovuto in parti uguali; in caso di morte o lesioni personali sussiste una responsabilità solidale.

3. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2087 c.c. con riferimento all’art. 409 c.p.c.. Premesso che la domanda di risarcimento del danno proposta dai congiunti del lavoratore deceduto, anche in caso di morte del lavoratore derivata da inadempimento contrattuale del datore di lavoro, come chiarito dal giudice di legittimità, non rientra nella competenza del giudice del lavoro, censura la sentenza impugnata per avere affermato la competenza del giudice del lavoro sulla base di una presunta connessione funzionale tra le domande formulate iure hereditatis dei ricorrenti, rientranti nella competenza del giudice del lavoro e le domande dagli stessi formulate iure proprio, di competenza del giudice civile.

4. Con il terzo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa interpretazione degli artt. 1218, 2087, 2049, 2050 e 1227 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Premette che la natura contrattuale dell’illecito scaturente dalla violazione dell’art. 2087 c.c., non implicava la configurabilità di una responsabilità oggettiva fondata sulla mera connessione del danno con l’attività lavorativa, occorrendo sempre l’elemento della colpa. Nel caso di specie, attesa la riconducibilità dell’attività della navigazione all’ambito delle attività pericolose, il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2050 c.c., doveva andare esente da responsabilità una volta provata l’adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno. Si duole, inoltre, della mancata considerazione, al fine della riduzione ex art. 1227 c.c., del concorso dei lavoratori nella produzione dell’evento, i quali, secondo quanto emerso dalle deposizioni testimoniali, non sapevano nuotare. Ciò in contrasto con il fatto che gli stessi erano iscritti all’albo della gente di mare.

5. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1164 del 1965, artt. 2 e 10. Premesso di essere stata condannata a risarcire i parenti delle vittime del naufragio anche a titolo di danno patrimoniale, deduce di avere regolarmente assicurato presso l’IPSEMA i propri dipendenti tant’è che i suddetti avevano ottenuto dall’ente previdenziale quanto previsto dalla normativa vigente. Osserva che il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 esime espressamente il datore di lavoro dalla responsabilità civile per danno patrimoniale scaturente dagli infortuni sul lavoro e che con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000 l’esonero era stato esteso anche al danno alla salute o danno biologico. In base a tali premesse assume l’errore del giudice di merito per avere confermato la statuizione di condanna al risarcimento del danno patrimoniale in contrasto, peraltro, con le medesime tesi condivise dalle controparti; in subordine – sostiene- il giudice avrebbe dovuto precisare che la condanna al danno patrimoniale, di cui alle sentenze di primo grado, doveva intendersi al lordo delle indennità erogate dall’assicurazione obbligatoria.

6. Con il quinto motivo deduce violazione e falsa interpretazione della L. n. 218 del 1995, art. 22, n. 2, lett. b) e lett. c), e dell’art. 60 c.c., comma 1, n. 3 e della L. n. 218 del 1995, art. 23 con riferimento all’art. 83 della legge tunisina del 13.8.1956 e all’art. 7 della legge tunisina n. 23 del 27.2.1989, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio.

6.1. Premette di avere, nel corso del giudizio di merito, eccepito la incapacità della sig.ra B.H.A.R. a rappresentare i figli minori e che la Corte di merito aveva onerato la difesa della B.H.A.R. della produzione di documentazione dimostrativa della contestata legittimazione processuale; la interessata aveva depositato un attestato del Consolato di Tunisia di Palermo secondo il quale, in base all’art. 154 dello statuto personale tunisino, in caso di decesso o di incapacità del padre, la madre può stare in giudizio in rappresentanza dei figli minori senza necessità di autorizzazione. Assume che l’attestato rilasciato dal Consolato di Tunisia riguarda una fattispecie diversa da quella relativa al caso concreto, non venendo nello specifico in rilievo un’ipotesi di decesso, per essere i marittimi di nazionalità tunisina stati dichiarati dispersi, ipotesi quest’ultima in relazione alla quale lo statuto del personale tunisino – art. 7 prescrive la necessità che il giudice tutelare, con ordinanza scritta, autorizzi il rappresentante del minore a costituirsi in giudizio. Eccepisce, quindi, il difetto di tale autorizzazione censurando la sentenza impugnata per avere, al fine di superare l’ostacolo rappresentato dalla mancata instaurazione di procedimenti “per morte presunta”, ritenuto sufficiente a dimostrare il decesso dei due marittimi tunisini i certificati di morte. In questa prospettiva deduce violazione dell’art. 60 c.c., comma 1, n. 3, applicabile ex L. n. 218 del 1995, art. 22, comma 2, lett. b) e c), in base al quale per l’attestazione di morte degli scomparsi era necessario attivare nel biennio il procedimento di morte presunta.

