Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21665 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/10/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 26/10/2016), n.21665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15777/2014 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

39, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO ANNAMARIA, rappresentato

e difeso dall’avvocato COSMO LUPERTO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1153/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositato il 06/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 12 giugno 2012 presso la Corte d’appello di Potenza, C.D. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della procedura concernente il fallimento della (OMISSIS) srl iniziata con la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Lecce in data (OMISSIS) e non ancora conclusasi alla data della domanda.

L’adita Corte d’appello – premesso che dalla relazione del curatore fallimentare risulta una platea di creditori estremamente vasta, con vendita di un cespite immobiliare, intraprese svariate azioni giudiziarie, oltre ad essere state proposte azioni revocatorie – considerava ragionevole la durata di otto anni, per cui riteneva che fosse indennizzabile un ritardo di due anni, a fronte della durata complessiva di dieci anni, da computarsi tenendo conto della data di redazione dello stato passivo (il 29.5.2002), e liquidava a titolo di risarcimento la somma di Euro 1.000,00.

Avverso detto decreto il CATALDO ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e segg., art. 111 Cost., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1, art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia determinato la durata ragionevole della procedura fallimentare presupposta in otto anni, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità e superando gli standard senza adeguata motivazione.

Prosegue il ricorrente che la corte di merito avrebbe erroneamente fissato la data di inizio della procedura non già con quella della sentenza dichiarativa di fallimento, ossia il (OMISSIS), bensì dalla redazione dello stato passivo avvenuta il 29.5.2002.

Il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.

Invero, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni, allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha invece ritenuto ragionevole una durata superiore al massimo consentito.

Il motivo è invece infondato nella parte in cui i ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla dichiarazione di fallimento, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare, la durata del procedimento va determinata con riguardo alla data di dell’istanza L. Fall., ex art. 101, con cui il creditore diventa parte della procedura (Cass. n. 2207 del 2010; Cass. n. 20732 del 2011).

Del resto, come rilevato dalla Corte d’appello, risulta assolutamente generica la deduzione del ricorrente sul punto, giacchè non viene contestata l’esattezza dell’accertamento di fatto operato dalla corte territoriale in ordine alla data del 29 maggio 2002 in cui è stato redatto lo stato passivo, dandosi atto di una omessa allegazione e documentazione da parte del ricorrente in sede di deposito del ricorso relativamente alla data in cui sarebbe stata depositata l’istanza di insinuazione al passivo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia altra violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e segg., art. 111 Cost., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1, art. 6, par. 1 della CEDU e degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c., nonchè vizio di motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi, dolendosi che la Corte d’appello abbia determinato l’indennizzo in misura irrisoria.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 3 Cost. e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere l’adita Corte d’appello illegittimamente ridotto il danno sofferto da paterna d’animo in relazione all’entità delle somme perse, mentre trattasi di danno connesso unicamente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

All’esame dei motivi occorre premettere che la presente controversia non è soggetta, ratione temporis, all’applicazione delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla L. n. 134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012 non può neanche riconoscersi natura di norme di interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non vi è nulla nel D.L. n. 83 del 2012 che possa indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva, avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione per la entrata in vigore della nuova disciplina.

Tanto premesso, gli ultimi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, stante la loro evidente connessione. Essi sono infondati.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2010; Cass. n. 17922 del 2010). Si aggiunga, altresì, che è stato ritenuto in linea con le soglie dettate tanto dalla giurisprudenza europea quanto da quella nazionale, il criterio di Euro 500,00 per anno di ritardo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto di potersi discostare dagli ordinari criteri di liquidazione dell’indennizzo, adottando quello di Euro 500,00 per anno di ritardo, aderendo al predetto approdo.

Conclusivamente, va accolto il primo motivo nei limiti di cui in motivazione, rigettati il secondo ed il terzo; il decreto impugnato deve essere cassato nei limiti sopra esposti.

Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., art. 1.

Infatti, accertata la irragionevole durata della procedura fallimentare in anni tre, alla liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio di Euro 500,00 per anno di ritardo, ritenuto dalla più recente giurisprudenza congruo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014 cit.), e determinando quindi l’ammontare dell’indennizzo in favore del ricorrente in Euro 1.500,00.

In conclusione, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 1.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

Quanto alle spese processuali, va confermata sul punto la statuizione della corte di merito, mentre le spese di legittimità vanno compensate per la metà, in considerazione della reciproca soccombenza, e la restante quota va posta a carico del Ministero.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigettati il secondo ed il terzo;

cassa il decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 1.500,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo;

confermata la statuizione della Corte territoriale sulle spese di merito e compensate fra le parti le spese del giudizio di cassazione per la metà, condanna, altresì, il Ministero alla rifusione della restante quota, che liquida per intero in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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