Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21660 del 19/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/09/2017, (ud. 01/03/2017, dep.19/09/2017),  n. 21660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12555/2012 proposto da:

P.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 265, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRA PUNZO, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO

NUNZIANTE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.L., C.F.;

– intimati –

e contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, giusta delega in

calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5775/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/11/2011 r.g.n. 3298/2008.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

esaminati gli atti e sentita la relazione del Consigliere Dr. Federico De Gregorio;

RILEVATO che con ricorso del 21 maggio 2012 P.R. ha impugnato la sentenza n. 5775/29 settembre – 22 novembre 2011, con la quale la Corte d’Appello di NAPOLI, in parziale riforma della pronuncia emessa dal locale giudice del lavoro il 31 maggio 2007 mediante il rigetto di ogni domanda, appellata dalla sola attrice I.L., condannava la convenuta P. al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di Euro 16.545,66 per differenze retributive (Euro 13.613,71) e t.f.r. (Euro 2.931,95), oltre accessori di legge, nonchè al versamento dei connessi contributi previdenziali, nei limiti della prescrizione, rigettando invece ogni domanda nei confronti di C.F., compensando inoltre per intero le spese di lite nei confronti di quest’ultimo e nei riguardi dell’I.N.P.S., nonchè per la metà tra la I. e la P., per il resto liquidate a carico di quest’ultima;

che il ricorso per cassazione è affidato a due motivi per asseriti vizi di motivazione, entrambi inerenti alle somme liquidate dalla Corte di merito, che aveva parzialmente accolto il gravame, riconoscendo la natura subordinata del lavoro domestico prestato dall’attrice alle dipendenze della P., limitatamente al periodo gennaio 1996/gennaio 2000, alle ore 9.00/9.30 alle 15.00 per cinque giorni alla settimana, secondo i conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio, in ordine ai quali gli appellati non avevano proposto alcuna contestazione, argomentando unicamente sull’insussistenza della subordinazione, laddove peraltro tali conteggi apparivano esatti dal punto di vista contabile e coerenti con il parametro utilizzato per il calcolo, ossia la 2^ categoria c.c.n.l. di settore;

che I.L., C.F. e l’I.N.P.S. risultano debitamente intimati, però senza opporre difese, laddove poi l’Istituto si è limitato unicamente a depositare procura speciale in calce al ricorso notificatogli;

che il Pubblico Ministero non ha presentato requisitorie e che le parti non risultano aver depositato memorie, nonostante il tempestivo avviso loro dato.

CONSIDERATO che con il ricorso si censura la decisione impugnata per i seguenti motivi:

1. contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e in particolare al suo orario giornaliero, poichè la motivazione dell’orario di lavoro era contraddittoria in relazione alle dichiarazioni rese dal teste F. ed alle deduzioni contenute nella memoria di essa resistente, nonchè assolutamente insufficiente quanto alle dichiarazioni del teste CA. non valutate adeguatamente;

2. omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione in ordine alla determinazione delle differenze retributive e del t.f.r., atteso che la corte distrettuale aveva recepito apoditticamente i conteggi di parte attrice, limitandosi semplicemente a non considerare per le voci differenze paga, ferie e t.f.r. i dati relativi alle annualità dal 1992 al 1995, i cui importi erano stati sottratti, laddove i conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio erano stati redatti sulla prospettazione iniziale di una prestazione giornaliera di otto ore, però riconosciuta dalla Corte di merito in ragione di sei/cinque ore e mezzo, di guisa che coerentemente andavano rideterminate le competenze su tale nuovo orario accertato, e non già recependo dati in contrasto con le stesse valutazioni della medesima Corte; parimenti era accaduto in ordine agli scatti di anzianità sul presupposto che il rapporto di fosse instaurato dal 1992, mentre la subordinazione era stata riconosciuta dal 1996: la medesima contraddizione valeva anche per il t.f.r., valutato sulla base di conteggi in cui erano stati computati accantonamenti con interessi e rivalutazioni a partire dal 1992, incidenti anche sugli importi delle annualità successive e assurdamente considerati in contrasto con la decorrenza del rapporto individuato dai giudici d’appello;

