Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21664 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/10/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 26/10/2016), n.21664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15776/2014 proposto da:

P.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI

39, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA FEDERICO, rappresentata

e difesa dall’avvocato COSMO LUPERTO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreta della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositato il

06/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 13 marzo 2012 presso la Corte d’appello di Potenza, P.O. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della procedura concernente il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., iniziata con la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Lecce in data (OMISSIS) e non ancora conclusasi alla data della domanda.

L’adita Corte d’appello – premesso che dalla relazione del curatore fallimentare risulta una platea di creditori estremamente vasta, con vendita di un cespite immobiliare, intraprese svariate azioni giudiziarie, oltre ad essere state proposte azioni revocatorie – considerava ragionevole la durata di otto anni, per cui riteneva che fosse indennizzabile un ritardo di due anni, a fronte della durata complessiva di dieci anni, da computarsi tenendo conto della data di redazione dello stato passivo (il 29.5.2002), ma poichè dallo stato passivo emergeva che l’unico credito della ricorrente risultante dal riparto parziale era quello a titolo di TFR, integralmente e tempestivamente pagato dal Fondi di garanzia gestito dall’INPS, riteneva che alcun indennizzo dovesse essere liquidato.

Avverso detto decreto la P. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e segg., art. 111 Cost., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1, art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia determinato la durata ragionevole della procedura fallimentare presupposta in otto anni, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità e superando gli standard senza adeguata motivazione.

Prosegue la ricorrente che la corte di merito avrebbe erroneamente fissato la data di inizio della procedura non già con quella della sentenza dichiarativa di fallimento, ossia il (OMISSIS), bensì dalla redazione dello stato passivo avvenuta il 29.5.2002.

Il motivo è fondato.

Invero, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni, allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha invece ritenuto ragionevole una durata addirittura superiore al massimo consentito.

Quanto alla pretesa di far risalire l’inizio della procedura concorsuale rilevante ai fini dell’equa riparazione alla dichiarazione di fallimento, e non già dalla redazione dello stato passivo – come ritenuto dalla corte di merito – si osserva che la giurisprudenza di questa Corte in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare è nel senso che la durata del procedimento va determinata avendo riguardo al tempo intercorso tra la proposizione dell’istanza L. Fall., ex art. 101, con cui il creditore diventa parte della procedura, ed il provvedimento di ammissione del credito, non potendosi cumulare con tale periodo quello precedente di svolgimento della procedura concorsuale, al quale il creditore è rimasto estraneo (Cass. n. 2207 del 2010; Cass. n. 20732 del 2011).

Ne consegue la non correttezza della statuizione della Corte d’appello che dovrà riesaminare la questione accertando la data di insinuazione allo stato passivo della ricorrente.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia altra violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e segg., art. 111 Cost., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1, art. 6, par. 1 della CEDU e degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c., nonchè vizio di motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi, dolendosi che la Corte d’appello abbia escluso l’indennizzo statuendo – contra legem – di non poter liquidare un danno superiore al valore del credito e che comunque era stato il suo credito soddisfatto dal Fondi di garanzia INPS, circostanza non rispondente al vero.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 3 Cost. e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere l’adita Corte d’appello illegittimamente ridotto il danno sofferto da paterna d’animo in relazione all’entità delle somme perse, mentre trattasi di danno connesso unicamente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

All’esame degli ultimi due motivi occorre premettere che la presente controversia non è soggetta, ratione temporis, all’applicazione delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla L. 11 agosto 2012, n. 134, applicabili ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012 non può neanche riconoscersi natura di norme di interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non vi è nulla nel D.L. n. 83 del 2012, che possa indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva, avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione per la entrata in vigore della nuova disciplina. Ne consegue che non può essere condivisa l’affermazione del giudice di merito secondo cui il danno andrebbe accertato nei limiti di valore del credito preteso nel giudizio presupposto.

Tanto premesso, i motivi due e tre di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la evidente connessione che li avvince. Essi sono fondati.

Le censure criticano l’indicazione del decreto impugnato relativamente alla mancanza di paterna d’animo per avere riconosciuto come soddisfatto il credito vantato nella procedura concorsuale.

La Corte di appello nel negare il diritto della ricorrente all’indennizzo ha, infatti, affermato che l’unico credito vantato dalla stessa nella procedura concorsuale atteneva al TFR, per cui – non avendo allegato nè provato il contrario – doveva ritenersi la pretesa tempestivamente soddisfatta del Fondo di garanzia gestito dall’I.N.P.S..

E’ evidente che trattasi di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non risultando in alcun modo esplicitati gli elementi da cui la corte di merito avrebbe tratto detto convincimento, oltre a gravare sull’Amministrazione resistente la prova della circostanza, peraltro neanche dedotta.

Del resto l’eventuale intervento del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per i crediti retributivi ammessi al passivo di un fallimento non comporta necessariamente il venir meno dell’interesse del creditore ammesso al passivo quando il detto intervento non sia idoneo ad assicurare l’attribuzione integrale della somma ammessa al passivo il che, nel caso di specie, non è neanche stato dedotto dall’amministrazione resistente, dovendosi sul punto avere riguardo anche alla (eventuale) data della dazione rispetto al termine di ragionevole durata del procedimento per verificarne la tempestività.

L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione del provvedimento impugnato per la necessità di rideterminare, insieme al periodo di irragionevole durata, l’incidenza dell’eventuale intervento del Fondo predetto.

Le spese del giudizio di legittimità vanno rimesse al giudice di rinvio, individuato nella Corte di Appello di Potenza in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Potenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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