Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21662 del 26/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/10/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 26/10/2016), n.21662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13137/2014 proposto da:

Z.V.A., S.F., (OMISSIS), U.A.P.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo

studio dell’avvocato ANNAAMARIA FEDERICO, rappresentate e difese

dall’avvocato COSMO LUPERTO giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro in

carica pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 971/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositato il 24/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 22 agosto 2012 presso la Corte d’appello di Potenza, Z.V.A., S.F., ST.Ma.Ru. e U.A.P. chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della procedura concernente il fallimento di (OMISSIS) s.r.l., iniziata con la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Lecce in data (OMISSIS) e non ancora conclusasi alla data della domanda.

L’adita Corte d’appello – premesso che dalla relazione del curatore fallimentare risulta una platea di creditori estremamente vasta (656 creditori), si erano registrate difficoltà di inventario, era stato nominato un esperto per la stima dell’opificio industriale e di un legale esperto di diritto internazionale per la riscossione dei crediti vantati nei confronti di clienti esteri, per la vendita dell’opificio erano occorsi tre anni, oltre ad essere state proposte azioni revocatorie – considerava ragionevole la durata di otto anni, per cui riteneva che fosse indennizzabile un ritardo di sedici anni e tre mesi, a fronte della durata complessiva di ventiquattro anni e tre mesi, da computarsi tenendo conto della data di redazione dello stato passivo (il 12.11.1987) e riteneva, altresì, che ai ricorrenti potesse essere liquidato un indennizzo di Euro 2.000,00 per ciascuno, in considerazione del comportamento pressocchè contemplativo dei ricorrenti, con spese processuali compensate per la metà.

Avverso detto decreto i ricorrenti sopra indicati hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione in merito, dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia determinato la data di inizio della procedura quella della sentenza dichiarativa di fallimento, ossia (OMISSIS), bensì dalla redazione dello stato passivo.

Proseguono i ricorrenti lamentando anche l’erroneità della determinazione circa la durata ragionevole della procedura fallimentare presupposta in otto anni, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la detta durata può essere al massimo di sette anni.

Il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.

Invero, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni, allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha invece ritenuto ragionevole una durata superiore al massimo consentito.

Il motivo è invece infondato nella parte in cui i ricorrenti pretendono di far risalire l’inizio della procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla dichiarazione di fallimento, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare, la durata del procedimento va determinata avendo riguardo alla data di proposizione dell’istanza L. Fall., ex art. 101, con cui il creditore diventa parte della procedura (Cass. n. 2207 del 2010; Cass. n. 20732 del 2011).

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano altra violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e segg., art. 111 Cost., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1, art. 6, par. 1 della CEDU e dell’art. 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione contraddittoria e omesso esame su fatti decisivi, dolendosi che la Corte d’appello abbia quantificato l’indennizzo in misura sostanzialmente pari ad Euro 123,00, per ciascun anno di ritardo, non sufficiente e comunque contrastante con i criteri fissati dalla giurisprudenza.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 2056 c.c., L. Cost. n. 2 del 1999, art. 1 e dell’art. 6, par. 1 della CEDU, nonchè vizio di motivazione, per avere l’adita Corte d’appello quantificato l’indennizzo senza operare una concreta valutazione della c.d. posta in gioco e della importanza della stessa, circostanze accertate dalla medesima corte di merito in altri contenzioni relativi alla medesima procedura concorsuale.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso – da trattare congiuntamente venendo entrambi sul criterio di liquidazione dell’indennizzo – sono fondati. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2010; Cass. n. 17922 del 2010). Si aggiunga, altresì, che è stato ritenuto in linea con le soglie dettate tanto dalla giurisprudenza europea quanto da quella nazionale, il criterio di Euro 500,00 per anno di ritardo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014).

Tuttavia nella specie la Corte di merito, anche affermando di voler valorizzare il criterio del comportamento “pressocchè contemplativo” dei ricorrenti, ha poi finito per liquidare un indennizzo al di sotto di detto parametro, discostandosi, in senso riduttivo, da suddetti minimi.

Conclusivamente, va accolto il ricorso e il decreto impugnato deve essere cassato nei limiti sopra esposti.

Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Infatti, accertata la irragionevole durata della procedura fallimentare in anni diciannove, alla liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio di Euro 500,00 per anno di ritardo, ritenuto dalla più recente giurisprudenza congruo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014 cit.), e determinando quindi l’ammontare dell’indennizzo in favore di ciascun ricorrente in Euro 9.500,00.

In conclusione, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 9.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

Quanto alle spese processuali, va confermata sul punto la statuizione della corte di merito, con condanna del Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte, accoglie in parte il primo motivo di ricorso, nonchè il secondo ed il terzo;

cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 9.500,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo;

confermata la statuizione della Corte territoriale sulle spese di merito, condanna, altresì, il Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016

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