Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21663 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 29/07/2021), n.21663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27827-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO COMMERCIALE (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO D’ITALIA 19, presso lo studio dell’avvocato FRANCO

PAPARELLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 236/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 15/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, disconosceva il diritto alla detrazione iva per l’anno di imposta 2003 per Euro 2.300.596,00 effettuata dalla società (OMISSIS) srl..

A seguito dell’impugnazione di tale avviso da parte della società, la Commissione Provinciale di Roma confermava l’accertamento.

Il giudizio di appello, proposto dalla società, era prima interrotto e poi proseguito dalla Curatela della Società (OMISSIS).

L’appello proposto era accolto dalla Ctr in quanto la verifica fiscale si era svolta nel domicilio del signor S.M. dominus della società, senza la necessaria autorizzazione del Procuratore della Repubblica di Roma.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a 2 motivi così sintetizzabili:

1) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2) Motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si costituiva con controricorso la resistente Curatela del Fallimento (OMISSIS) srl, chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o rigettato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame la Agenzia delle Entrate assume che la Ctr non abbia considerato che la norma, nel prevedere per l’accesso fiscale, in luoghi adibiti anche ad abitazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, tutela il domicilio del contribuente nel caso la società (OMISSIS) e non di qualsiasi terzo quale la famiglia S., che utilizzava promiscuamente l’immobile.

Tale motivo è infondato.

Invero la sentenza richiamata dal ricorrente principale non si adatta al caso in esame visto che si riferisce ad ipotesi diversa e cioè acquisizione di documenti presso il domicilio del professionista, adibito anche ad abitazione, a seguito di regolare autorizzazione della Procura della Repubblica competente.

Nel caso la sentenza n. 19837/2005 richiamata, correttamente aveva affermato che una volta che l’accesso al domicilio del titolare del diritto sia stato concesso era consequenziale ritenere che gli organi verificatori potessero prendere visione ed eventualmente acquisire atti e documenti fiscalmente rilevanti nei confronti dei terzi.

Nel nostro caso, come si evince dalla sentenza impugnata e dalle stesse argomentazioni del ricorrente, la questione giuridica attiene all’accesso presso una abitazione privata senza autorizzazione.

La Ctr correttamente dopo aver affermato, sulla base degli elementi concreti acquisiti, che l’ispezione era avvenuta nella abitazione di tale S.M., che non poteva considerarsi terzo visto che era indicato nel PVC quale “dominus della società commerciale (OMISSIS) srl”, ha correttamente applicato la norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52. In base a tale norma gli Uffici IVA, ai fini dell’accertamento dell’imposta e per la repressione delle violazioni, citato D.P.R., ex art. 63, possono eseguire l’accesso in locali che siano adibiti anche ad abitazione, ma a tal fine devono munirsi dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Tale disposizione, richiamata anche in materia di accertamento delle imposte sui redditi (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3, comma 1), si collega all’art. 14 Cost., che, dopo avere sancito il principio dell’inviolabilità del domicilio, aggiunge nel comma 2, che non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, che non può essere ristretta se non per atto motivato dell’Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

Soltanto dopo che l’Autorità Giudiziaria ha valutato, sulla scorta degli elementi che le vengono sottoposti dagli organi verificatori, se sussista una situazione tale da giustificare una restrizione o limitazione al diritto alla inviolabilità del domicilio, la successiva attività di indagine e di acquisizione dei dati fiscalmente rilevanti non incontra alcun limite soggettivo.

Come si è detto, infatti, la ratio ispiratrice della previsione normativa è quella di tutelare il diritto della inviolabilità del domicilio sicché attività compiute in dispregio del fondamentale diritto alla inviolabilità del domicilio, non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di avvisi di accertamento o di irrogazione di sanzioni, dato che in mancanza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica viene meno la prevalenza dell’interesse fiscale.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce una motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo Tale motivo è infondato.

Costituisce principio di diritto che in genere, per la sua ovvietà, rimane sottinteso, anche se nel caso pare pretermesso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il predetto vizio non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova.

Nel caso il ricorrente non indica nella esposizione del motivo da quale prova specifica sarebbe emerso che i documenti posti a base dell’accertamento erano stati acquisiti nella parte dell’immobile adibito esclusivamente alla sede legale della società, limitandosi a riportare mere affermazioni. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo attuale testo riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, senza che possa ricomprendere argomentazioni, dovendosi di conseguenza ritenere inammissibili le censure irritualmente formulate (Cass. n. 21152 del 2014, Cass. 1:1-802 del 2017).

Inoltre la Ctr aveva precisato come l’ispezione fosse avvenuta nella abitazione desumendola dalla circostanza che il contratto di locazione abitativa risultava da atti aventi data certa in quanto registrati, e dalla circostanza che gli stessi verbalizzanti avevano annotato nel PVC pag. 92 che alle telefonate in entrata “veniva risposto casa S.”.

Come si vede il giudice ha dato prevalenza ad alcuni elementi come era nel suo potere discrezionale, per formarsi il proprio convincimento, processo logico che essendo immune da vizi logici non può essere censurato in questo grado di legittimità.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 14000 oltre oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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