Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21667 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. I, 19/10/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 19/10/2011), n.21667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.R., elettivamente domiciliato in Roma, alla

piazza Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

unitamente all’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 26

novembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

settembre 2011 dal Consigliere doti. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CESQUI Elisabetta la quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 26 novembre 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da D.C. R. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per il riconoscimento del diritto all’inclusione dell’indennità di funzione dirigenziale nel calcolo della retribuzione utile ai fini contributivi.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 2002 si era concluso con sentenza dell’11 aprile 2008, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, in considerazione della materia e delle questioni sottoposte all’esame del giudice, e, tenuto conto della natura della controversia, della complessità del caso e del patema d’animo causato dalla pendenza della causa, ha liquidato il danno non patrimoniale in complessivi Euro 3.250,00 pari ad Euro 1.000.00 per ogni anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto il D.C. propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi.

Il Ministero non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1. della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei.

1.1. – I motivi sono infondati.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattivi di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000.00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1. 30 luglio 2010. n. 17922: 14 ottobre 2009.

n. 21840).

Tali criteri sono stati puntualmente rispettati dalla Corte d’Appello, la quale anzi, in relazione all’accertato ritardo di tre anni e tre mesi nella definizione del giudizio presupposto, ha riconosciuto al ricorrente un indennizzo addirittura superiore, nell’importo unitario (Euro 1.000.00), a quello indicato dalla Corte EDU per i primi tre anni, in considerazione della natura della controversia, della complessità del caso e del patema d’animo derivante dall’eccessiva durata della causa, nonchè dell’interesse alla definizione della stessa, manifestato dal ricorrente attraverso la proposizione dell’istanza di prelievo.

Il ricorrente contesta tale valutazione lamentando l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione de decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto i profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 2. – Sono invece inammissibili, per difetto di autosufficienza, il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 e dell’art. 91 cod. proc. civ. nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione delle spese processuali, la Corte d’Appello si è discostata dalla nota specifica da lui depositata, senza fornire alcuna motivazione.

2.1. – Il ricorrente, infatti, pur dolendosi del mancato riconoscimento delle prestazioni indicate nella nota specifica asseritamente depositata nel giudizio dinanzi alla Corte d’Appello, si è astenuto dal riportarne il contenuto nei ricorso, limitandosi ad includervi alcune tabelle estratte dalla tariffa professionale, la cui trascrizione non appare sufficiente a consentire a questa Corte la necessaria verifica in ordine alla denunciata violazione, in mancanza di una specifica indicazione delle voci e degl’importi di cui si contesta l’omessa liquidazione (cfr. Cass., Sez. 3, 19 aprile 2006, n. 9082: Cass., Sez. 1. 16 marzo 2000, n. 3040).

3. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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