che, quanto al primo motivo, come si evince agevolmente dall’articolata motivazione dell’impugnata sentenza, il giudice di merito ha esaurientemente esaminato le acquisite risultanze istruttorie, apprezzandole quindi con più che sufficienti e lineari argomentazioni, poi sfociate nella conseguente decisione, sicchè in sede di legittimità, nell’ambito della c.d. critica vincolata secondo i limiti rigorosamente fissati dall’art. 360 c.p.c., non è consentito a questa Corte alcun riesame dei fatti, laddove come nella specie non si riscontrino specifici errori di diritto rilevabili nella pronuncia de qua (cfr. Cass. n. 25332 del 28/11/2014: la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione, che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; ne deriva che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti);

che, a ben vedere, parte ricorrente tenta di sminuire quanto in punto di fatto accertato dai giudici di appello, sulla scorta della richiamate testimonianze, ritenute sufficienti, sotto il profilo probatorio, a supportare la domanda della lavoratrice, nei limiti in cui è stata accolta; che, in relazione alla censurata motivazione, la doglianza si esaurisce in un mero dissenso rispetto a quanto diversamente opinato, in punto di fatto, dai giudici di merito, come tale non rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo il testo ratione temporis applicabile, D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ex art. 2, “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, rimasto in vigore sino alla sua sostituzione operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134);

che, invero, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. lav. n. 27162 del 23/12/2009. Analogamente, v. Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011).

V. tra l’altro Cass. lav. n. 7394 del 26/03/2010, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. Conforme Cass. n. 6064 del 2008.

V. pure Cass. 1 civ. n. 1754 del 26/01/2007: il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto alle aspettative e deduzioni delle parti. In senso conforme, Cass. lav. n. 11660 e n. 11670 del 18/05/2006, n. 3881 del 22/02/2006, nonchè Cass. 3 civ. n. 3928 del 31/03/2000.

Cfr. altresì Cass. civ. sez. 6-5, ordinanza n. 91 del 07/01/2014, secondo cui il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. Conformi nn. 15489 del 2007 e 5024 del 2012.

Inoltre, Cass. 5 civ. n. 2805 del 05/02/2011 ha precisato che il motivo di ricorso con cui ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., o anche un fatto secondario, cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, purchè controverso e decisivo);

che parimenti va osservato in relazione al secondo motivo, che appare comunque genericamente formulato, mediante inammissibile tecnica di assemblaggio, non confacente alla prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 (Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:… l’esposizione sommarla dei fatti della causa…), mentre nella specie tra le pagine 12 e 13 del ricorso per cassazione risultano inserite in forma integrale, peraltro senza prosieguo di numerazione di pagine, tabelle relative a conteggi asseritamente allegati al ricorso introduttivo del giudizio, quindi senza riassuntivamente individuare le voci ed i relativi importi, che erroneamente sarebbero stati ugualmente computati in sede di liquidazione del quantum spettante dalla Corte di merito rispetto all’arco temporale riconosciuto, e senza nemmeno quindi indicare le conseguenti eventuali differenze (a credito e/o a debito della ricorrente, già convenuta ed appellata), laddove d’altro canto la sentenza di appello aveva pure rilevato che riguardo ai conteggi allegati al ricorso gli appellati non avevano proposto alcuna contestazione, argomentando, ai fini del rigetto dell’appello, unicamente sull’insussistenza del vincolo di subordinazione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. civ. 6-5, ordinanza n. 10244 del 02/05/2013, secondo cui la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore. In senso conforme, tra le altre, Cass. n. 17168 del 2012, nonchè Cass. sez. un. civ. n. 5698 del 2012);

che pertanto il ricorso va disatteso;

che tuttavia, non occorre alcun provvedimento sulle spese, visto che le altre parti sono rimaste INTIMATE e che pure l’I.N.P.S., nonostante il deposito dell’anzidetta procura speciale, non ha invero svolto alcuna attività difensiva in suo favore;

ritenuto, infine, che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ratione temporis inapplicabile nella specie, trattandosi di ricorso risalente all’anno 2012.

PQM

 

la corte RIGETTA il ricorso.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017

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