Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21661 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 08/10/2020), n.21661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16596-2019 proposto da:

CASA DI CURA CITTA’ PARMA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PATRIZIO POZZOLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2633/13/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La Casa di cura Città di Parma, la quale eroga servizi sanitari esenti da iva a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, presentava in relazione all’anno d’imposta 2010 un’istanza di rimborso dell’iva assolta, assumendo che l’indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti strumentali da essa compiuti, derivante dal regime di esenzione delle attività svolte, avrebbe vanificato il principio di neutralità dell’iva nei propri confronti.

L’impugnazione del relativo silenzio rifiuto veniva respinta dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Parma.

La CTR dell’Emilia Romagna rigettava il successivo appello proposto dalla contribuente.

Rilevava in proposito che l’operatore economico, il quale abbia acquistato beni e servizi destinati in via esclusiva allo svolgimento di operazioni esenti o non imponibili assume la posizione fiscale di consumatore finale. Ha aggiunto che la soluzione è confortata dalla giurisprudenza unionale, che rende ultronea l’ulteriore rimessione sollecitata dalla contribuente.

Contro questa sentenza la società propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui l’Agenzia delle entrate replica con controricorso.

Diritto

Considerato che:

Con i due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, la contribuente lamenta:

– la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 5 e art. 19-bis, in riferimento al medesimo decreto, art. 10, comma 1, rimarcando che il regime di esenzione implicherebbe l’applicazione di un’iva occulta a spese del cliente finale delle prestazioni, perchè il prestatore in ragione dell’indetraibilità dell’imposta sarebbe costretto ad elevare i propri onorari (primo motivo);

– la carenza e illogicità della motivazione in ordine alla richiesta di rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo motivo).

La complessiva censura, che sconta profili d’inammissibilità quanto al secondo motivo, col quale, dietro lo schermo della deduzione del vizio di motivazione, s’introduce una generica critica in diritto degli argomenti addotti dalla Commissione per respingere la richiesta di rimessione della questione pregiudiziale, è infondata.

La questione in tutto analoga è stata difatti già decisa dalla giurisprudenza unionale.

In particolare, la Corte di giustizia (con ord. 13 dicembre 2012, causa C560/11, Debiasi) ha ribadito che il diritto di detrazione dell’iva riguarda soltanto i beni e i servizi impiegati ai fini delle operazioni del soggetto passivo assoggettate a imposizione sicchè qualora beni o servizi acquistati da un soggetto passivo siano impiegati ai fini di operazioni esenti, non vi può essere riscossione dell’imposta a valle, nè detrazione dell’imposta a monte.

E questo perchè il sistema comune dell’iva mira a garantire la perfetta neutralità, quanto al peso economico dell’imposta, di tutte le attività economiche, quali che siano le finalità o i risultati di esse; il che postula che le attività siano assoggettate, in linea di principio, all’imposizione ai fini iva (in termini, Cass. 1 ottobre 2014, n. 20700 e 5 settembre 2014, n. 18771; Cass. 2020 nr 422).

Coerentemente, allora, la giurisprudenza unionale ha precisato (con sentenza in causa C-560/11, cit.) che, a norma della sesta Dir., art. 19, par. 1, visto che le operazioni esenti non conferiscono diritto a detrazione, la cifra di affari a esse relativa va inserita nel denominatore della frazione che consente di calcolare il prorata della detrazione.

Per conseguenza il diritto alla detrazione dell’iva da parte di un soggetto passivo che svolga operazioni sia esenti, sia non esenti dev’essere calcolato sulla base di un prorata corrispondente al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione e quello complessivo delle operazioni compiute nel corso dell’anno, incluse le prestazioni medico-sanitarie esenti.

Di qui l’infondatezza della questione di diritto proposta e la superfluità di un’ulteriore rimessione della medesima questione alla Corte di giustizia, che si riverberano sulla manifesta irrilevanza anche delle censure proposte con riferimento alla violazione del diritto di proprietà della contribuente, con riguardo alla normativa convenzionale della CEDU (vedi, Cass. 26 agosto 2015, n. 17169, punto 8 e, tra le ultime, 19 giugno 2019, n. 16443).

La complessiva censura va per conseguenza respinta.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 11.000,00 oltre S.P.A..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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