Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21662 del 19/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.19/09/2017),  n. 21662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28164/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.C. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DI PALMA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7391/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2010 R.G.N. 11307/2007.

Fatto

RILEVATO

Che la Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma che, accogliendo l’eccezione svolta da Poste Italiane spa, aveva ritenuto sussistere la risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine dal 4.2.2002 al 30.4.2002 stipulato tra le parti, respingendo la domanda del S.. La Corte territoriale ritenuta non sussistente la fattispecie di risoluzione per mutuo consenso, ha accertato la nullità del termine rilevando che la causale indicata nel contratto (esigenze tecniche, organizzative e produttive…. conseguenti a processi di riorganizzazione…), pur riproducendo un’ipotesi prevista dall’art. 25 del CCNL 2001, non era più applicabile trattandosi di contratto stipulato dopo il termine di vigenza del citato contratto collettivo, con conseguente applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1; che pertanto ne conseguiva la genericità della causale, la quale non descrive le ragioni concrete e le esigenze che rendono necessaria la prestazione temporanea, non venendo soddisfatta l’esigenza di specificazione della causale come previsto dalla nuova legge, in assenza anche di qualsiasi riferimento a circostanze concrete, dovendo il richiamo all’accordo sindacale essere integrato da allegazioni che consentivano di individuare le reali conseguenze che il processo di mobilità aveva indotto nella sede ove S. era stato chiamato ad operare. La Corte di merito ha condannato la società alla riammissione in servizio, respingendo la domanda risarcitoria.

Che avverso la sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Che ha resistito S. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che con il ricorso la società Poste spa lamenta: 1) contraddittoria e insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine a circostanza rilevante ai fini del decidere, avendo escluso la risoluzione per mutuo consenso sebbene abbia poi respinto la domanda risarcitoria del pagamento delle mensilità, in ragione del lungo tempo trascorso; 2)erronea motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 1175,1375,1372,2967 e 1467 c.c., per avere la Corte disatteso l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso tempestivamente formulata; 3) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 2 e dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 1325 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto la genericità della motivazione posta a fondamento dell’assunzione, quindi delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine, mentre tale motivazione può essere invece effettuata anche per relationem e l’omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in particolare con riferimento a quanto dedotto nel capii della memoria di costituzione circa i processi di riorganizzazione comportanti carenza di organico; 4) violazione e falsa applicazione del D.Lsg. n. 368 del 2001, art. 4 e poi dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 421 c.p.c., per avere erroneamente la Corte territoriale posto a carico della società l’onere di prova della temporaneità delle ragioni giustificatrici dell’apposizione termine al primo contratto, mentre la nuova disciplina prevede tale onere probatorio solo in occasione della proroga di cui al D.Lgs. n. 368 cit., art. 4.

Che i primi due motivi, connessi, sono infondati. Quanto al primo nessuna contraddittorietà appare sussistere in merito alla motivazione adottata dalla corte di merito circa la valutazione dell’assenza di danno patrimoniale e tuttavia la insussistenza dell’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, trattandosi di due rationes decidendi distinte, incidendo la seconda solo sugli effetti risarcitori e non su quelli comunque ripristinatori della accertata nullità del termine. Quanto alla lamentata violazione delle norme interpretative della volontà dei contraenti, questa corte si è espressa più volte in punto di risoluzione per mutuo consenso ritenendo che (cfr. da ultimo Cass. n. 14422/2015, Cass. 9 aprile 2015 n. 7156; Cass. 12 gennaio 2015 n. 231) ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso (che costituendo eccezione in senso stretto, va provata da colui che la eccepisce, cfr. Cass. 7 maggio 2009 n. 10526,Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279), non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento e dopo la scadenza del contratto a termine, o anche il semplice ritardo nell’esercizio dei suoi diritti, ma è necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze che denotano una chiara e certa volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze non sono state evidenziate dalla società ricorrente, che si è limitata a ricordare l’accettazione del TFR e l’attesa di un periodo di oltre quattro anni prima della messa in mora.

Che egualmente infondati sono il terzo ed il quarto motivo che, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Giustamente nel caso in esame la Corte territoriale ha evidenziato come la legittimazione alla previsione di un termine va rivenuta nella sola fonte normativa di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,senza alcuna mediazione delle norme dei contratti collettivi, come nella previgente disciplina di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23. Ciò significa che l’apposizione di tale termine al contratto è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, le quali devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, ben potendo risultare anche per relationem; ciò impone tuttavia al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, come anche la loro immodificabilità nel corso del rapporto, le circostanze che caratterizzano una determinata attività e che rendono la prestazione a tempo determinato conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, così che sia evidente la specifica correlazione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa deve soddisfare per mezzo del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con essa.

Che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, ove e adeguatamente motivata ed priva di vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate nel contratto di assunzione, inclusi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nella causale del contratto.

Nel caso in esame, diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente, la corte territoriale ha correttamente applicato il suddetto principio allorquando ha affermato che nella fattispecie non risultava essere stato assolto l’obbligo di specificazione delle ragioni di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, atteso che la causale del contratto stipulato con il lavoratore in realtà riproduceva in modo ripetitivo la formulazione sussunta dalla previsione di cui al citato art. 25 del ccnl del 2001, ma non espressamente richiamata ai sensi del D.Lgs. n. 368 citato, art. 11, comma 2, nulla spiegando in ordine al nesso causale di tali generiche ragioni con le mansioni per il cui espletamento il S. era stato assunto. In particolare gli accordi sindacali richiamati non erano di per sè idonei a giustificare la mancata specificazione dei motivi con inerenza alla singola assunzione e, in ogni caso, era mancata la prova sul punto di una specifica causale negoziale (cfr. tra le tante, Cass. 27/4/2010 n. 10033, Cass. 19/03/2016 n. 5451), attesa l’inidoneità dei mezzi istruttori dedotti a fornire tale prova, sia con riferimento alla prova testimoniale che a quella documentale – gli accordi collettivi trascritti in ricorso.

Che pertanto il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna della società, soccombente, alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017

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