7. Con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122 e insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio. Premesso che la società, volendo tutelare maggiormente i propri dipendenti aveva stipulato con la (allora) RAS Assicurazione s.p.a. una polizza di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, assume l’errore del giudice di appello nell’avere interpretato le clausole di tale polizza ed in particolare l’art. 3.01 delle condizioni generali di contratto nel senso che la copertura assicurativa relativa ai danni involontariamente cagionati a terzi ivi contemplata non concernesse il risarcimento per i danni iure proprio rivendicato dai familiari dei dipendenti deceduti.

8. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.

8.1. La sentenza impugnata ha escluso la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti della società armatrice della (OMISSIS), imbarcazione corresponsabile del sinistro, sul rilievo che il vincolo di solidarietà passiva ex art. 2055 c.c. in un giudizio di risarcimento del danno non genera mai un litisconsorzio necessario (v. sentenza pag. 9). Tale statuizione è conforme al condivisibile orientamento di questa Corte secondo la quale l’esistenza di un vincolo di solidarietà passiva ai sensi dell’art. 2055 c.c. tra più convenuti in un giudizio di risarcimento dei danni non genera mai un litisconsorzio necessario, avendo il creditore titolo per valersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione del rapporto processuale che può utilmente svolgersi anche nei riguardi di uno solo dei coobbligati (Cass. n. 20962 del 2016, Cass. n. 23650 del 2012, Cass. n. 3533 del 2008, Cass. n. 10042 del 2006).

8.2. La specifica questione dell’applicabilità dell’art. 484 c.n., comma 1, non è stata specificamente affrontata dalla Corte di appello. Pertanto, implicando la stessa un accertamento di fatto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, al fine della valida censura della decisione sul punto, occorreva la allegazione e dimostrazione, mediante pertinente richiamo agli atti di causa, che tale questione era stata ritualmente dedotta nelle fasi di merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006), onere non assolto dalla odierna parte ricorrente. In ogni caso, in relazione alla specifica fattispecie in esame nella quale, per come pacifico, si controverte del risarcimento del danno derivato da morte di persone, il regime applicabile, in base al disposto del medesimo art. 484 c.n., comma 2, torna ad essere quello della solidarietà, il quale, sul piano processuale, comporta il venir meno della necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soggetti tenuti. Tanto è sufficiente a determinare il rigetto della censura sul punto, risultando assorbito l’ulteriore rilievo collegato alle modalità, non conformi alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con le quali sono state evocate le circostanze poste a fondamento di una pretesa maggiore responsabilità, nella produzione del sinistro, dell’imbarcazione (OMISSIS).

9. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile non essendo configurabile, alla luce della consolidata e condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. 14790 del 2016, Cass. n. 8905 del 2015; Cass. n. 20494 del 2009), una questione di competenza in senso proprio ove venga in rilievo una questione di distribuzione degli affari all’interno di uno stesso ufficio.

10. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

10.1. La sentenza impugnata ha fondato la responsabilità della società datrice sul disposto dell’art. 2049 c.c. e ritenuto la responsabilità indiretta del datore di lavoro per fatto dannoso del proprio dipendente, evidenziando che, nello specifico, il Comandante del M/P del quale era armatrice la società ricorrente era incorso in plurime, ripetute, violazioni delle più elementari regole di condotta (v. sentenza pag. 11 e sg.); quanto alla deduzione relativa al concorso ex art. 1227 c.c. delle vittime, ha ritenuto, in sintesi, infondato l’assunto che i lavoratori non sapessero nuotare (v. sentenza pag. 17).

