Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21666 del 26/10/2016

Cassazione civile sez. VI, 26/10/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 26/10/2016), n.21666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15848/2014 proposto da:

M.R., Z.M.E., C.M.,

CI.GI.LO., R.C.L., A.M.B.,

Z.C., D.G.L.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

Via DEI GRACCHI 39, presso lo studio dell’avvocato ANNAMRIA

FEDERICO, rappresentati e difesi dall’avvocato COSMO LUPERTO giuste

procure procure a margine delle pagine 1, 3 e 5 del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro in

carica pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1149/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositato il 06/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 24 gennaio 2012 presso la Corte d’appello di Potenza, R.L., A.M.B., C.L., C.M., CI.Gi.Lo., D.G.L.C., M.R. e Z.M.E. chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della procedura concernente il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., iniziata con la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Lecce in data (OMISSIS) e definito con decreto di chiusura depositato in data (OMISSIS).

L’adita Corte d’appello – premesso che dalla relazione del curatore fallimentare risultano una estremamente vasta platea di creditori, effettuata la vendita dell’attivo fallimentare, oltre ad essere state intraprese svariate azioni giudiziarie nell’interesse del fallimento – considerava ragionevole la durata di sette anni, per cui sebbene ritenesse indennizzabile un ritardo di otto anni, a fronte della durata complessiva di quindici anni (decorrenti dalla data di redazione dello stato passivo, il 30.10.1996), tuttavia rigettava la domanda giacche dalla relazione del curatore fallimentare e dallo stato passivo emergeva che i crediti vantati dai ricorrenti erano stati tempestivamente soddisfatti dal Fondo di garanzia dell’INPS, con contestuale cessazione di ogni danno non patrimoniale nel termine di ragionevole durata del procedimento.

Avverso detto decreto i ricorrenti sopra indicati hanno proposto ricorso, affidato a due motivi.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia basato la sua decisione sull’erronea convinzione che i crediti dei ricorrenti fossero stati tempestivamente soddisfatti, oltre a non considerare che gli stessi erano stati ammessi allo stato passivo del fallimento per somme superiori a quelle garantite dal Fondo di garanzia, per cui le cifre percepite dall’INPS per TFR non erano interamente satisfattive. Situazione palesemente verificatasi per il M..

La censura critica l’indicazione del decreto impugnato relativamente alla mancanza di paterna d’animo per avere riconosciuto come soddisfatto il credito vantato nella procedura concorsuale. Essa è fondata.

La Corte di appello nel negare il diritto dei ricorrenti all’indennizzo ha, infatti, affermato che l’unico credito vantato dagli stessi nella procedura concorsuale atteneva ai rispettivi TFR, per cui – non avendo allegato nè provato il contrario dovevano ritenersi le pretese tempestivamente soddisfatte del Fondo di garanzia gestito dall’I.N.P.S..

E’ evidente che trattasi di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non risultando in alcun modo esplicitati gli elementi da cui la corte di merito avrebbe tratto detto convincimento, oltre a gravare sull’Amministrazione resistente la prova della circostanza, peraltro neanche dedotta.

Del resto l’eventuale intervento del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per i crediti retributivi ammessi al passivo di un fallimento non comporta necessariamente il venir meno dell’interesse del creditore ammesso al passivo quando il detto intervento non sia idoneo ad assicurare l’attribuzione integrale della somma ammessa al passivo il che, nel caso di specie, non è neanche stato dedotto dall’amministrazione resistente, dovendosi sul punto avere riguardo anche alla (eventuale) data della dazione rispetto al termine di ragionevole durata del procedimento per verificarne la tempestività.

Il motivo va, dunque, accolto.

Con il secondo motivo i ricorrenti insistono nel lamentare la violazione della L. n. 9 del 2001, art. 2, art. 6 par. 1 CEDU, art. 111 Cost., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1 e dell’art. 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la corte di merito fatto decorrere il termine della durata ragionevole della procedura non dalla data di deposito della sentenza dichiarativa del fallimento, il (OMISSIS), ma dalla redazione dello stato passivo, iniziato il (OMISSIS).

Osserva il Collegio che quanto alla pretesa di far risalire l’inizio della procedura concorsuale rilevante ai fini dell’equa riparazione alla dichiarazione di fallimento, e non già dalla redazione dello stato passivo – come ritenuto dalla corte di merito – la giurisprudenza di questa Corte in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare è nel senso che la durata del procedimento va determinata avendo riguardo al tempo intercorso tra la proposizione dell’istanza L. Fall., ex art. 101, con cui il creditore diventa parte della procedura, ed il provvedimento di ammissione del credito, non potendosi cumulare con tale periodo quello precedente di svolgimento della procedura concorsuale, al quale il creditore è rimasto estraneo (Cass. n. 2207 del 2010; Cass. n. 20732 del 2011).

Ne consegue la non correttezza della statuizione della Corte d’appello che dovrà riesaminare la questione accertando la data di insinuazione allo stato passivo di ciascun ricorrente.

L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione del provvedimento impugnato per la necessità di rideterminare, insieme al periodo di irragionevole durata, l’incidenza dell’eventuale intervento del Fondo predetto.

Le spese del giudizio di legittimità vanno rimesse al giudice di rinvio, individuato nella Corte di Appello di Potenza in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Potenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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