10.2. Il motivo in esame, laddove denunzia errore di diritto, invocando il disposto dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 2050 c.c., non si confronta con il fatto che la responsabilità della società armatrice è stata fondata specificamente sulla previsione dell’art. 2049 c.c.. In relazione all’applicazione di tale previsione parte ricorrente non denunzia alcuno specifico errore di diritto ascrivibile al giudice di merito sotto il profilo della correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma e della sussunzione del fatto accertato nell’ipotesi normativa considerata; tanto meno specifica le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina come prescritto al fine della valida censura della decisione (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006).

10.3. Quanto alla deduzione di violazione dell’art. 2050 c.c. la censura risulta inammissibile per le considerazioni già espresse al parag. 8.2.,venendo anche qui in rilievo una questione giuridica, non affrontata dalla Corte di merito, implicante accertamento di fatto con riferimento alla natura pericolosa dell’attività svolta, della quale parte ricorrente non allega e dimostra mediante richiamo agli atti del giudizio l’avvenuta rituale deduzione nelle fasi di merito.

10.4. Parimenti inammissibile la censura di violazione dell’art. 1227 c.c., in quanto non conforme alle prescrizioni imposte per la valida denunzia dell’errore di diritto (v. parag. 10.2.) e sostanzialmente intesa ad incrinare l’accertamento di fatto del giudice di merito, con modalità estranee all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis, secondo la condivisibile e rigorosa interpretazione del relativo disposto (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014).

11. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

11.1. Dallo storico di lite della sentenza impugnata la condanna di primo grado – confermata in seconde cure – in favore degli originari ricorrenti risulta effettuata, per tutti, a titolo di risarcimento del danno morale iure hereditatis (nella specie danno tanatologico e danno morale del congiunto per essersi questo reso conto dell’approssimarsi irreversibile della morte), di risarcimento del danno morale in proprio e di danno patrimoniale (anche questo in proprio). Il giudice di appello ha respinto il motivo di gravame della società datrice inteso all’esonero della responsabilità civile per la parte corrispondente alla somma liquidata a titolo di rendita vitalizia dall’IPSEMA, richiamando la giurisprudenza di legittimità e costituzionale alla stregua della quale il danno non patrimoniale risulta estraneo alla copertura assicurativa di cui al e le limitazioni poste dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 all’azione risarcitoria del lavoratore infortunato nei confronti del datore di lavoro concernevano solo il danno patrimoniale collegato alla capacità lavorativa generica ma non si estendevano anche al danno alla salute o biologico e al danno morale ex art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale esulanti dalla copertura assicurativa obbligatoria. Ha, in conseguenza, riconosciuto il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento di tale danno in presenza dei relativi presupposti (evidenziando che secondo la disciplina successiva introdotta dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 anche il danno biologico è coperto da tale assicurazione). In relazione al danno tanatologico, da ricondurre nell’alveo del danno morale, ha puntualizzato che esso configura una voce risarcitoria distinta dal danno biologico di talchè la somma liquidata agli eredi dall’IPSEMA non poteva ritenersi deputata al suo integrale ristoro.

11.2. Tanto premesso il motivo è inammissibile per difetto di specificità avendo parte ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, del tutto omesso, in relazione alle caratteristiche del danno patrimoniale del quale era chiesto il ristoro iure proprio dagli originari ricorrenti, di fare riferimento, alle allegazioni in fatto ed alle deduzioni in diritto formulate a riguardo nei ricorsi di primo grado ed allo svilupparsi del contraddittorio sul punto nelle fasi di merito, adempimenti questi funzionali, oltre che alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio, alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte sulla base del solo esame del ricorso per cassazione senza necessità di ricorrere ad altre fonti o atti (Cass. n. 24340 del 2018, Cass., n. 10072 del 2018, Cass. n. 16103 de12016, Cass. n. 1926 del 2015).

12. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, sia per difetto di pertinenza con le ragioni alla base della statuizione impugnata, sia perchè articolato con modalità non conformi alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Sotto il primo profilo è da evidenziare che parte ricorrente principale non si confronta con la affermazione del giudice di appello secondo la quale la capacità di agire delle persone fisiche è disciplinata dalla loro legge nazionale e che nel caso specifico, in base a quanto attestato dal Console di Tunisia di Palermo, per la rappresentanza in giudizio dei figli minori da parte della ricorrente B.H.A.R. non occorreva l’autorizzazione del giudice tutelare. L’articolazione del motivo in esame mostra, infatti, di dare per scontata la necessità di attivare il procedimento di scomparsa per morte presunta, senza in alcun modo contrastare l’assunto del giudice d’appello – assunto costituente presupposto logico-giuridico della statuizione impugnata – in ordine alla non riconducibilità della ipotesi in esame (riferita a persone cadute in mare) alla nozione di “scomparsa” alla base della rigida accezione di cui all’art. 48 c.p.c.. Il secondo profilo di inammissibilità concerne la omessa trascrizione o esposizione per riassunto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. (Cass. n. 195 del 2016, Cass. n. 26174 del 2014, Cass. n. 22607 del 2014), del contenuto del documento – attestazione del Consolato tunisino di Palermo- alla base delle censure articolate.

13. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.

13.1. La sentenza impugnata, sul presupposto che le istanze risarcitorie formulate dagli originari ricorrenti (e la relativa copertura assicurativa) derivavano da un’attività professionale di un soggetto che non era “terzo” nell’accezione convenzionalmente fissata dal contratto di assicurazione e che gli eredi dei lavoratori deceduti subentravano nella medesima posizione contrattuale rivestita dai loro danti causa e ne subivano il relativo effetto sotto il profilo assicurativo indipendentemente dal titolo (iure proprio o iure hereditatis) sulla base del quale il risarcimento era domandato, ha escluso che la estensione della copertura assicurativa concernesse i danni pretesi dagli originari ricorrenti. Ha, quindi. argomentato sulla inconferenza, al fine di una diversa soluzione, del disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122.

13.2. Le ragioni che sorreggono la statuizione non sono validamente censurate. Invero, quanto alla dedotta violazione di norme di diritto si rileva che, in contrasto con la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non è trascritto o riassunto il contenuto del documento – contratto di assicurazione – alla base della doglianza (v. giurisprudenza richiamata sub paragrafo 12); si rileva, inoltre, che la critica alla interpretazione del contratto di assicurazione (critica nella quali esclusivamente si sostanzia la censura articolata, al di là della formale deduzione di violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122 (v. ricorso, pag. 15 e sg.), non è veicolate tramite la specificazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice del merito si è discostato dai canoni legali di interpretazione, come prescritto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19044 del 2010, Cass. n. 15604 del 2007, in motivazione, Cass. n. 4178 del 2007). La deduzione del vizio motivazionale risulta inammissibile già nella sua formale enunciazione che ascrive alla sentenza impugnata rinsufficiente e contraddittoria motivazione, deduzione non più consentita alla luce del testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis che, nel ricondurre al “minimo costituzionale”, il controllo della motivazione, esige la deduzione di omesso esame di un fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti, evocato nei rigorosi termini chiariti, da Cass. Sez. Un. 8053 del 2014, ” fatto storico” neppure indicato dall’odierna ricorrente principale. In questa prospettiva si rivela inconferente al richiamo a Corte Cost. n. 188 del 1991 e più in generale il tema della obbligatorietà, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122, dell’estensione dell’ambito della assicurazione verso terzi della responsabilità per danni alla persona causati a trasportati (individuati, questi ultimi, nei marittimi impiegati sull’imbarcazione), tema estraneo alla materia del contendere.

14. In base a tutte le considerazioni che precedono il ricorso principale deve essere respinto ed il controricorso con ricorso incidentale dichiarato inammissibile.

15. Il difetto di valida procura alle liti esclude il diritto dei controricorrenti ricorrenti incidentali al rimborso delle spese di lite (Cass. n. 1987 del 1967). Nel rapporto processuale tra la società ricorrente e Allianz s.p.a. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

16. Sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il controricorso con ricorso incidentale. Nulla spese nei confronti di I.G. e degli altri litisconsorti di cui al controricorso con ricorso incidentale dichiarato inammissibile.

Condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese di lite nei confronti di Allianz s.p.a., che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente principale e della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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